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Quattro calciatori che hanno incarnato la devozione per la loro squadra

Lo scorso 3 gennaio il calciatore egiziano Mohamed Salah ha dato l’annuncio ufficiale: a fine stagione lascerà il Liverpool. Una notizia che era già nell’aria, ma per questo non meno amara per i tifosi, dato che il 32enne milita nelle file dei “Reds” ormai dal 2017 ed è diventato una colonna portante del club grazie ai suoi gol, con cui ha trascinato la squadra alla vittoria di tutti i titoli a livello nazionale e internazionale.
Vedere quella saetta rossa correre sull’ala sinistra era diventata una piacevole certezza, non solo per i tifosi dei Reds, ma anche per gli appassionati del calcio. Perché Salah è uno di quei giocatori che rimangono un po’ nell’ombra, ma che sono determinati in quasi tutte le partite.
Difficile pensare al tridente d’attacco del Liverpool senza di lui, anche se, al giorno d’oggi, nel calcio più che in altri sport di squadra, è sempre più raro vedere giocatori che non cambiano mai bandiera, che restano devoti alla loro maglia per tutta la vita.
Il passato, però, ha regalato diversi esempi di atleti di questo tipo, emblemi della dedizione e dell’amore verso un club, e per i quali la società di appartenenza non era una semplice squadra di calcio, ma rappresentava qualcosa di molto più profondo.
Nelle prossime righe vi voglio raccontare la storia di quattro giocatori così, quattro italiani che hanno fatto la storia dei loro club e della Nazionale, ma che, soprattutto, sono rimasti impressi negli appassionati per la loro fedeltà alla maglia. 

Lo “Zio” Bergomi

Beppe Bergomi ha iniziato a correre dietro un pallone da calcio all’età di 9 anni e ha continuato fino a quando le candeline sulla torta sono arrivate a essere 36.
Nel 1977, all’età di 14 anni, ha indossato per la prima volta la maglia neroazzurra nelle giovanili dell’Inter, e da quel momento non ha mai abbandonato questi colori.
Difensore in grado di unire fisicità e velocità, precisione ed eleganza, le sue caratteristiche lo hanno reso un giocatore assai duttile e gli hanno permesso di battere i tempi ed esordire in prima squadra già nel 1979, quando di anni ne aveva 16.
Altrettanto velocemente è riuscito a conquistare la Nazionale, partecipando al primo mondiale, e vincendolo, a soli 18 anni nel 1982, il secondo calciatore più giovane al mondo a vincere questo titolo dopo Pelè.
All’epoca era il più giovane della compagine e per apparire più maturo e guadagnarsi il rispetto dei compagni, ma, soprattutto, degli avversari, si presentò al mondiale spagnolo con un paio di baffetti che gli valsero il soprannome di “Zio”, nomignolo che si porta dietro ancora oggi.
Grazie alla sua devozione alla maglia, divenuta una seconda pelle per lui, e al suo impegno, Bergomi divenne ben presto leader e bandiera dei neroazzurri. Un esempio di serietà per tutti i compagni di squadra e i giovani appassionati di questo sport, che con lui hanno condiviso gioie e dolori.
Una dedizione al proprio lavoro che lo “Zio” ha dimostrato anche nella capacità di rimanere ad alti livelli pur in età già avanzata per un calciatore, non solo nell’Inter, ma anche in Nazionale. Bergomi è riuscito a disputare, infatti, ben quattro Campionati del mondo: oltre a quello vinto nell’82, il difensore è stato presente allo sfortunato mondiale di Messico ’86; ha disputato il mondiale italiano del 1990, mentre si è visto scartato nel ’94 per la spedizione negli USA. Nel ‘98 si è preso, però, la rivincita ed è tornato a vestire i colori azzurri, convocato da Cesare Maldini per il torneo in Francia. In quest’ultima occasione, pur partendo dalla panchina, è subentrato durante la terza partita del girone all’infortunato Nesta, giocando le successive gare e facendo valere in campo tutta la sua esperienza (questa volta senza dover farsi crescere i baffi).

