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Un altro naufragio che alimenta la strage silenziosa degli ultimi: il Mar Mediterraneo sempre più simile a un cimitero di migranti.

Ottanta i corpi recuperati fino a ora, continuano le ricerche nel Mar Egeo. Il numero di migranti morti nell’ultimo naufragio a largo della Grecia fa più paura del solito: si parla di cifre comprese tra le 500 e le 600 vittime. Di queste almeno 100 sarebbero bambini.  

Cosa è successo: la dinamica del naufragio in Grecia

Un peschereccio si è capovolto e inabissato a 47 miglia nautiche dalla località greca di Pylos, nel sud del Peloponneso. Sono tuttora in corso le operazioni di ricerca e soccorso. Per adesso le persone recuperate vive sarebbero un centinaio. In questo tipo di operazioni, però, ogni secondo è di assoluta importanza, e ogni secondo che passa le probabilità di trovare un naufrago ancora in vita si abbassano. Il naufragio in Grecia potrebbe entrare a gamba tesa nella storia come il peggiore degli ultimi anni: il numero di migranti deceduti stimato ammonta a 600. Evento del tutto simile a quello avvenuto il 18 aprile 2015, quando nel Canale di Sicilia si inabissò un altro barcone in cui morirono in 1100.

Una strage silenziosa: i numeri dei migranti morti in mare

Il Mar Mediterraneo in questi anni è teatro di numerosissime morti, protagonista indiscusso dell’ipocrisia del mondo occidentale. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni solo nei primi tre mesi del 2023 i decessi accertati sarebbero più di 440. Inutile dire che il numero di queste morti è destinato purtroppo a salire, soprattutto con l’arrivo del periodo estivo. La ricetta europea per risolvere la questione? Ritardi nei soccorsi e ostacoli posti alle organizzazioni non governative che si occupano di ricerca e soccorso nel mediterraneo. Dal 2014 sono più di 26000 i migranti morti nel Mar Mediterraneo.

Mar Mediterraneo: la speranza fa meno paura della morte

Migranti economici, richiedenti asilo, rifugiati. Questi i termini che vengono usati per chiamare coloro che fuggono dalla propria terra per andare alla ricerca di una nuova vita, magari più fortunata. A noi però sembra doveroso ricordare che, appellativi a parte, si tratta di persone. Donne, uomini, bambini. Esseri umani che, chi costretto chi per scelta, abbandonano la propria terra martoriata da guerra e instabilità politico-economica. Intraprendono quindi un viaggio lungo se va bene da quattro ai sei anni, attraversano miseramente le zone più pericolose del pianeta, quelle che noi chiamiamo ‘inferno sulla terra’. Si ritrovano così in Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Turchia. Cosa hanno in comune questi posti? Il mare. Mare Mediterraneo che diventa l’unico confine tra la morte e la speranza, non tanto di vita migliore, quanto semplicemente di vita.