La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto.
Howard Phillips Lovecraft

Amore mio,
mi ritrovo a giacere su un letto presso l’ospedale Saint. David a Romps. Pian piano sto guarendo, ora riesco a fare qualche piccolo movimento con la gamba anche se si dovranno rimuovere altri pezzi del proiettile che si sono conficcati tra le ossa.
Spero che tu e Willie stiate bene, dalla foto che mi hai mandato ho visto tutta la bellezza di sua madre in quel dolce muso. Digli che suo padre sta arrivando, racconta qualcosa di me.
Ti scrivo poiché ti devo dire una cosa. Quest’ospedale è a dir poco inquietante. Non so se è l’effetto degli anestetici o è causa di improvvisi attacchi isterici che ogni tanto mi vengono, ma posso giurare che il comportamento dei medici e degli infermieri è molto strano. Non parlano, non sono sicuro che respirino. Mi è capitato di svegliarmi di notte e notare alcuni di loro guardarmi da lontano.
Pensavo fosse solo una mia sensazione quando, casualmente, trovai un diario in mezzo ad alcuni volumi posti su uno scaffale vicino al mio letto. Il diario, appartenuto ad un certo Jack Neman, narra gli ultimi eventi della vita di costui fino a quattro settimane fa. Iniziai a leggerlo dall’inizio, ma quel che ho scoperto alla fine ha fatto si che i miei incubi divenissero solide realtà. Non penso che questo Jack Neman menta: a quanto racconta è stato un medico in quest’ospedale per quasi cinque anni, sotto il suo primario Dan Butler.
Sono ormai due sere che non dormo. Ti supplico di chiedere al Nostro Signore di lasciarmi libero da ogni malessere il prima possibile, cosicchè potrò specchiarmi un giorno negli occhi di Willie.
Ti amo, e se non uscirò vivo da qui ricorda che ti amerò anche nell’altro mondo.

Firmato
Luke Rakes
16 aprile 1945

Diario di Jack Neman

17 Luglio 1919
Un evento molto strano è capitato quest’oggi.
Dan Butler, primario dell’ospedale, mi ha fatto recapitare una telefonata stamane presto dove mi comunicava di un’urgenza immediata in ospedale. Attraversata la città, ormai divenuta deserta, un cimitero di case, e arrivato all’entrata dell’ospedale mi accorsi di alcuni infermieri che spostavano dei lettini con al di sopra alcuni malati.
Entrai e di corsa mi diressi verso l’ufficio di Butler. Accolto da una nube di fumo, mentre quell’uomo alto, senza un pelo in testa, con un paio di baffi completamente bianchi e delle rughe che dimostravano di esser, ormai, divenuto anziano, guardava dei referti medici sulla sua scrivania.
“Neman” disse “mi segua!”
Con passo veloce uscì dall’ufficio, ed io appresso a lui.
“Cosa succede?” chiesi “Ho visto alcuni infermieri spostare dei lettini mentre entravo”
“Per mio ordine. Durante l’ultimo giro di visite che ha fatto quattro ore fa, ha notato per caso qualche sintomo diverso da quelli che abbiamo verificato?”
Entriamo in una stanza illuminata dalla luce emessa da una lampadina rotta che lampeggia, lì dentro solo un cadavere poggiato su un telo di stoffa per terra.
“Non che ricordi” risposi “Era tutto pressocchè normale, i malati presentavano febbre alta, tosse… solo due casi di convulsioni”
“Mezz’ora fa un infermiere ha trovato questo cadavere” levato il telo vidi un uomo completamente bianco “Non capiamo come sia morto. Tutti gli altri presenti in questa stanza sono morti nelle medesime condizioni”
Guardo il cadavere cercando di studiarlo “Sembra che la circolazione del sangue si sia bloccata”
“Così sembrava anche a me, prova toccarlo”
Così feci, il mio indice affondò sulla pelle dell’uomo divenuta di una consistenza simile alla gomma. Feci un profondo respiro, il tutto era davvero inquietante “È molto strano”
“Abbiamo avuto altre dodici vittime, e sono tutti così”

