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L’American Library Association segnala nel 2022 un record nel numero delle domande di rimozione di testi letterari nelle scuole pubbliche e nelle biblioteche degli Stati Uniti, con un preoccupante aumento rispetto all’anno precedente. Il fenomeno è sistemico e in continua espansione. In alcuni Stati, i bibliotecari, così come gli insegnanti, rischiano una multa o addirittura il carcere qualora diano in lettura ai minori questi ‘libri proibiti’. Secondo gli esperti, nei decenni scorsi la maggioranza delle richieste di interventi censori veniva da parte di singoli individui e quelle provenienti da gruppi erano una minoranza, oggi invece questa proporzione è invertita. È noto che, per un bias comportamentale conosciuto come «polarizzazione di gruppo», quando individui con posizioni condivise o simili su temi controversi si incontrano, discutono e si confrontano, le loro opinioni non solo si rafforzano, ma tendono a estremizzarsi. Sovente sono nuclei di persone mosse da istanze conservatrici a chiedere che i testi vengano ritirati, colpendo in particolare quelli in cui sono presenti contenuti LGBTQIA+ o che indagano il tema del razzismo, mentre gruppi con una visione del mondo opposta accolgono quei libri, ma a volte vorrebbero la rimozione di altri.

Nel 2019 nacque Disrupt Texts, un’associazione fondata da quattro docenti di lingua e letteratura inglese che tengono conferenze e seminari in tutti gli Stati Uniti, offrono attività di consulenza educativa a insegnanti delle scuole superiori e collaborano con la casa editrice Penguin Classics, un ramo della Penguin Books. Il loro obiettivo dichiarato è rendere più inclusivo e vario il ventaglio dei testi proposti nelle scuole, inserendone di nuovi. Il canone delle opere letterarie studiate negli anni della nostra formazione non è l’esito determinato da una darwiniana selezione naturale, ma il risultato di scelte culturali, anche non necessariamente eque, operate nel tempo da chi ha avuto il potere di farle. Ampliare il numero dei testi e degli autori trattati sarebbe ammirevole, però non è questo ciò che avviene, perché purtroppo lo spazio a disposizione dei docenti è limitato e obbliga per ogni nuovo ingresso a un’esclusione. Sebbene Disrupt Texts sostenga di non credere nella censura, né nella messa al bando dei libri, incoraggia gli insegnanti a ridimensionare certi autori, presentare sotto una luce negativa alcune opere oppure sostituire del tutto testi ritenuti nocivi con altri più inclusivi, che diano spazio a categorie sottorappresentate. Peccato che, secondo l’associazione o i suoi sostenitori, anche Omero, William Shakespeare, Francis Scott Fitzgerald, Arthur Miller e, con altri, la solita Harper Lee rientrino nel novero degli autori problematici, che affliggono l’attuale canone letterario, trasmettendo valori sbagliati. Shakespeare, in particolare, viene sminuito sostenendo che chi lo pone su un piedistallo come modello lo faccia in virtù di una mentalità colonialista, legata al suprematismo bianco. Anche quando ad ammirare il drammaturgo inglese fossero persone appartenenti ad altre culture, si tratterebbe sempre e soltanto di un condizionamento dovuto all’interiorizzazione di queste idee. Sebbene possano avere in parte ragione, in quanto nessuno può negare che il canone letterario sia stato costantemente appannaggio di un occidente autoreferenziale e impositivo, pare una semplificazione eccessiva e ingenerosa nei confronti del povero William, che, a loro dire, non sarebbe né universale, né senza tempo, dal momento che non avrebbe maggiori meriti letterari rispetto a un qualsiasi altro drammaturgo. Affermano quindi che nelle scuole gli insegnanti dedichino troppo spazio a Shakespeare e che le sue opere abbiano ricadute negative perché intrise di violenza, classismo, razzismo, antisemitismo, omofobia, misoginia e misogynoir (misoginia verso donne nere). Ma, per fare giusto un paio di esempi, il monologo dell’usuraio ebreo Shylock ne Il mercante di Venezia può essere letto come uno dei manifesti ugualitari più belli e arrabbiati della storia della letteratura, così come i sonetti dedicati a un giovane e a una dark lady, qualora autobiografici e non esercizio poetico, portano alcuni studiosi a supporre la bisessualità del poeta e una sua ipotetica relazione interrazziale. Un tempo quei versi furono ritenuti così scandalosi che per anni vennero fatti circolare con modifiche sostanziali quali la sostituzione dei pronomi maschili con quelli femminili. Questo dimostra che la ricezione di un autore sovente risente di ciò che ciascuno vuole dimostrare e di quello che si vuole andare a scovare a tutti i costi nella sua opera. Ogni testo è potenzialmente dannoso, se letto nel modo sbagliato. Pare che persino Il giovane Holden abbia ispirato alcuni attentatori o assassini. Uno tra tutti Mark David Chapman, che uccise John Lennon.

