Un monologo teatrale
Una stanza con una finestra da cui entra la luce del sole. Al centro c’è una poltrona e un tavolino con una lampada e qualche libro sopra. Sullo sfondo un tavolo tondo, delle sedie e una piccola libreria.
Lei entra dal fondo, cammina lenta e va verso la poltrona, sfiora i braccioli e inizia a parlare
Io parlo, io scrivo, io parlo e scrivo, scrivo e parlo, io parlo eccome e scrivo pure.
Già.
Non poco mi capita di pensare mentre scrivo e di scrivere mentre penso; per ricordare ogni groviglio della mente, per capire se quello che ho scritto lo penso davvero.
(si siede appoggiandosi però solo all’estremità della poltrona. Gesticola… Il suo corpo e le parole si muovono insieme, come fossero un tutt’uno)
Parlare?
Montagne russe, autoscontri, giri sul posto, salti, saltini, saltoni, slanci ad occhi chiusi, strizzati, dubbiosi, fuori dalle orbite, bollenti.
Sento attorno a me dire che si parli senza aver pensato o prima di aver pensato ma io di questo, come di un sacco di altre formosità che mi sembrano naturali per gli altri, nulla so. Non le esercito e sono in dubbio di esserne in grado.
Io penso insieme alle parole.
Ecco sì, le parole.
Sì, forse sono le parole a darmi aria, spazio, tempo.
Potessi, se potessi… se ci fossero annunci di case fatte di parole, io li guarderei. Tra tutte preferirei le parole fatte melodia, come un canto o un racconto letto ad alta voce. Sarebbe un ottimo,
magnifico appartamento.
La porta di poster, disegni, foto con Giulio, Giorgia, Ilaria, Marika, Stefano, Daniele.
All’entrata le frasi che voglio inchiodarmi in testa, la folle paura di perderle per strada. Le idee. Quelle di ieri, sussurrate il giorno prima, che dimenticherò domani.
Ad ogni stanza i suoi accenti e in corridoio un lungo tappeto di sogni di diverse epoche. Il bagno tutto interamente in profumi, ha muri in glicine, finestre in pino e una vasca di… gelsomini.
Sarebbe forse un piccolo, piccolo attico a ridosso delle nuvole, niente muri né tende alle finestre.
Un balcone di ricordi e uno di parole sincere.
Inizia il brano per chitarra Fantasía para un Gentilhombre: IIa. Españoleta – J. Rodrigo
O se preferite chiamate a suonare un chitarrista in carne ed ossa, che suoni lieve. A breve entreremo in una chitarra e abbiamo bisogno di sentire i suoni tutti attorno a noi. Nulla deve urlare sopra la voce di lei.
Lei si guarda intorno poi si alza, cammina per la stanza e dopo poco si ferma alla finestra, guarda fuori.
La apre e inizia a parlare appoggiata al davanzale.
I suoi piedi si muovono sul posto, seguono delicatamente il ritmo della musica.
Nella chitarra hanno aperto una nuova piscina, sapete?
Si trova giusto qua dietro casa (si sporge, indica fuori dalla finestra) al fondo del Ponte Panico, che si chiama così perché́ è terribilmente stretto.
Non è una piscina molto frequentata… beh, del resto per attraversare quel ponte ci vorrebbe un corso da equilibristi…
Un piede. Alla. Volta. Uno. Davanti all’altro. Uno. Due. Uno. Due. Piano… (muove i piedi sul posto, uno davanti all’altro lentamente) Uff…
La piscina però, è adorabile.
C’è una vetrata circolare da cui entra un cono di luce chiara, che divisa dalle corde crea sei corsie: mi, si, sol, re, la e mi bassa per i bambini.
Quando entro l’insegnante di acquagym mi avvisa sempre che le ultime due corsie sono occupate per il corso fino alle cinque e che posso andare solo nelle altre quattro. Non so perché́ me lo dice tutte le volte dato che mi vede a giorni alterni e sa benissimo che l’unica corsia in cui nuoto è quella di mezzo, la re…
Comunque, l’acqua è senza dubbio il mio elemento preferito, talvolta mi sembra di saper meglio nuotare che camminare.