Fuori l’ospedale, i medici, avevano allestito una tenda proprio fuori il portone d’entrata. Sotto essa vi erano alcuni uomini e donne in fin di vita.
“Non moriremo così” bisbigliò un’infermiera lì vicino “Dio non ci ucciderà così”
“Spero che il suo Dio ci aiuti” le risposi “Anche perché non so più a cosa credere”
A quel punto un urlo, un grido d’aiuto proveniente da dentro la struttura attirò l’attenzione dei presenti. Io, gli infermieri, tutti coloro che udirono si apprestarono a correre verso l’origine delle grida.
Un altro gemito di paura riempì i corridoi dell’ospedale. Trovammo il primario Butler, a terra, in una delle stanze, nel mentre osservava impaurito il cadavere di una donna appoggiato con la schiena al muro.
“Lì!” continuava ad urlare “L-lì!” lo aiutammo ad alzarsi e lo portammo fuori. Iniziammo a fargli dei controlli, i suoi sembravano voler raccontare l’Inferno “Un uomo” disse “Giuro! L’ho visto!”
“Si calmi” dissi “Ci dica cos’ha visto”
“H-ho visto u-u-un u-u-uomo!” ripetè “Lo giuro! Giuro, g-g-giuro, g-giuro!”
“Cosa faceva quest’uomo?”
“L’uomo mordeva!” iniziò a puntare con le dita verso il suo collo “Lo mordeva!”
“È totalmente sotto shock” disse un infermiere “meglio farlo riposare”

Mi offrì di riaccompagnarlo a casa dopo aver finito tutti i controlli. Tornai nel suo ufficio e gli presi la giacca, tornato fuori l’aiutai a metterla. Non chiudeva le palpebre, sembrava che qualsiasi cosa avesse visto lì dentro lo stava ancora guardando negli occhi.
Mentre attraversavamo il St. David Bridge, che collega i due isolotti dove sorge la città, Butler continuò a parlare:
“Te lo giuro” continuava a ripetere “Te lo giuro, io ho visto”
“Com’era quest’uomo?” gli chiesi.
Si fermò un secondo, appogiandosi a guardare il fiume in cerca delle parole da usare “Un m-m-mantello” balbettava “Alto, era sangue Neman, g-g-giuro! ERA SANGUE!” urlò.
“Manteniamo la calma” gli dissi.
“N-n-non capisci!” continuò ad urlare “Mostro! Era sangue!” poi smise di parlare, mi scrutava dall’alto in basso e puntò la sua mano verso di me, come a dirmi di stare lontano “S-s-sei come lui?”
“Come lui chi?” mi avvicinai “Signor Butler io sono Jack Neman”
“Tu sei come lui!” esclamò.
“Si calmi signor Butler!”
“TU SEI COME LUI!” iniziò ad allontanarsi aumentando il passo “LONTANO! MOSTRO!”
“Signor Butler! Dove sta andando?!”
“Andare via! Voglio andare via!”
“Si calmi signor Butler! Sono io, sono Jack!”
“Jack” ripetè.
Si fermò e continuò a guardarmi impaurito, come se la morte si trovasse dinanzi a lui.
“Si calmi, la sto solo riaccompagnando a casa” ribadì.
“J-jack” ripetè “J-jack, tu mi credi?”
“Certo che le credo. Chiamerò la polizia per chiedere di controllare la struttura”
“V-v-v-va bene” disse “Ma tu mi credi? Quell’uomo c’era, l’ho visto” ormai gli occhi erano usciti dalla palpebre.
“Le credo, sarà un pazzo che si aggira nei dintorni. Farò in modo di far controllare la struttura”
Lasciai Butler davanti il portone di casa sua e, mentre mi allontanavo, scrutavo per vedere cosa stava facendo. Quando chiuse il portone dietro la sua schiena potei finalmente tornare a casa, anche se ormai il sole si stava elevando in cielo.

Qualche ora dopo feci venire una pattuglia di poliziotti per far controllare l’edificio. Dissi che il primario aveva visto un ambiguo uomo aggirarsi per le stanze.
Purtroppo, però, non trovarono nulla.

18 Luglio 1919
Ambigui eventi son continuati ad avvenire.
Sulla via del cammino verso l’ospedale, di mattina presto, vedevo in lontananza una nube di fumo nera provenire proprio dalla struttura. Persone accalcate dinanzi l’entrata dell’ospedale, chi spaventato, chi in preda al panico.
Un vero caos.
“Mi scusi” dicevo facendomi spazio tra le persone “Scusi, cos’è successo?”
“Guardi lei” rispose un uomo.
Un oltretomba andare a fuoco, è questo quello che i miei occhi videro in quell’istante. Un brivido percorse tutta la mia schiena. Corpi di persone senza vita emanavano fumo dalla loro pelle, come se fossero infiammabili.
Vi era un’apocalisse. Ma come? Com’è possibile?
Corsi dentro l’ospedale per cercare Butler:
“Signor Butler!” iniziai ad urlare “Signor Butler!”
Nessuna risposta. Mi guardai intorno, qualcosa mi volò davanti. Piccole ali nere seguiti da una specie di cinguettio. Un pipistrello si posò sopra il bancone posto all’entrata della struttura, sembrava fissarmi.
Continuai ad urlare “Signor Butler!”
Corsi nel suo ufficio, che era stranamente chiuso a chiave dall’interno. Era impossibile, Butler non chiudeva mai il suo studio. Inizio a tirare calci alla porta, spallate e quant’altro.
Quando feci breccia, dentro la stanza, un enorme stormi di pipistrelli iniziò a svolazzare fuori dalla porta. Mi si pose dinanzi un terribile spettacolo: il corpo di Butler, di color olivastro, ormai senza vita. La paura vi era dipinta sul suo viso, come se la visione di qualcosa, o di qualcuno, l’avesse fortemente turbato.
Mi avvicinai al suo corpo, il cuore si era fermato già da tempo. Il camice sporco di sangue, cinque profondi tagli attraversavano il suo addome, nel suo collo due enormi buchi. C’era qualcuno lì dentro, l’uomo del quale Butler aveva parlato era lì con me. ma non poteva essere un uomo normale, non credo che un uomo avesse potuto fare cose simili. Un pugnale, o qualunque arma, non avrebbe potuto creare quelle ferite. Erano artigli quelli, artigli di un animale.
Scappai dalla struttura e avvisai della presenza del cadavere di Butler nel suo ufficio. Tornai a casa a gambe levate… ormai non sono più al sicuro.