I giudizi riduttivi e moraleggianti di Disrupt Texts denunciano una loro tragica ingenuità riguardo ai motivi per i quali si dovrebbe studiare la letteratura. Non è necessario condividere i valori di un autore per riconoscerne l’importanza, ritenendo degno di attenzione solo ciò che è conforme alla nostra sensibilità odierna. E anche se il passato fosse puro male, non sarebbe questo un motivo in più per cercare di capirlo, anziché vederlo solo come un orrore da dimenticare? Va bene non approcciarsi ai classici con quel cieco atteggiamento reverenziale, che ormai dovrebbe essere sepolto dal pensiero critico moderno, ma è avvilente che, tra i numerosi sostenitori di questo movimento – e molti sono insegnati – ci sia chi scrive che l’Odissea è «spazzatura misogina» di cui disfarsi, o si vanta sui social di averne ottenuta la rimozione dal programma di una scuola, postando una foto in cui indossa fiero una maglietta o una felpa con la scritta «DISRUPTOR», acquistate tra altri gadget sullo store del sito di Disrupt Texts. Questa mentalità, che in teoria nasce per combattere l’intolleranza e la discriminazione, potrebbe paradossalmente insegnare agli studenti che quanto sentiamo distante da noi non abbia valore e vada eliminato. Il criterio per selezionare quali opere proporre, oltre a quello dell’equa rappresentanza di tutte le categorie, rischierebbe di basarsi non tanto sul valore estetico, sulla qualità letteraria, quanto sulla sua digeribilità. La distanza che avvertiamo rispetto a un testo invece è preziosa, perché ci obbliga a conoscere il sentire di un altro tempo e a confrontarci con questo, così come il modo in cui certe opere sono sedimentate nella nostra cultura ci aiuta a capire l’oggi.

Riteniamo di sapere cosa sia appropriato o meno ai giorni nostri, ma non illudiamoci di avere in tasca la chiave della morale di domani. Anche noi verremo giudicati in futuro e le posizioni odierne potrebbero risultare retrograde e bigotte o, all’opposto, scandalose. Sappiamo che l’uomo cambia, cambia la lingua, cambia la società e su certe cose, a volte, si fa anche marcia indietro. Non troppo tempo fa gli insegnanti di liceo presentavano ancora il legame tra Achille e Patroclo come una fortissima amicizia ed evitavano componimenti e passi di testi classici, scritti migliaia di anni prima, in cui la tematica dell’amore omoerotico era invece proposta con naturalezza.

A ogni modo, come abbiamo detto, affrontare la lettura di un testo con gli studenti non significa necessariamente porlo come modello etico, né condonarne certi contenuti, benché nella nostra pedagogia ci sia sempre stata una certa confusione tra lo studiare un’opera e il celebrarla. Se guardate nella vostra libreria, ci sono molti autori con i quali non andreste neanche a mangiare una pizza. Leggiamo Viaggio al termine della notte, se pur l’abbia scritto Céline, notoriamente filonazista, ma comunque uno dei più influenti scrittori del XX secolo.

Sappiamo anche che in molte opere di finzione personaggi e narratori non esprimono pensieri e convinzioni appoggiate dall’autore, il cui intento può essere proprio quello di risultare pungente, spiazzarci o mettere alla prova  il nostro sistema di valori, offrendo un punto di vista provocatoriamente distante dal proprio e dal nostro. Nakobov scrisse Lolita, ma questo non significa che fosse un pedofilo; Bret Easton Ellis scrisse American Psyco senza essere un serial killer narcisista e schizofrenico; Euripide, scrivendo Medea, non incoraggiava a commettere un duplice infanticidio.

Atteggiamenti come quello di Disrupt Texts nei confronti del canone tradizionale non sono estranei nemmeno a prestigiosi atenei. A Washington, nel 2021, l’Howard University decise di chiudere il dipartimento di studi classici. La motivazione ufficiale fu «creare priorità diverse nei piani di studio degli allievi». Qualsiasi cosa intendessero, il risultato più che creare priorità diverse fu rendere impossibile per gli studenti scegliere un percorso organico in quel campo. Non si trattò forse di una vera e propria forma di censura, ma rimane un evento dal forte valore simbolico, che suscitò critiche anche da parte di intellettuali non imputabili di avere una mentalità da suprematista bianco, come Cornel West, un luminare degli studi afro-americani, nero, socialista e autore di libri che si interrogano sul ruolo del razzismo, del genere e delle categorie sociali negli Stati Uniti. West sostenne che decisioni di questo tipo tradissero una tendenza errata e diffusa a sovrapporre in toto la cultura occidentale con i crimini dell’occidente e ricordò, inoltre, quanto il pensiero di Martin Luther King Jr., che aveva conseguito un dottorato in filosofia, fosse stato influenzato dallo studio dei classici. La disobbedienza civile non era un’invenzione recente, ma era già in Antigone.

