La non identità di una società destinata al fallimento.

Cari lettori e care lettrici, come di consueto ci ritroviamo nuovamente nel salotto del nostro appuntamento mensile. Seduti al tavolino delle discussioni in cui quasi non sai perché ti ci siedi ogni volta, visto che finisce sempre e solo in un’unica maniera: ti arrabbi. Ti arrabbi si, ma allo stesso tempo non riesci a fare a meno di sedertici lo stesso; forse perché quella rabbia diventa un poco più dolce quando la si condivide con qualcuno che ti capisce. Diventa così lo strumento, il mezzo, che poi usiamo per cercare di far aprire gli occhi a coloro che vivono nel torpore di quest’Occidente malato.

Sembra strano ma la nostra società, la nostra identità, non è più quella di un volta; prima noi Occidentali eravamo il faro del mondo, popolo di cultura e di innovazioni, terra di occasioni e soprattutto di libertà. Eravamo quell’angolo di mondo dove regnava una pace apparente quasi soave, ma che purtroppo ha avuto l’unico epilogo di aver forgiato generazioni di figli non figli assolutamente vuote di orgoglio, di ambizioni e di voglia di migliorare. Lo so che probabilmente starai pensando che come al solito faccio il pessimista così, come al solito, anche questa volta ti rispondo: no. Io non sono pessimista ne tantomeno “faccio” il pessimista, io sono realista; mi limito a descrivere quello che i miei occhi vedono.

Sappiamo bene che per cercare di risolvere un problema la prima cosa che dobbiamo fare è ammettere che quel problema c’è; che il problema esiste ed è tangibile. E dobbiamo anche ammettere che la sua esistenza mette allo scoperto i nostri errori, mostrando la nostra sconfitta morale e generazionale assolutamente meritata. 

Questo perché noi Occidentali in generale – Italiani o Francesi o Portoghesi, non c’è differenza- siamo passati dal lottare per la pace e per la propria libertà negli anni dei grandi regimi, all’avere paura di reclamare quello che è un diritto cardine dell’essere umano: la dignità.

Siamo passati da lottare e dall’evolverci per scelte morali al vivere nel torpore quasi patologico di questa società che disconosce la propria storia; che, pur di non ammettere di essere fallita, preferisce arrancare nel nulla cosmico della finzione e dell’ipocrisia di valori volubili e scarni ma silenziosamente condivisi da tutti.

Dal combattere la povertà e il malessere sociale al combattere, isolandoli e ghettizzandoli, i poveri. Dal lottare per essere una società unita nelle differenze antropologiche che naturalmente intercorrono tra popoli diversi, al combattere quelle differenze così preziose per fingere di essere un’unica entità che semplicemente non esiste e non potrà mai esistere. 

Siamo passati dall’essere fieri di appartenere all’Occidente, di essere Occidentali, dal credere nel significato di Patria che sia essa l’Italia o la Francia o il Portogallo, all’abiura del senso di appartenenza; siamo riusciti a far passare come normale il rinnegare quelle stesse differenze che per secoli ci hanno reso ingranaggi di una macchina quasi perfetta: l’Occidente. 

La Patria non è un’opinione. O una bandiera e basta. La Patria è un vincolo fatto di molti vincoli che stanno nella nostra carne e nella nostra anima, nella nostra memoria genetica. È un legame che non si può estirpare come un pelo inopportuno.

Oriana Fallaci

Oh ma questo non dipende certo dai giovani, loro sono cresciuti in uno stagno colmo di queste idee non-idee; sono cresciuti senza avere neanche i mezzi per combattere e cercare di variare la rotta di questa nave diretta nell’oscurità dell’incertezza. I giovani infatti si ritrovano a vivere in un società che non li usa, che non vuole utilizzarli perché evidentemente l’innovazione e l’evoluzione non sono più un’obiettivo, quindi meglio metterli a fare i camerieri o rilegarli a fare le fotocopie.


Nella nostra società sentiamo tutti i giorni che <<i-giovani-non-hanno-voglia-di-fare-niente>> vero? 

Si. E a dire la verità ci siamo anche un poco scocciati. Questo perché siamo disgustati, siamo vittime di una società che non ci comprende e per questo ci isola, non ci vuole. Forse perché l’innovazione non fa comodo a chi non la vuole, perché evoluzione significa cambiamento e i cambiamenti non sono per niente benaccetti. Eppure posso garantire che è estenuante cercare di trovare il proprio posto in una società che non ti vuole perché <<devi-fare-gavetta>> e <<si-ma-non-hai-esperienza>>. Il risultato? Che l’esperienza i giovani non la fanno, e questo comporta avere ragazzi e ragazze che smettono di avere ambizione, smettono di avere idee perché non avrebbero in qualunque caso i mezzi per perseguirle. 

A questo punto credo sia necessario comprendere che una società non interessata ai suoi giovani e alle loro capacità biologiche e innovative è una società fallita, destinata ad un futuro certamente non roseo. Una società così non ha e non avrà sicuramente vita facile, stiamo semplicemente assistendo alla fine dell’Occidente per mano dei suoi stessi figli: noi, gli Occidentali.


Nicolò Ibba
Classe 1999, mi piace ragionare sui problemi della società e cercare di trovare una soluzione razionale. Nella vita mi occupo di emergenze, lavoro nella più grande istituzione umanitaria del Mondo...ogni tanto cercherò di "lasciarvi" qualcosa del mio lavoro.

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1 Comment

  1. […] che studiano e si impegnano per poi sentirsi dire che l’ambizione è sbagliata. Figli di una società che non è in grado di capirli, che non vuole sfruttare le loro potenzialità biologiche e […]

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