Presentato nella sezione “Sperimentale” del Torino Underground Cinefest, “La caccia” tratteggia in maniera sorprendente un quadro apocalittico e straniante a metà tra fantascienza e videoarte.

In una selva tinta d’un verde inacidato, in cui psichedeliche alterazioni si dispiegano col progressivo rivelarsi del quadro venatorio, dei militari inseguono una ragazza cannibale. La cinepresa osserva i personaggi come l’occhio di un ricercatore indugia sui dettagli di un dipinto. Si ha la sensazione di guardare un frammento, scheggia esplosa, residuo fumante di macerie devastate situato nel mezzo di un processo di mutazione irreversibile . 5 minuti senza dialoghi che s’immergono in un mondo soggetto a fenomeni e cambiamenti impossibili da comprendere o esperire in maniera diretta perché troppo grandi. L’unica cosa avvertibile è la presenza di inspiegabili leggi che governano un ecosistema intaccato dai tarli nocivi che si diffondono come una formazione cancerogena.

L’unica cosa visibile è l’impressione di stasi e immobilità anti-progressiva dello sguardo fisso sullo sviluppo della metamorfosi. Il risultato è un mix di apprensione e rilassatezza, in cui l’immagine-evento appare fuori dal tempo, in preda ad una spasmodica dilatazione. Guardare “La caccia” è come soffermarsi su una foto o un affresco per dedurne il contesto da cui quelle figure sono state estrapolate. “La caccia” è un segmento, una cellula che riconduce il cinema alla sua natura primordiale di immagine-movimento.

Inquadratura de “La caccia”

Luca Delpiano
Vedo Film e ogni tanto ne scrivo. A volte faccio cose che si possono guardare. Morirò.

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