Le otto montagne, film vincitore del premio della giuria al Festival di Cannes 2022, è uscito al cinema il 22 dicembre scorso. Tratto dall’omonimo libro di Paolo Cognetti, vincitore a sua volta del Premio Strega 2017, racconta l’amicizia tra Pietro e Bruno. Due uomini con origini, caratteri e vite diverse, legati da due elementi imprescindibili: l’affetto reciproco e la montagna. Conosciutisi a Grana, paese natio di Bruno e meta delle vacanze di Pietro, saranno per sempre l’uno a fianco dell’altro, anche nella lontananza o nell’assenza.

Sono senza dubbio le interpretazioni di Luca Marinelli (Pietro) e Alessandro Borghi (Bruno) che rendono questo film intenso e meritevole di attenzione. Mi sento di definirla una delle migliori performance attoriali degli ultimi tempi. Questi due artisti non solo dimostrano di essere all’altezza di una storia impegnativa, ma la rendono ancora più profonda, penetrante. Il mondo cinematografico italiano sembra essere sempre alla ricerca di nuovi talenti da scoprire, come è giusto che sia, ma probabilmente non si rende conto che i nostri fiori all’occhiello sono già qui. Lo spettatore si trova davanti a due ore e mezza di film che non scorrono velocemente ma, una volta uscito dalla sala, non si pentirà di aver assistito a questo racconto e ciò è possibile soprattutto grazie a questi due attori, le cui voci e gesti rimangono impressi.

Luca Marinelli (a sinistra, 38 anni) e Alessandro Borghi (a destra, 36 anni)

La storia che Paolo Cognetti scrive è una vicenda amara e angosciante, ma che è capace di regalarci più spunti di riflessione. In primis, assistiamo allo sviluppo di un legame di fratellanza sincero e solido di fronte a qualunque mutamento e arriviamo anche noi a volere bene a questi due ragazzoni con la barba folta e gli occhi chiari.

«Ci sentivamo molto poco, come se la nostra amicizia non avesse bisogno di cure.»

I protagonisti sono influenzati da un rapporto conflittuale con i propri padri che entrambi, seppur in modo diverso, sono assenti. Pietro e Bruno sono due bambini che iniziano a condividere tutto fino a -scambiarsi- quei padri lontani e qualche fidanzata, ma che reagiscono diversamente al dolore, al passato che ritorna, agli imprevisti. Le scelte che fanno nella loro vita le prendono assecondando convinzioni vecchie e nuove e agendo spesso d’istinto. Il personaggio di Pietro, anche voce narrante della storia, va incontro a un’evoluzione, mentre quello di Bruno rimane fermo. Entrambi, alla fine, mostrano di aver trovato il loro posto nel mondo, senza però poter evitare di pagarne il prezzo.

Una particolarità del film è il suo formato. Invece dell’usuale 16:9 è stato usato il 4:3 per ricordare il formato dei filmini a 16 mm usato ai tempi dagli alpinisti filmakers. Formato con il quale possiamo contemplare le montagne, la neve e le nuvole. Luoghi incontaminati tra Italia, Francia e Belgio che incantano con i loro colori. Se ancora non lo avete fatto andate al cinema a vedere questo film di silenzi, attese e amore. Vi insegnerà che non si può aiutare chi non vuole essere aiutato ma anche che spesso crediamo di dover aiutare chi, invece, ha scelto consapevolmente di rischiare. Vi insegnerà che l’amicizia, quella vera, è un filo che non si spezza né con il tempo né con la distanza. Dovrete avere un cuore forte ma ne varrà la pena.

Sveva Serra
Classe 2004, classicista ancora per poco, aspirante giornalista, metà napoletana e metà romana, socievole e determinata. La scrittura ha dato un senso alla mia vita e mi rende libera. Credo nel potere delle parole e dell'onestà. Sono avida di vita e piena di voglia di fare.

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1 Comment

  1. […] dite il Sesia», l’aveva ripresa il marito Luigi quindici anni prima, un po’ come Bruno che ne Le otto montagne sgrida gli amici di Pietro, «siete solo voi di città che la chiamate natura». Persiste una sorta […]

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