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Dopo Ex Machina (2015) e Annientamento (2018), Alex Garland incanta lo spettatore con il suo terzo lungometraggio: Men (2022). I film di Garland appartengono a ciò che si definisce elevated horror, un filone fortemente autoriale in cui il genere cinematografico viene manipolato per trattare temi alti, che possono essere filosofici o sociali. I principali sceneggiatori e registi che fanno parte, insieme a Garland, di questo filone sono Ari Aster (Hereditary – Le radici del male, 2018), Robert Eggers (The Lighthouse, 2019) e Jordan Peele (Scappa – Get Out, 2017).

La trama (no spoiler)

Harper Marlowe (Jessie Buckley) è una giovane donna che, dopo un evento traumatico, decide di concedersi una vacanza nel villaggio di Cotson, in Inghilterra. Arrivata a destinazione, una maestosa villa sperduta nella campagna inglese, ad accogliere Harper c’è l’eccentrico ma apparentemente innocuo proprietario della tenuta, Geoffrey (Rory Kinnear). Dopo un tour della casa, Harper decide di esplorare la campagna desolata e si ritrova all’entrata di un tunnel abbandonato. Da questo momento in poi cominciano ad accadere cose strane, che assumono una sfumatura sempre più sinistra e surreale via via che il film prosegue. Le violenze subite da Harper, che siano psicologiche o fisiche, hanno tutte un elemento in comune: sono perpetrate da uomini.

L’importanza della simbologia in Men

Dall’inizio alla fine, Men è cosparso di allegorie più o meno esplicite che richiamano la Bibbia, il folklore e addirittura la botanica, per spiegare diversi aspetti della dicotomia maschile-femminile. Le figure folkloristiche di cui il regista si serve sono la Sheela-na-gig, una donna nuda che mostra la vulva ingigantita, e il Green Man, un uomo i cui baffi e capelli sono composti da foglie che fuoriescono anche dalla sua bocca. Questi due personaggi vengono spesso inquadrati nel dettaglio e, alla fine del film, convergono in un’unica entità, trascinando lo spettatore in una sequenza surreale e molto grafica. Mentre quel folklore può essere sconosciuto a molti, il richiamo biblico ad Adamo ed Eva è facilmente riconoscibile. Quando Harper prende una mela e la addenta è evidente il sottotono religioso; nella Bibbia è proprio la donna, Eva, a cogliere la mela, diventando così la colpevole della caduta dell’essere umano e del peccato originale.

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Fotogramma: Men © 2022 Alex Garland/A24, DNA Films

Un ultimo simbolo ricorrente, più implicito, è quello del soffione. La particolarità di questa pianta sta nella sua riproduzione, che avviene per via asessuata. Ciò significa che ogni seme produce una pianta che è un clone di quella da cui deriva. La connessione tra il soffione e i personaggi maschili è quindi ovvia, poiché, per quanto tutti gli uomini del film abbiano aspetti diversi, rimangono comunque l’uno il clone dell’altro, specialmente quando si osservano le loro espressioni.

L’oppressione della donna nel sistema patriarcale

Men ruota attorno al tema della mascolinità tossica e delle sue diverse manifestazioni, dalle più innocue alle più esplicite, che prendono vita nelle figure maschili che perseguitano Harper per tutta la durata del film. Come abbiamo detto, tutti gli uomini presenti in Men, a eccezione del marito di Harper (Paapa Essiedu), sono interpretati dallo stesso attore, Rory Kinnear. Nonostante siano individui di diversa età, estetica e carattere, offendono, importunano e sminuiscono la protagonista con una comune inquietante disinvoltura. Dalla violenza verbale e psicologica a quella fisica, tutti gli uomini che Harper incontra nel villaggio non fanno che sovrastarla, opprimerla e molestarla. E le molestie possono essere molto esplicite, come un contatto fisico non consensuale, o più ‘sottili’, come considerazioni passivo-aggressive volte a invalidare i pensieri e le preoccupazioni della protagonista.

È interessante notare che uno dei protagonisti maschili è un adolescente. Il fatto di includere una persona così giovane sembra voler evidenziare come la violenza sia radicata anche nei più piccoli, influenzati dalla tossicità del sistema patriarcale fin da quando nascono. In questo contesto fortemente fallocentrico, Harper diventa simbolo della riscossa femminile e, infatti, alla fine del film, riesce finalmente ad affrontare l’uomo che, più di tutti, l’ha oppressa: suo marito James.