In Tár seguiamo uno stralcio della vita di Lydia Tár, affermata compositrice e direttrice d’orchestra caduta in rovina. Todd Field dirige un film meritatamente in corsa ai prossimi Oscar e già distintosi alla Mostra del cinema di Venezia e ai Golden Globe.
La mastodontica prova attoriale di Cate Blanchett fagocita ogni attenzione.
Cicchetto di trama
Lydia Tár, celebre e affermata compositrice e direttrice d’orchestra della Filarmonica di Berlino, dopo aver diretto quasi tutte le sinfonie di Mahler si appresta a salire nuovamente sul podio per la V sinfonia, l’unica che le manca.
Lydia sembra avere tutto. Insegna, dirige, compone, ha creato un programma di borse di studio e anche in privato può dirsi felice: è sposata con Sharon, primo violino della Filarmonica, ed è madre di Petra, figlia adottiva della moglie.
Tutto procede regolarmente finché, all’improvviso, Krista Ludwig – vecchia borsista di Lydia con la quale ha avuto una storia – si suicida lasciando intendere che la causa del gesto sia la condotta di Lydia. Per Lydia è l’inizio di un tracollo inesorabile.
Il mio Tár
Tár è un film dall’irresistibile fascino. Field non rinuncia a dare pennellate di thriller e di tragicommedia a un’opera ascrivibile al genere drammatico: la cosa non solo gli riesce ma spiazza particolarmente verso il finale della storia.
Il terzo lungometraggio del regista californiano è un film asciutto: una regia minimale che non lesina emozioni, rinforzata da fotografia e sceneggiatura (ben curate dallo stesso Field) in alcuni momenti essenziali mostrando, anche con sottile ironia (grazie a piccoli indizi disseminati qua e là), il declino della direttrice d’orchestra. Un’opera davvero interessante.
A seguire l’andamento del racconto e dell’efficace regia è la colonna sonora di Hildur Guðnadóttir che riesce a ritagliarsi un bello spazio, senza che l’opera di Mahler ne sovrasti il lavoro.
In un film dove continua prepotentemente a uscire Cate Blanchett, il resto del cast riesce a non scomparire in maniera quasi miracolosa, nonostante le ottime prove attoriali dei vari comprimari. Nina Hoss (Sharon Goodnow, moglie di Lydia) e Noémie Merlant (l’assistente di Lydia, Francesca Lentini) contribuiscono in maniera enorme a non far scordare al pubblico la presenza di altri personaggi nella storia.
Per tutto il corso del racconto la macchina da presa non perde praticamente mai di vista la protagonista: la seguiamo continuamente. Il film continua a ribadire così, non solo il suo essere la protagonista della storia ma, arriva a identificarla come la direttrice d’orchestra dell’intero racconto.
Cate Tár Blanchett
La Lydia Tár di Blanchett è una donna apparentemente algida, tenace, forte dei propri mezzi e della propria affermazione personale ancor prima che professionale: Lydia è una donna rispettata e temuta da colleghi e allievi, che tiene le redini di tutto ciò con cui ha a che fare, perfino durante la sua stessa intervista nella prima sequenza del film.
Fin quando resta “sulla cresta dell’onda” è lei che decide, lei che ha l’ultima parola tanto nella vita professionale sua e di molti altri, quanto nella vita privata e anche quando tutto sembra svanire, quando la sua stella sembra cominciare irrimediabilmente a spegnersi, ecco che la donna che è sempre stata rimane, raccoglie i brandelli di sé stessa e ricomincia quasi da zero.
Cate Blanchett ci dona una interpretazione esemplare di una donna che aveva tutto ma che il dubbio, i sospetti e certe verità costringono al più totale ridimensionamento in un rocambolesco, tragicomico finale.
Chiacchiere da bar
Tár è un film che mi ha preso fin dall’inizio e con il proseguire della storia mi ha tenuto incollati gli occhi allo schermo. Cate Blanchett è ipnotica. Todd Field lo sa e non la molla un attimo, distraendoci sapientemente dal corposo minutaggio: la fine del film arriva improvvisa e lascia storditi. Tutto il resto è un’opera ben fatta e imperdibile.