La meravigliosa storia di Henry Sugar, disponibile su Netflix da mercoledì 27 ottobre, è parte di una serie di quattro corti usciti a ridosso della distribuzione italiana del suo ultimo film: Asteroid City. Tutta l’arte di Wes Anderson in appena 37 minuti
Roald Dahl, dalla pace del suo cottage in Inghilterra, racconta della storia di Henry Sugar, un ricco ereditiere amante dei casinò che, dopo una scoperta fortuita, trova il modo perfetto per sbancare le case da gioco in giro per il mondo. Nei film di Wes Anderson la recitazione, pur occupando naturalmente un posto importante, non è mai il fulcro del tutto ma solo una sua parte. Sarà per questo che il texano si affida sempre ad attori e attrici di un certo spessore che, grazie a pochi e minimi guizzi fisici e vocali, riescono a catalizzare l’attenzione pur rimanendo una parte dei vari quadri in movimento che vengono mostrati al pubblico. La meravigliosa storia di Henry Sugar è l’ennesimo esempio di tutto ciò.
Il mediometraggio si sviluppa in maniera narrativamente interessante. Per raccontare la storia di Henry Sugar dobbiamo per forza entrare in contatto con altre due piccole che ci vengono proposte esattamente allo stesso modo: con i narratori, protagonisti delle varie peripezie, che leggono la propria storia. Ecco allora che i quattro personaggi principali di questo film, Roald Dahl, Henry Sugar, il dottor Chutterjee e Imdad Kahn, vivono le loro storie, come se stessero leggendo le pagine di un libro, un diario, o stessero raccontando la propria vita a qualcuno. Le interpretazioni di Ralph Fiennes, Benedict Cumberbatch, Dev Patel e Ben Kingsley sono essenziali. Sfumature di un tutto più ampio che afferisce all’ormai inconfondibile ‘stile andersoniano’, stile che nel corso degli anni sta continuando a raccogliere sempre maggiori ammiratori – ma anche detrattori.
Non estetica ma stile inconfondibile
In una recente intervista, Wes Anderson ha dichiarato di non avere un’estetica e che la sua regia peculiare non sia altro che il frutto di scelte di successo legate al film girato precedentemente. Fatta questa premessa è pero innegabile che il regista di Huston continui ad adottare in tutte le sue opere delle scelte registiche inconfondibili, fatte di rigorose simmetrie, palette di colori calibrate, attori ‘feticcio’ e una continua voglia di giocare con il rapporto d’aspetto (aspect ratio in inglese).
La meravigliosa storia di Henry Sugar non è da meno, anzi. In questo mediometraggio, Anderson concentra tutto il suo savoir faire e lo sottolinea con guizzi interessanti come la teatralità di molti cambi scena, gli attori che sembrano più dei narratori o l’interessante uso dell’aspect ratio in una precisa scena in cui è coinvolto Henry Sugar, che diventa il perno attorno cui ruota una breve ma interessantissima sequenza di inquadrature. Wes Anderson conferma ancora una volta la sua caratura di cineasta, un cineasta che sembra continuare a scarnificare l’importanza di ciò che racconta esaltandone, invece, il puro aspetto visivo.
Wes Anderson, con La meravigliosa storia di Henry Sugar, ci ha nuovamente trasportati nel suo rigoroso mondo naif, un po’ folle e giocoso, in cui suoni, colori, forme e movimenti sono sfumature di un quadro elaborato, un meccanismo preciso che, di volta in volta, sacrifica l’importanza di una trama da dipanare per farla diventare, più semplicemente, una piccola parte di un complesso universo.