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Ho conosciuto Serhii Rylov durante un viaggio a Strasburgo e la sua storia mi ha affascinata.  Non poteva finire lì, la sua esperienza andava raccontata, e così, un mese dopo il nostro incontro, gli ho proposto di fare un’intervista.  Serhii, di origine ucraina, ha lasciato la sua città, Odessa, per trasferirsi nel Nord-Est della Romania, a Piatra-Neamt.

Qual è la tua storia?

Ho diciotto anni, quest’anno mi sono finalmente diplomato, e attualmente mi trovo in un campo rifugiati in Romania. Ho lasciato Odessa il 18 Marzo 2022, fortunatamente la mia città non era oggetto di attacchi nemici, sono semplicemente partito per raggiungere la Romania, completamente solo.

Ti manca la tua famiglia?

I miei genitori sono divorziati, mio padre non lo sento spesso. Vivevo con mia mamma a Odessa, e quando è scoppiata la guerra siamo andati ad aiutare al fronte. Ho anche un fratello più grande, che vive a Kiev, è diventato papà da poco. Certo, mi mancano. Ma lasciare la mia nazione era la scelta migliore, loro mi hanno spinto e mi hanno appoggiato.

Che attività di volontariato svolgevate al fronte?

Innanzitutto cucinavamo per i soldati; ascoltavamo i telegiornali per cercare di capire dove fossero i nemici. Essi posizionavano dei segni per tenere sotto tiro una determinata area, sulla quale sganciare bombe nei giorni successivi: il nostro compito era trovare i segni ed eliminarli. Un’altra attività era semplicemente supportarci a vicenda, sono stato un mese sul fronte, non posso dire che si respirava una bella aria, ma il calore della comunità era straordinario.

Oggi come contribuisci?

Oggi mi guadagno da vivere lavorando e una parte la spedisco in Ucraina. Sarei voluto entrare nell’esercito, ma ero troppo piccolo per farlo e l’opzione più sicura era andare via.

E i tuoi amici?

Nemmeno loro sono qui con me, conosco persone da varie regioni e continuo a sentirli. Ma sai… non è la stessa cosa di scambiare due chicchere faccia a faccia. Chiaramente soffrono il problema della sicurezza e dei bombardamenti, sono stressati, non è bello pensare che da un giorno all’altro la morte potrebbe toccare te o i tuoi cari. Al contrario mio, però, non si sentono soli perché sono circondati dalla propria cultura con i loro connazionali, non si sentono abbandonati. Invece qui è difficile trovare qualcuno con cui parlare. Nel campo ci sono altre persone ucraine ma sono tutte diffidenti. Credo sia una conseguenza della guerra: culturalmente non siamo un popolo riservato e isolato, ma le cose sono cambiate.

La speranza nelle tasche
La speranza nelle tasche

Come hai fatto con la scuola?

Ho continuato online, le mie professoresse erano tutte nella nazione, tranne una che si è trasferita nel Regno Unito.

Quali sono i tuoi piani futuri?

Per quanto riguardo il futuro, i miei piani sono completamente rovinati: avrei voluto frequentare l’Università, ma ho paura di tornare in Ucraina e nel resto d’Europa le iscrizioni sono già chiuse. Non so cosa mi aspetta, magari mi arruolerò nell’esercito ucraino oppure resterò qui o andrò a studiare in Repubblica Ceca, la loro cultura è molto simile alla nostra, più di quanto non lo sia quella rumena.

Qual è stato l’aiuto delle organizzazioni internazionali?

Ho apprezzato molto l’aiuto militare dell’Unione Europea Lo stesso non posso dire delle Nazioni Unite. L’aiuto diplomatico non è stato rilevante, ma si sono occupati di trasferire il grano sui mercati mondiali, e questo ha aiutato la nostra economia.

Hai qualche suggerimento per gli europei?

Innanzitutto bisognerebbe resistere alla propaganda russa, che da sempre fa riferimento alla narrativa imperialista. Penso che è importante studiare la storia per conoscere le differenze tra i due paesi: l’Ucraina non è uno stato fantoccio della Russia, siamo sempre passati per quelli che non siamo, ma purtroppo non abbiamo voce in capitolo. Noi e la Russia non siamo così uguali. Qualche giorno fa ho avuto una conversazione con una ragazza rumena, la quale pensava che la lingua ucraina fosse un dialetto della lingua russa, ma non è assolutamente così: le due lingue hanno in comune circa il 62%, meno del tedesco e francese, le cui caratteristiche comuni ammontano al 78%. Poi si potrebbe supportare la croce rossa o l’esercito, se si ha la disponibilità economica chiaramente. Infine, credo che bisognerebbe semplicemente parlare con i rifugiati: perché è difficile sentirsi soli o non inclusi nella società, bisognerebbe essere più cordiali.


Illustrazione di Cristina Maggio