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Narrare

C’è un libro, Il viaggio dell’eroe, scritto una trentina d’anni fa da Christopher Vogler, che meglio di tutti ha saputo dimostrare l’esistenza di un ‘metodo scientifico’ alla base del gesto di narrare, affermando con abbagliante e seducente chiarezza che in fondo un cammino comune è possibile, una Via Maestra praticabile seppur non completamente estranea ai pericoli, nell’indomito e selvaggio mondo delle storie. È l’impalcatura che sorregge la quasi totalità dei libri che abbiamo letto, dei film che abbiamo visto. Anche solo sfogliandolo, si ha l’impressione di tenere tra le mani una mappa, preziosissima, e non c’è da meravigliarsi se ogni scrittore o sceneggiatore ne custodisca avidamente una copia, né se la prima cosa che fa un insegnate di storytelling sia elencare ai propri alunni le 12 tappe fondamentali del Viaggio. Con buona pace dei manualisti di scrittura creativa, spesso autori di testi banali e inconsistenti, tanto più banali e inconsistenti quante più certezze millantano, il saggio di Vogler è la carta nautica par exellence con cui orientarsi in mare aperto, il più solido ormeggio a cui aggrapparsi quando ci ritroviamo in balia delle onde: stabilisce le norme, detta i tempi, delinea una struttura; nondimeno, garantisce ottimi risultati.

In estrema sintesi, il Viaggio è questo qui: l’eroe viene chiamato all’avventura, inizialmente è titubante ma poi accetta, parte per compiere l’impresa, varca la prima soglia ed entra nel cosiddetto mondo straordinario, supera una serie di sfide e ostacoli e raggiunge infine il suo obiettivo, dopodiché ritorna nel mondo di partenza portando con sé un premio, un elisir, un nuovo sapere. «Non bisogna pensare subito a draghi e cavalieri – scrive Alessandro Baricco ne La Via della Narrazione, testo ispirato a una lezione tenuta alla Scuola Holden nel novembre del 2021. Anche Casablanca o Lo Squalo, sostiene Vogler, funzionano così. Anche Moby Dick, per dire. E l’impresa a cui l’eroe è chiamato potrebbe essere semplicemente quella di diventare grande, o conquistare la vicina di banco».

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Editoriale N°22 – Narrare

Bene, ora pensate a un film, uno qualsiasi. Fatto? Provate a dividerlo in tre atti e rileggete la sequenza di tappe che l’eroe deve percorrere: non vi sembrano perfettamente coerenti, il vostro film e Il viaggio dell’eroe? Di solito, una prova del tutto analoga viene fatta anche dagli addetti ai lavori, gli sceneggiatori di una serie tv ad esempio, per capire se ciò che hanno scritto funzioni oppure no. Ci sentiamo meno smarriti quando schemi e regole sono in grado di offrirci un riparo dal caos. Costa un po’ di fatica, abituarsi a utilizzare questi nuovi strumenti, e un pizzico di libertà di movimento, ma tutto sommato è un prezzo che paghiamo volentieri.

A questo punto, può essere che qualcuno si stia domandando: d’accordo, il modello del Viaggio funziona, anche il giochino di prima ha funzionato, ma come ha fatto Vogler a intuire tutto ciò? Presto detto. Riprendendo un’idea elaborata dal saggista americano Joseph Campbell – a sua volta ispiratosi alle teorie di Jung sull’inconscio collettivo -, Vogler è persuaso che tutte le storie discendano da un’unico, grande archetipo. Una danza eterna in cui Shrek, Il Padrino e Zanna Bianca, per dire, non sono altro che tre diverse sfumature della stesso colore, tre modi diversi di lavorare lo stesso blocco di argilla, tre diverse manifestazioni di un’unica storia.

Se in prima battuta la tesi di Vogler può sembrare convincente, romantica perfino, vale a dire che esistano uno sguardo collettivo con cui guardiamo il mondo e un modo archetipico di abitarlo, e che questo sguardo e questo modo abbiano inconsciamente influenzato, tramite la struttura intercettata nel Viaggio dell’eroe, il nostro gesto di narrare, a una più attenta riflessione ci si rende conto che le cose non stanno esattamente così. Invero, negli ultimi duecento anni abbiamo fagocitato talmente tante storie, talvolta senza nemmeno rendercene conto, ciascuna delle quali ideata e assemblata seguendo più o meno lo stesso schema, che alla fine ci siamo assuefatti a una sorta di egemonia narrativa. Niente di perverso, si capisce, nessuna bieca macchinazione dall’alto, semmai un pensiero unico, antico e dominante, camuffato da archetipo: con la conseguenza, però, che il nostro sguardo e il nostro modo di abitare il mondo – e per mondo si intende tutto ciò che è raccontabile, ad esempio una guerra: dice niente? – hanno subito una notevole e irreparabile stortura.


Illustrazione di Cristina Maggio

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