Tutti per il vaccino, tutti contro il medesimo. Una guerra in trincea, a suoni di evidenze millantanti, a raffiche di protocolli costituzionali usati per comodità. La palude politica del momento, l’inconsistenza dei partiti al potere come in opposizione stride con l’opportunità di rinascita dopo quasi due anni di desolazione. Ma allora perché, questa destra si spende alacremente contro l’obbligo del green pass? Vediamo le ragioni di un fenomeno che affonda le sue radici in un’irrequietezza tipicamente italiana, in un’opposizione all’obbligo cementificata dalla storia divisiva di questa Nazione e soprattutto nella radicale idiosincrasia per l’appassito concetto di spirito civico.
A volte sono convinto di una certa massima che mi ha sempre irritato dai tempi più remoti nella mia mente. Noi, è vero, ci meritiamo i politicanti che sono al governo o all’opposizione. Meritiamo un fare politica totalmente scollato dalla realtà, che pratica opposizione per principio di comodità e si misura nella tenzone solo quando questa gli può donare un’immagine che faccia presa su una parte della popolazione. Un’eterna sfida, senza che alcun principio riconducibile a ragioni di Stato, ha luogo fra l’imposizione dall’alto, verso la quale siamo storicamente avversari, e il recalcitrante istinto all’italiana, disposto alla teoria complottistica e al ricorso all’assurdo pur di evitare di muoversi a fronte comune per la risoluzione del problema.
A volte mi capita di entrare in contatto con individui i cui prodromi di quanto appena evidenziato appaiono cristallini. L’opposizione al comando dall’alto, quello che porta addirittura alla negazione di ogni evidenza in riferimento alla morte e alla terribile situazione che ha comportato il virus, alla costruzione di un’immagine paradossale e grottesca è messo in atto pur di mantenere viva la loro opposizione rispetto all’agire attivo. Cosa dall’alto si impone per la risoluzione della depressione che ci ha annullato per un anno e mezzo diviene, improvvisamente, stratagemma per l’eliminazioni dei vecchi e delle pensioni da pagare, ora modo per sterilizzare il popolo ai fine di un’escatologia del ridicolo.
Quasi accecati da profondo individualismo, dimentichi delle conseguenze del virus, trasportati da una ragione divenuta antagonismo aprioristico, questi ricorrono al concetto di libertà pur di determinare uno scudo verso ciò che considerano una riduzione dei diritti.
Spesso neanche la malattia vissuta dalle persone affini è sufficiente per la convinzione di questi, il cui terrore ingiustificato è basato sul nulla se non dal vociferare insulso dei luoghi sottostanti alla superficie della ragione e dei valori.
Non è necessario andare troppo lontano per entrare in contatto con lo sragionamento più severo, è necessario ascoltare semplicemente quanto declamato dagli ostili al vaccino e al green pass. Due sistemi semplici, intuitivi, evidentemente fondamentali per l’abbassamento radicale dell’insorgenza del morbo, eppure così contestati. Ma da chi? Da coloro che non possono vaccinarsi per problemi di salute? Ovviamente no. Al contrario da coloro, vittime del serpeggiare torvo e ineliminabile dell’ignoranza e della supponenza menzognera. Da quel filo che tiene uniti tutti i dubbiosi, i vigliacchi e quelli che animano la storica corruttela italiana che pensa solo al suo perimetro. Coloro che non vogliono prendere la posizione per la risoluzione del problema, che biasimano la gestione pandemica e condannano la politica, ma che poi non sono disposti neanche a fare una puntura pur di prendere parte attiva alla risoluzione della crisi.
Questi, i classici italiani: coloro che rinfacciano lo sfascio della nostra cultura, dei valori e condannano dal mattino alla sera l’operato della politica e dei suoi ministeri, e poi si nascondono nell’ombra quando è la loro volta per dimostrare di esserci per fare qualcosa per il Paese. All’unisono grido di “io non ho bisogno”, “a me non interessa”, “tanto io sono sano” schiacciano gli ultimi residui di spirito civico e nazionale che ci resta. La presa di posizione, l’introiettamento di un dovere verso il Paese esiste solo a parole per questi, perché sono sempre e comunque gli altri a dovere portare il fardello per tutti, questi tutti, una manica di disinteressati.
Ma è proprio questo il cancro della nostra società. Un parassita culturale degnamente supportato da questa destra, che nell’inefficienza del suo agire inconsulto vive di questa povertà di pensiero e la sfrutta per fare breccia nei cuori delle classi culturali subalterne per non finire invischiato in una melma politica che oggi pare più un coro di bestiame ammaestrato e dotato di potere assertivo e poco più.
E allora che non si parli più dell’inefficienza, della codardia e della povertà concettuale della nostra politica. È, questa, invece, attinente e legittima voce di questo popolo, o di questa parte di popolo, quella che sta nell’ombra dell’egoismo più acefalo, disposto a negare perfino le morti e la sofferenza pur di evitare di divenire parte attiva, che accampa ragioni per autoconvincersi che l’onestà e la risoluzione dei problemi dipendano sempre dagli altri, di quelli che oltre i proprio perimetro vedono solo le mancanze altrui e che ne pretendono rabbiosamente una risoluzioni ma nella cui ineluttabilità dell’assenza dell’agire comune nulla sono disposti a fare.
Dicono che la paura sia motivo divisivo. Io aggiungo che nel momento del bisogno coloro che fuggono, che rinunciano a fare perfino la più semplice delle mosse per la comunità lacerano l’anima stessa del Paese, sfasciano e rendono asfittico lo stesso significato di Nazione.
Questo, e solo questo, resta della nostra civiltà: le rovine morali di una cultura dell’egoismo, della diffidenza eletta a supremo valore e dell’indifferenza che non vuole vedere ragioni, anche se perentorie, a patto che l’individuale piccolo mondo, un io esiguo non corra il minimo rischio per l’altrui e non viva la paura, affinché possa indisturbato continuare a vivere da reprobo, e sempre, nell’ombra.
È qui, infine, la società muore.