Cap. III La pazzia
Continuai a fissare quel muscolo pulsante appeso come un borsello sulle spalle di Vale, ero allibito. Possibile che quel sogno fosse più reale del previsto? Le domande mi rimbalzavano nella testa fino a quando il fattissimo Simo non mi scosse: “Oh fratellì, stai bene? Hai una faccia bianchissima”, non sapevo cosa dire, decisi di allontanarmi e prendere una boccata d’aria, sembrava davvero tutto troppo strano. “Ho bisogno di fare un giro, vieni con me?” chiesi al mio amico dagli occhi arrossati nel caos della discoteca. Sembrava che tutto andasse a rallentatore e il respiro mi si faceva più affannoso, come durante gli attacchi di panico di cui spesso soffrivo alle medie. Uscii nel piccolo cortile interno della discoteca e la musica si fece più lontana: gente rideva, si abbracciava, scambiava battute mentre io ero come in una bolla, tutto sembrava ovattato come se fossi trasportato altrove, finchè da un angolo remoto lo rividi: lo stesso completo scuro che lo faceva sembrare un becchino, l’odioso cartellino con scritto “responsabile ingressi” e il sorriso a 32 denti. Era il tipo del sogno, ne ero certo. “Signor Federico, bella serata non trova?” disse tendendomi la mano, “Porca puttana è reale!” esclamai, forse troppo forte perché un gruppetto di ragazze vicino a me si voltò, “che linguaggio, potrebbe essere più educato sa? Bando alle chiacchere comunque, come si sente nella sua nuova veste di Apanthes?”, “Apanthes?” sussurrai tra me e me cercando di ricordare tra leggera ubriacatura cosa volesse dire quella parola, “5 anni di greco buttati” mi dissi, “Non sa cosa vuol dire Apanthes? Semplice, sono i “senza cuore”, gli adulti più richiesti nel mondo del lavoro, campioni dell’efficienza e del comando. Alcuni li definiscono figli dell’Ade, perché il loro buco nel petto richiede una dose di affetto superiore all’umano, vivono costantemente insoddisfatti e questo li spinge a ricercare la perfezioni in ogni aspetto della loro vita. Tu sei uno di noi da quando quel ragazzo laggiù ti ha rubato il cuore, il famoso Vale vero?” continuava a dirmi il tutto come se fosse estremamente normale, quasi un copione pre-impostato, fu allora che notai una strana rientranza sotto il taschino sinistro della camicia, pareva mancasse una parte proprio come a me nel sogno, con un filo di voce mi feci coraggio e chiesi: “Anche lei è un …, “Apanthes? Certo, siamo i migliori a gestire gli ingressi. Magari sarà presto uno di noi, chi può saperlo”.
“Fede? Ehi Fede cosa succede?”, Andre mi scosse, “Devi aver fumato tantissimo per metterti a parlare con un cespuglio!” e giù di risate collettive, alla fine mi avevano trovato quelle otto teste calde. “Hai deciso di rimanere qui a limonarti la siepe o ci divertiamo sul serio questa sera?”, come al solito Giovanni sapeva riportare tutti sul focus della serata. Giovanni era figlio di alcuni ricchi imprenditori della città, alto e con i capelli ricci, un sorriso meraviglioso e un animo buono da far invidia ai santi, peccato che di santo in quelle serate avesse ben poco. Era una bomba ormonale pronta a scoppiare, e il Mango era il suo terreno di caccia, come per la tigre una fitta giungla. “Fate cosa volete io mi lancio, non sono venuto per sentire puzza di testosterone” urlò Giova tra le risate generali portandosi dietro buona parte della comitiva. Rimasi fermo, era ancora sotto shock per la strana apparizione quando da lontano lo rividi, Vale e il mio cuore, con lui e questa volta la sensazione fu diversa, iniziai a tremare come una foglia, una rabbia profonda mi attraversò come una scossa mentre la paura montava sempre maggiore. Volevo riprendermi ciò che era mio, volevo urlargli in faccia il dolore, riempire quel buco nel petto, fino a che la paura non prese il sopravvento. Uscì dalla discoteca di corsa lasciando lì i miei amici, avevo bisogno di tornare a casa e sistemare quell’assurda situazione perché non riuscivo a sopportarla, non aveva senso e il dolore sembrava fisicamente sempre più reale.
Salì in macchina e partì con una promessa fatta alle stelle: “non mi rivedranno mai più”.