Era uno dei grandi ospiti attesi e non ha deluso le aspettative.
Enrico Mentana si è preso la scena di Piazza Umberto I, dialogando con Marco Castelnuovo (direttore del Corriere di Torino). Come da previsione, le analisi del direttore di La7 si sono concentrate, vuoi per maggiore interesse, vuoi per l’incombenza del prossimo 25 settembre, sul tema politico, e in particolare sui vari schieramenti e partiti italiani.
Il “pericolo” estrema destra…
Nonostante abbia ammesso la sua reticenza nel fare previsioni in qualsiasi ambito, il giornalista milanese, proprio grazie alla sua professione, non può che essere consapevole del “forte vento con l’aroma di Meloni” che sta spirando e della forte probabilità di vittoria del centrodestra unito. Non sarebbe una sorpresa, considerando anche l’egemonia a livello regionale di quei partiti, ed è un qualcosa che è già avvenuto varie volte nella storia recente. Questa volta, tuttavia, con due elementi di novità: la supremazia della forza più radicale e il fatto che a guidarla sia una donna.
… e gli errori del PD
Al centro della sua disamina si è poi collocato il Partito Democratico, reo di non aver reagito all’evidente avanzata degli avversari e soprattutto di non avere un programma politico definito. Il modus operandi del centrosinistra attuale, infatti, è quello di “innamorarsi di chi governa” e della sua agenda politica, senza mai esprimersi con chiarezza riguardo, ad esempio, alle politiche del lavoro.
Su quest’ultimo punto, negli anni di Governo, il PD ha prodotto poco o nulla e Mentana, imbeccato da Castelnuovo, ricorda quanto il Jobs Act sia stato “una riforma potenzialmente positiva, ma scollata da un’iniziativa politica capillare, e quindi in parte controproducente”.
La mancanza di un’identità forte per il partito erede della socialdemocrazia novecentesca si manifesta anche nelle varie anime che lo compongono, dalla più liberale di Marcucci alla più filocomunista di Provenzano. Secondo Mentana il PD deve “decidere cosa vuol fare da grande”, deve ricordarsi delle proprie radici operaie e popolari. L’altro grande neo dei dem, infatti, è quello di essersi allontanati dalle periferie, dalla sofferenza degli ultimi: battersi a favore degli immigrati è corretto, ma non lo si può fare adeguatamente se non si conoscono le realtà in cui essi andranno a vivere.
L’unico elemento a difesa dei grandi partiti tradizionali è che la “mole dei problemi italiani ha reso più facile la protesta rispetto alla proposta”: ne sono una dimostrazione le scorse elezioni, e probabilmente lo saranno anche le prossime, con il trionfo “dell’unica forza all’opposizione del Parlamento negli ultimi dieci anni”. A ulteriore dimostrazione di questo il direttore si sbilancia affermando che FdI, Lega, M5S e Italexit, ovvero i partiti antisistema, otterranno la maggioranza assoluta.
Politica e giornalismo, fra maratone e deformazione
Sul tema del giornalismo, invece, Mentana non crede che il problema riguardi la parzialità a sinistra di molte testate, bensì il sostanziale anacronismo dei grandi quotidiani, i quali non riflettono più lo scenario politico corrente.
In seguito l’intervista si concentra sulle “maratone”, e alla domanda se fosse o meno un format da cambiare l’ex direttore del TG5 non eccelle in concisione. Egli ricorda lo spostamento a destra dello spettro politico, la perdita di incomunicabilità fra i partiti, quanto ci si vada a collocare nello schieramento più “conveniente”. Tutto questo per dimostrare la maggiore difficoltà nel raccontare la vita politica italiana, e la necessità di essere spassionati per poterlo fare.
Non risparmia, inoltre, una stilettata alle posizioni più complottiste, soprattutto in ambito vaccinale, ed elogia i giornalisti che non danno loro spazio. Tutti gli altri, infatti, sono responsabili del “trionfo della contrapposizione spettacolare e della deformazione”, in cui “non sono i personaggi in cerca d’autore, ma gli autori alla ricerca di personaggi”.
Il passaggio di testimone fra tv e social
Il dialogo-intervista viene indirizzato su un piano più inerente al Festival, riguardo alla forza mobilitativa della televisione. In questo senso Mentana è lapidario: la tv ha perso il potere (fortunatamente) nell’orientare le masse, a scapito però dei social network.
Per quanto concerne i nuovi media, infine, non senza qualche frecciatina satirica legata al fenomeno Tik Tok, sottolinea la necessità di confrontarsi con essi. Fino agli anni 2000 i giornalisti erano arroccati nella “torre d’avorio”, non avevano il feedback quasi istantaneo odierno dei lettori. Da qui l’esigenza di scendere dalla torre e di calarsi in quella che è diventata la “nuova agorà, l’ambito in cui si discute”.