21 Luglio 1919
Sono stato due giorni barricato tra le mure di casa mia, nel centro città.
I giornali non parlan d’altro che dell’accaduto in ospedale, dei morti e dell’assassinio di Butler. Non potevo stare lì dentro ancora per molto, se avevano ucciso tutte quelle persone allora non mancava molto prima di arrivare al mio turno.
Eppure, la scorsa notte, guardai attraverso la finestra di camera mia, che si affaccia proprio su una strada che costeggia il fiume. Persone, centinaia di persone, passavano lì sotto, passeggiando come se nulla fosse. Non capisco come o perché sia possibile il tutto. Mi sembra di essere impazzito.
Nulla esisteva più. Né la febbre, né la guerra, né forse la realtà.
I bambini giocavano rincorrendosi per strada, uomini ubriachi o prostitute, tutti vivevano. Scesi in strada e a passo veloce mi diressi verso il centro città, trovandolo più che animato dopo molto tempo.
È impossibile
Mi diressi verso la cattedrale di Saint David, poco distante dal centro città. Fedeli che pregavano seduti in ogni panchina della chiesa.
Cosa succede?
Proseguì verso l’ospedale. Per strada non vi era nessuna tendina medica, nessun malato, solamente qualche vecchio a chiedere l’elemosina. L’ospedale era ben illuminato, la luce che usciva fuori dalle finestre rischiarava le strade vicine.
Entrai nella struttura. I corridoi erano ben illuminati, infermieri e dottori camminano e parlano. Feriti di guerra e pazienti di ogni genere venivano diligentemente controllati e curati. Vi era però qualcosa di strano lì dentro. Mi avvicinai al bancone posto vicino l’entrata:
“Salve” disse una signora di mezza età posta dietro il bancone “Cosa le serve?”
Non sapevo cosa dirle, ero confuso ed il tutto era incomprensibile. D’un tratto sentì toccarmi la spalla, mi girai di colpo e di fronte a me mi ritrovai un anziano uomo che si reggeva su di un bastone, vi era un taglio sull’occhio destro e cicatrici in tutto il viso.
“Vai via!” esclamò “Se vuoi vivere scappa!”
Corsi fuori dall’ospedale e rapidamente mi diressi verso casa. Quando fui dentro sbarrai la porta con tutti i mobili che mi erano capitati a giro, chiusi le tende e le finestre.

I raggi del sole iniziano a farsi vedere, ormai l’alba è arrivata. La ammiro per l’ultima volta, poiché son sicuro di non poter assistere più ad uno spettacolo simile. Le tenebre si ritraggono e la speranza giunge alla nostra vista. Ma non per me, non per tutti.
Qualche tenebra persiste, sopravvive finchè il sole non arriva alto in cielo. Fino ad allora non tutto il male finisce. Finisco di scrivere l’ultima pagina di questo diario, sperando che chiunque lo leggerà capirà di non trovarsi al sicuro. Il mio è un invito a fuggire.
Dinanzi a me vi è un specchio che mi ritrae, ma questo non dice la verità. A fianco a me c’è qualcuno, invisibile alla sua vista ma visibile alla mia. Ora mi ha poggiato la sua bianca e fredda mano sulla spalla, i suoi lunghi e affilati denti stanno per mordermi. Ora faccio anch’io parte di Romps. Per sempre.

Daniele Romano
Mi chiamo Daniele e vengo da Palermo. Sono uno studente di professione, lettore per passione, scrittore a tempo perso. Amo imparare e scoprire attraverso il dialogo con gli altri.

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