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Gli Stati Uniti hanno chiesto di rientrare nell’Unesco.

A dare la notizia è stata la stessa presidente dell’organizzazione, la francese Audrey Azoulay , con un comunicato del 12 giugno.

Ma il governo Biden si era posto già da tempo l’obiettivo di un ritorno.
A luglio i 193 Paesi membri dell’Unesco si riuniranno per votare e decidere se accettare il ritorno del figliol prodigo.

La rottura tra Stati Uniti e Unesco

Gli attriti fra l’organo dell’ONU e uno dei suoi principali finanziatori sono iniziati già nel 2011, sotto il governo Obama.

In quell’anno l’Unesco accettò l’ingresso della Palestina nell’organizzazione con il voto favorevole di 107 Stati membri.

Gli Stati Uniti, che avevano votato contro, interruppero i finanziamenti, anche se rimasero all’interno dell’organo.

Ma la rottura definitiva fra Usa e Unesco avvenne nel 2018, quando alla Casa Bianca si era insediato Trump.

Gli Stati Uniti decisero di lasciare l’organizzazione, rea di avere, a loro detta, posizioni spiccatamente anti-israeliane.

L’accusa del tycoon arrivò dopo la nomina della città di Hebron in Cisgiordania a patrimonio dell’umanità palestinese. Un sito culturale caro anche agli israeliani, i quali si erano fortemente opposti a questa scelta.
Lo stesso Stato di Israele aveva deciso di abbandonare l’organo nel medesimo frangente.

Ora Washington pare, però, aver messo da parte i passati rancori nei confronti dell’Unesco e ha chiesto di rientrare.

Non solo. Ha anche messo sul tavolo un piano di rientro dei finanziamenti arretrati che ammonterebbe a 600 milioni di dollari. Oltre alla promessa di riprendere a foraggiare l’Unesco in futuro, con 150 milioni di dollari già previsti per il 2024, come si legge in un articolo del 14 giugno su Today.it
Ma cosa ha spinto il governo Biden a questo cambio di rotta?

Il ruolo dell’Unesco

Per capire le ragioni che hanno portato Washington a cercare di riallacciare i rapporti con l’Unesco si deve considerare la mission dell’organizzazione.

Siamo abituati ad associare l’Unesco alla salvaguardia del patrimonio culturale mondiale.

Ma questa funzione è solo una conseguenza dell’effettivo proposito dell’organizzazione.
L’Unesco ha, infatti, l’obiettivo di favorire la pace nel mondo attraverso la promozione dell’istruzione e della cultura.

Unesco il ritorno del figliol prodigo
La nuova frontiera dell’intelligenza artificiale

Uno dei temi ai quali l’organo dell’ONU ha previsto di lavorare in futuro è la regolamentazione dell’intelligenza artificiale.

La nuova frontiera raggiunta dallo sviluppo tecnologico provoca reazioni contrastanti: vi è chi la considera fondamentale per il futuro dell’umanità e chi le teme.

Ma comunque la si consideri, l’AI sta diventando una delle principali protagoniste dell’attuale scena globale.

L’Unesco, quale ente preposto a favorire l’istruzione e la formazione, sta stilando un codice etico proprio in materia di intelligenza artificiale.

E gli Usa non possono e non vogliono essere lasciati da parte in questo importante lavoro.
Ancor più che la loro assenza rischierebbe di lasciare campo aperto alla Cina.

Pechino potrebbe, così, influenzare e indirizzare le politiche dell’Unesco.

Il dragone è diventato, infatti, il maggiore finanziatore dell’organizzazione dopo l’uscita degli Stati Uniti.

Questo amplifica il suo potere all’interno dell’organo, per quanto l’Unesco possa cercare di rimanere il più possibile neutrale.

Lo scontro tra le due potenze

Agli Stati Uniti non interesserebbe tanto il fatto che l’Unesco abbia adottato posizioni più accomodanti per entrambe le parti nella controversia fra Israele e Palestina.

Non sarebbe neppure un il riconoscimento dell’importanza dell’operato svolto dall’organo dell’ONU ad aver spinto il governo Biden verso il tentativo di ricucire i rapporti.

Il vero motivo sembrerebbe essere, ancora una volta, il contrasto perenne con la Cina.

Questa pare essere anche l’ottica di Pechino.

Dal dragone la denuncia è stata immediata. Dopo l’annuncio della Azoulay sul possibile ritorno degli USA nell’Unesco, Pechino avrebbe subito affermato che l’intento degli americani sarebbe quello di ostacolare gli interessi cinesi.

Ancora una volta gli interessi globali sarebbero, dunque, messi da parte in favore della dicotomia fra le due potenze.

La speranza è che l’Unesco riesca a mantenere il più possibile la neutralità. Solo così potrá compiere al meglio la sua fondamentale funzione senza subire eccessive influenze esterne.