La Festa dei Lavoratori si celebra il 1° maggio nella maggior parte del mondo. Le sue radici sono da ricercarsi nell’800, quando gli operai di varie parti del mondo scioperavano contro le proprie condizioni lavorative.
“8 ore di lavoro, 8 di svago, 8 per dormire”: queste erano le parole del famoso slogan australiano del 1855 ed era anche quanto reclamavano nel maggio del 1886 i lavoratori statunitensi in sciopero, soprattutto nelle fabbriche di Chicago. In quanto lavoratori dell’industria, erano stati esclusi dall’Ingersoll Act del 1868, che garantiva ai dipendenti degli uffici federali e ai lavoratori pubblici turni lavorativi di 8 ore.
LA LOTTA PER I DIRITTI
Il 1° maggio 1886 i lavoratori incominciarono a scioperare per ottenere diritti, maggiore sicurezza e soprattutto orari di lavoro adeguati. La protesta raggiunse l’apice il 3 maggio, con lo sciopero di alcuni operai della fabbrica di macchine agricole McCormick. Le forze dell’ordine aprirono il fuoco sugli uomini e provocarono diversi morti e feriti. Di conseguenza, il giornalista Fischer convocò una manifestazione in Haymarket Square per il giorno successivo. Tuttavia vi fu un ulteriore spargimento di sangue. La vicenda sembrò concludersi nel giugno dello stesso anno con l’assurdo avvio di un processo che terminò l’11 novembre 1887, facendo giustiziare alcuni manifestanti.
L’ISTITUZIONE DELLA FESTA DEI LAVORATORI
Fu così che, nel 1889, durante il Congresso socialista del lavoro della Seconda Internazionale, quest’ultima dichiarò il 1° maggio “Giornata internazionale dei lavoratori” per commemorare la vicenda di Haymarket. In Italia la giornata fu istituita ufficialmente nel 1891. Dal 1924 e per tutto il ventennio fascista, però, la sostituì il 21 aprile, il “Natale di Roma – Festa del lavoro”. Il 1° maggio fu istituito nuovamente alla fine della Seconda Guerra Mondiale e dal 1947 è festa nazionale.
IL RISCONTRO NELLA REALTÀ E I CAMBIAMENTI
Avere una festa nazionale non rappresenta alcuna garanzia di cambiamento. La stessa Costituzione nei fatti non entrò in vigore immediatamente e in tutti i luoghi di lavoro, anzi. I valori costituzionali si tradussero in pratica soltanto dopo le lotte operaie degli anni ’60. La loro pressione diede come risultato la nascita della Legge 300/1970 o Statuto dei lavoratori. È di fondamentale importanza ancora oggi perché tutela il lavoratore, la sua dignità e i suoi diritti, ma garantisce anche la libertà sindacale. Il lavoratore, può, infatti, finalmente costruire associazioni sindacali per dare ascolto alla voce di ognuno.
I DIRITTI DEI LAVORATORI OGGI
I diritti conquistati durante il secolo scorso sono fondamentali, ma da soli non bastano più e, soprattutto, ve ne sono ancora alcuni poco rispettati. Uno dei maggiori esempi è rappresentato dall’art. 36 secondo cui “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Ciò non sempre è possibile in Italia, dove prevale il precariato, i contratti sono sempre meno a tempo indeterminato e hanno la meglio le forme di lavoro più flessibili perché vantaggiose per i titolari, ma svantaggiose per i dipendenti. I lavoratori, infatti, così hanno meno diritti e stabilità.
LA POVERTÀ ESISTE ANCORA?
La risposta è sì. Nel 2020 è aumentata la percentuale di povertà assoluta (7,7% del totale da 6,4% del 2019). Solo nel 2005 si raggiunsero livelli simili. Tuttavia, grazie a sussidi come il reddito di cittadinanza – o, eccezionalmente, il reddito di emergenza e l’estensione della Cassa integrazione guadagni – il valore dell’intensità della povertà assoluta è diminuito alquanto significativamente (dal 20,3% al 18,7%) omogeneamente sul territorio nazionale. Ciò significa che le famiglie in difficoltà sono riuscite a condurre una vita più dignitosa rispetto a quella che avrebbero avuto senza alcun aiuto.
NON È UN PAESE PER GIOVANI
La parte di popolazione più colpita dalla povertà è quella compresa tra i 18 e i 34 anni, quindi… i giovani! L’Italia è un Paese in cui la parte viva e più produttiva è sprecata, costretta a non poter essere attiva per mancanza di opportunità e mezzi. L’ISTAT constata e afferma che la povertà diminuisce al crescere del titolo di studio e dunque che l’istruzione è una protezione per la povertà. Ma qual è una delle piaghe maggiori della nostra nazione? La dispersione scolastica (che, in molti casi, conduce addirittura alla criminalità)!
Lo studio è il mezzo per formarsi e crearsi un’identità professionale, ma la corsa verso il mondo del lavoro si arresta per mancanza di prospettive, di continuità scuola-lavoro (ben diversa dall’alternanza). Noi giovani, infatti, siamo sempre più in crisi di anno in anno perché, con le occupazioni che troviamo, non riusciamo a fare alcun progetto. Le retribuzioni sono insufficienti o i lavori non sono adeguati alla nostra preparazione. Nel 2023 sono richieste innumerevoli competenze e conoscenze, ma c’è divario tra quanto offriamo noi e quanto riceviamo in cambio.
TRA PASSATO E FUTURO: UN PRESENTE CHE NON SODDISFA
I nostri nonni vivevano per lavorare, noi vorremmo lavorare per vivere; ma, visto che non ci è concesso oggi in Italia, siamo costretti a lasciare il nostro Paese per trovare all’estero chi è disposto a darci ciò che ci spetta a parità di offerta. Non si pensi, però, che andiamo via a cuor leggero. Ognuno vorrebbe restare a casa propria, ma le condizioni non sempre sono favorevoli e bisogna scegliere cos’è meglio per la propria vita.
J’ACCUSE…!
L’Italia, oggi, non è il meglio per noi e questo ci fa rabbia perché in passato era più semplice guardare al futuro con ottimismo, perché nel domani si intravedeva qualche promessa. Per noi non è così. Sia, quindi, la Festa dei Lavoratori motivo di riflessione soprattutto per i nostri politici e per tutti coloro che hanno reso terra bruciata il nostro presente e continuano a farlo.