Capitan Maldini

Un altro calciatore che può dire di avere come seconda pelle la maglietta della sua squadra è senza dubbio Paolo
Maldini. Figlio d’arte di un ex colonna rossonera, Cesare Maldini, anche Paolo è rimasto sempre fedele alla squadra nella quale ha iniziato a giocare da bambino.
Paolo Maldini e Giuseppe Bergomi sono allo stesso tempo due opposti e due gemelli: entrambi hanno dimostrato durante tutta la loro carriera un’incredibile devozione al loro lavoro e un attaccamento fortissimo alla squadra di club, pur militando nelle due sponde opposte di Milano, le acerrime rivali Inter e Milan; entrambi difensori tecnici e flessibili, in grado di ricoprire sia il ruolo di centrale, sia quello di terzino, ma, mentre Bergomi presidiava il lato destro, Maldini si lanciava nelle sue incursioni sul lato sinistro.
Entrambi sono stati un grandissimo esempio di leader della squadra e di professionalità: anche Maldini può contare il suo bel numero di presenze nel Milan, in tutto 647.
Con i rossoneri il figlio d’arte ha vinto tutto, dai campionati alle coppe Italia, 5 volte la Champions League, 5 volte la Supercoppa UEFA e due volte l’intercontinentale.
Anche la carriera di Maldini è stata un alternarsi di gioie e dispiaceri, che tuttavia non gli hanno fatto perdere la passione per i colori milanisti e per il calcio. Da capitano ha sollevato il suo ennesimo e ultimo trofeo nel 2007 a ben 39 anni, vincendo la finale di Champions League ad Atene contro i rivali del Liverpool, che solo tre anni prima avevano lasciato l’amaro in bocca ai rossoneri nella deludente finale di Istanbul, vinta dai “Reds” ai rigori, dopo che il Milan si era portato in vantaggio per 3-0 nel primo tempo. Ma di quella sfortunata finale del 2004 rimane senza dubbio impressa nella mente e nei cuori l’esultanza del capitano rossonero dopo aver segnato di testa il primo gol del match: la sua corsa verso i compagni di squadra in cerca del loro abbraccio, il suo viso emozionatissimo, un accenno di lacrime di commozione; l’espressione di un esordiente alla sua prima rete messa a segno.
Paolo Maldini è l’emblema del capitano, dato che ha ricoperto questo ruolo per tantissimo tempo, non solo al Milan, ma anche in Nazionale.
Come Bergomi, anche Maldini ha partecipato a ben quattro edizioni del mondiale di calcio: troppo giovane per prendere parte alla festa nel 1982, inizia la sua avventura nel 1990, per poi rimanere in azzurro fino all’Europeo del 2004, due anni prima del trionfo dell’Italia al mondiale di Germania 2006.
A differenza dello “Zio”, purtroppo Paolo non vincerà mai nulla con la Nazionale italiana: un pizzico di rammarico in una carriera costellata dai successi.

La dedizione per lo sport che nasce fin da giovane età

Francesco Totti, “Er pupone”

Pensi alla Roma Calcio degli ultimi trent’anni e non puoi non associarla a lui: Francesco Totti, “Il gladiatore”, “Er pupone”.
Totti non è stato soltanto un capitano e una bandiera per la squadra capitolina, ma ha rappresentato l’essenza stessa di questo team durante tutta la sua carriera. Giocatore dotato sia di forza fisica che di tecnica, un po’ guascone e a tratti sbruffone, un eterno ragazzino che in campo, prima di tutto, si divertiva e cercava, con le sue giocate, di sorprendere i suoi avversari.
Lo stesso effetto sorpresa che ha permesso alla sua Roma di vincere uno storico scudetto nel 2000-2001, portando una ventata di novità nel panorama calcistico italiano dominato dallo strapotere delle tre big: Juve, Milan e Inter. Impresa riuscita in quegli stessi anni solo a un’altra squadra, anch’essa della capitale, ma su fronte opposto: la Lazio, allenata dal compianto Eriksson, che ci ha lasciati quest’anno.
Anche Francesco Totti ha iniziato a giocare da giovanissimo nelle giovanili della Roma, a soli 13 anni, senza mai
cambiare maglia per tutta la sua carriera.
Rifiutando allettanti offerte di club nei quali, forse, avrebbe potuto vincere di più, “Er pupone” è rimasto fedele alla sua Roma, dove ha saputo comunque prendersi le sue soddisfazioni. A coronamento della sua carriera calcistica, la ciliegina sulla torta più succulenta è stata la vittoria del Mondiale con la Nazionale italiana nel 2006.

Alessandro Del Piero, “Pinturicchio”

Alessandro Del Piero, a differenza di Totti, Bergomi e Maldini, ha iniziato a vestire la maglia bianconera solo a 19 anni, ma anche lui è stato un grande esempio di dedizione al suo lavoro e alla squadra di calcio per la quale è rimasto fedele per il resto della sua carriera da professionista: la Juventus.
Forse ancora più degli altri tre ha dimostrato l’attaccamento al club di cui era capitato, accettando anche di giocare in Serie B a seguito della retrocessione della Juve decisa dal tribunale sportivo dopo i fatti di “Calciopoli”.
Una scelta probabilmente non semplice e sofferta per un campione del suo calibro, venuta subito dopo una grande gioia, quella di aver vinto il mondiale del 2006 con la Nazionale.
Una decisione forse non semplice, come non lo è stata l’intera carriera di Del Piero, costellata di infortuni, difficoltà a trovare il gol e l’intesa con i vari compagni di reparto che si sono succeduti, difficoltà a trovare spazio quando la società ha deciso di puntare su talenti più giovani e più promettenti.
Ma un atleta serio, che non ha mai voltato le spalle alla sua squadra, capace di farsi sempre valere, di essere decisivo nel momento giusto, oltre che divertente da vedere. Un Pinturicchio, come lo definì in un post partita l’avvocato Agnelli, allora presidente del club, affibbiandogli, come era solito fare con i giocatori che più lo entusiasmavano, un appellativo che Alex si è portato dietro durante tutta la carriera.


Totti, Del Piero, Maldini, Bergomi…i nomi che si potrebbero fare sono molti altri e non me ne vogliano gli appassionati di calcio in generale e i tifosi di altre squadre se ho tralasciato giocatori che, al pari di questi quattro, sono stati delle bandiere per i loro club di appartenenza.
Ma per chi è cresciuto negli ultimi trent’anni penso che loro possano veramente rappresentare il concetto di dedizione e devozione per una maglia, per dei colori, per una squadra fatta di compagni, che sono anche amici, con la quale condividere tutto, dalle emozioni più positive ai dolori più grandi. ♦︎