Altre università, che non hanno preso provvedimenti simili, si erano però dotate già da tempo di un sistema che segnalasse i testi problematici. Per i contenuti giudicati offensivi, violenti e responsabili di gravi disturbi alla psiche dei laureandi, la Columbia University limitò la presenza de Le metamorfosi di Ovidio nei programmi. Altrove accuse simili sono state rivolte a opere di Poe, Dickens, Whitman, Twain, Hemingway, Orwell, Steinbeck, Sallinger, Roth…

censura
Letteratura e censura. Uc***ere i padri

Forse è normale che ragazzi cresciuti in scuole in cui genitori e docenti, quali che siano i principi che li muovono, si sono premurati di proteggerli dalle insidie della letteratura, abbiano poi difficoltà a rapportarsi con opere non consolatorie, che li obbligano a scontrarsi con gli spigoli della vita e ad accettare esista anche ciò che ci offende. È così che si allevano i censori di domani: via via togliendo loro strumenti necessari per acquisire una maturità critica.

Dal secondo dopoguerra l’Europa, suo malgrado, ha delegato agli Stati Uniti il ruolo di innovatore culturale in occidente e da allora, che si tratti di musica, avanguardie artistiche, fenomeni di costume o tendenze di pensiero, la corrente si è invertita e arriva da ovest verso est.

Negli atenei Inglesi si comincia a guardare con sospetto, perché ritenuti violenti e misogini, al poema Beowulf e a I racconti di Canterbury di Chaucer, autore considerato padre della lingua e della letteratura inglese e paragonabile come importanza a un nostro Boccaccio.

Nelle università italiane siamo ancora troppo tradizionalisti per accogliere queste tendenze e non arriviamo a mettere seriamente in discussione i nostri classici, ma in alcuni casi contingenti e per  ragioni discutibili riusciamo a voltar le spalle a quelli degli altri. Non occorre andare lontano nello spazio e nel tempo. Qualcuno ricorderà quanto accadde a inizio marzo del 2022, pochi giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina: l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, un ateneo statale (e va precisato perché è più grave), per evitare critiche in un momento di forte tensione, preferì sospendere un ciclo di quattro lezioni gratuite e aperte a tutti, che Paolo Nori avrebbe dovuto tenere, ciascuna su un romanzo di Dostoevskij. Talvolta la censura viene esercitata in maniera preventiva da parte di istituzioni pavide, che temono il giudizio negativo dell’opinione pubblica, ma capita che, per scansare polemiche, queste arrivino a innescarne davvero e con risonanza ben più vasta. La propaganda russa sfruttò immediatamente la notizia e due giorni dopo nelle strade di Mosca e San Pietroburgo apparvero cartelloni che riportavano: «In Italia vietano le lezioni su Dostoevskij. Noi Mark Twain lo leggiamo ancora volentieri». Non che Mark Twain sia Italiano, ma era chiara l’antifona. Una troupe televisiva russa contattò poi Nori per realizzare a casa sua un’intervista-documentario sull’accaduto, ma questi rifiutò. L’ateneo non fu neanche coerente nella sua decisione, che si era rivelata fin da subito deleteria, e, a seguito delle proteste levatesi ovunque, propose a Nori di riprogrammare le conferenze, trattando oltre a Dostoevskij anche degli autori ucraini, per una sorta di ridicola par condicio bellica. Sarebbe come se, per via della guerra dei cent’anni, la scuola risolvesse di far studiare un autore francese a fronte di uno inglese, oppure un poema cartaginese a fianco dell’Eneide a causa delle guerre puniche. Nori, come era opportuno, non accettò la proposta. Il mondo della cultura non dovrebbe osteggiare la divulgazione di un autore universale in concomitanza di fatti storici particolari, per quanto tragici. Memorie del sottosuolo non veicola certamente contenuti propagandistici putiniani, né Dostoevskij viene letto perché russo, ma in quanto Dostoevskij. Già è molto discutibile cancellare autori per la loro condotta reprensibile, figuriamoci per la nazionalità o l’appartenenza etnica. A seguito di una sorta di Streisand effect, il fenomeno per cui il tentativo di rimuovere qualcosa ne provoca, al contrario, l’ulteriore diffusione, trasformandosi in un’involontaria cassa di risonanza, Nori ha ricevuto inviti per tenere, anziché quattro, centinaia di conferenze sull’argomento in tutto il mondo e forse qualcuno che non lo avrebbe mai letto ha preso in mano un romanzo di Dostoevskij, per quella curiosità che, in definitiva, è la forza antagonista alla censura. ♦︎


Foto di Michael Dziedzic