A distanza di vent’anni dalla sua uscita e nonostante nessuno l’avesse ancora perso di vista, The Dreamers, restaurato in 4K, torna in sala grazie al laboratorio L’Immagine Ritrovata, che quest’anno decide di far rinfiorare, fra le altre opere, quel ritratto di ardore adolescenziale sessantottino in cui erano confluite le passioni di Bernardo Bertolucci, verosimilmente condivise dallo spettatore: sala buia e rivoluzione.

«Volevo […] dare vita a un contagio e dire ai ragazzi di oggi che, se era giusto ribellarsi allora, lo è anche adesso».

L’onda di contagio iniziatico scaturita da The Dreamers lo rende un film emotivamente intramontabile per una porzione consistente di giovani cinefilə che l’hanno scoperto nel momento giusto, a occhi acerbi, prima ancora di aver conosciuto Buster Keaton o Nicholas Ray, in quella fascia d’età in cui lo schermo è ancora un surrogato dello specchio.

In questo crogiolo di topos e iconografie prettamente bertolucciane, sono proprio gli specchi a erigersi sopra tutto. Ancor più che in Partner. (1968) o in Strategia del ragno (1970) – pellicole seminali del regista parmense, già pregne dei suoi futuri leitmotiv, e in cui lo specchio si presenta come oggettivazione ideografica dell’archetipo del ‘doppio’ – qui, le rifrazioni pervadono il quadro, stratificandolo. Se nei primi film il riflesso sdoppiava i corpi di Giacobbe (Pierre Clémenti) e di Athos (Giulio Brogi), dando forma ai loro alter ego, qui il Soggetto ipertrofico Theo-Isabelle (Louis Garrel – Eva Green) – loro sono due, ma l’entità è una –, allargatosi come per superfetazione con l’arrivo di Matthew (Michael Pitt), si triplica e quadruplica.

Strategia del cinefilo

Come avviene per le immagini riflesse, anche le icone cartacee cosparse negli ambienti del film, appiccicate sulla fatiscente carta da parati della stanza di Theo (fotografie, poster, ritagli di giornale, copertine di vinili), palesano una stratificazione che è metafora della psiche dei personaggi. La struttura del loro linguaggio (iconico) si compone di citazioni, come quella del montaggio: sovrapposizione di film su film, pervasione di immagini connesse da rapporti intertestuali e, spesso e volentieri, erotizzate dall’impulso pubescente dei protagonisti, come accade nella scena dell’eiaculazione di Theo sul ritratto di Marlene Dietrich.

Lo schedario di immagini, meticolosamente custodite nella memoria dei personaggi, di Bertolucci, dello spettatore di questo film e di quello dei film citati, è l’essenza della passione per il cinema, che è anche amore per la citazione e, come sosteneva Serge Daney1, ossessione per la catalogazione, la classificazione, la conservazione di fotogrammi che si confondono con i ricordi e di narrazioni che si mescolano con la vita personale. Anche The Dreamers, come Bande à partFreaksScarfaceL’angelo azzurro e Luci della città, si fa spazio in questa “soggettività condivisa”, connettendo sia i suoi appassionati, sia i film che contiene. Non cinema politico, ma ritratto di una politica cinefila.

  1. Il pensiero di S. Daney è qui traslato da Eretiche ed erotiche. Le donne, le idee, il cinema (G. Fanara, F. Giovannelli, Liguori editore, 2004). ↩︎

Fotogrammi presenti in copertina e nel testo: The Dreamers © 2003 Bernardo Bertolucci/Recorded Picture Company, Peninsula Films

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