In quaranta minuti alterno libero, rana, delfino, rondine e orso ma più̀ di tutto mi diverto a fare apnea, cercare gli armonici dell’acqua.
(si stacca dal davanzale e cammina per la stanza)
Ah, vicino alla piscina c’è anche un piccolo bar gestito da un signore gentilissimo di cui però confondo sempre il nome tra Mirko e Marco… ma insomma, un signore allegro, anziano ma non troppo o comunque tanto allegro da distoglierti dalla sua età…
E poi c’è Ofelia, la cameriera, che è tutta una danza.
Nel mentre il brano precedente è andato via via a finire e ora inizia un secondo brano: La foule – Dyens che gradualmente sale di volume.
Lei si muove ora nella stanza come fosse la cameriera (Ofelia) che lavora al bar della piscina.
Danza, prepara caffè, bevande, tramezzini “immaginari”… “serve ai tavoli e prende ordini”… Gira e si muove senza sosta attorno ai mobili, su sé stessa e, se ci sono, anche attorno ai musicisti.
(con voce energica e allegra) Un macchiato, una spremuta, due tramezzini, eccoli!
Una piroetta e… ancora un passaggio al banco, Marco… o Mirko le porge un’acqua e una gazzosa che vanno subito sul vassoio: (Lei prende un libro dal tavolino e lo tiene alto, retto solo dai polpastrelli. Poi ci appoggia sopra le due bibite immaginarie)
Tlin, Tlan, Tlin… ecco su quelle cinque dita a ragnatela reggersi gli ordini come in un castello di vetri, traballati dalle onde.
(con tono crescente) Il suo caffè signora… si figuri… certo, la piscina all’aperto la apriamo tra un mesetto… glielo porto subito, macchiato?… porto tutto insieme o aspetta il primo del signore?… arrivo… una spremuta, un’acqua… perfetto… oh, non si preoccupi…
Eee poi… Boom!!!
(la musica si interrompe. Lei si ferma, si volta verso di noi e parla velocemente con il tono di un radiocronista)
Un bambinotto parte, attenzione, via: sciabatta veloce dal frigo, schiva un tavolo, signore ore dodici, il cane, piccole gocce sul pavimento, ore tredici potenziale pericolo, poi freno, ancora freno e… (Lei si guarda una gamba) eccolo alle gambe di Ofelia. Oh, si, arrivato!
Le tira i pantaloni alzando all’aria un cornetto come una coppa e lanciato lo sguardo al cielo le chiede:
“Mi scusi, posso prendere questo?”
(Ora Lei si è buttata sulle ginocchia, come fosse il bambino, e stretta tra le mani tiene in alto una penna. La punta un riflettore.
Poi un breve silenzio, si alza e si ricompone ripulendosi le ginocchia. Il riflettore si spegne. Lei viene a sedersi di fronte a noi, il più vicino possibile.
Ricomincia lieve il primo brano: Fantasía para un Gentilhombre: IIa. Españoleta – J. Rodrigo
(parlando a voce piccola, quasi bisbigliando)
Due giorni fa ho visto una fantastica piccola creatura pulire la vetrina della gioielleria in Via dei Mercanti. Se ne stava là, alta sì e no dieci centimetri, a combattere con gli aloni sul vetro e la polvere tra gli anelli. Precisa come non ho visto mai, infilava quelle manine in ogni incavo, angolo, fessura e sfregava con tanta forza da farmi pensare che si mi fossi avvicinata un altro po’ mi avrebbe cancellato il naso.
Come ho fatto a non vederla fino ad ora, assurdo.
Voi l’avete mai vista?…
Hey?
No, dico… ora prendete un foglietto, forza! Il telefono… quello che vi pare e segnatevi: Via dei Mercanti 15. Ecco.
Su, un giorno fermatevi a guardare la vetrina e mi direte voi, cosa vedete.
Chissà quante cose non vediamo quando ci fermiamo a guardare. No?
(Lei cammina verso la finestra e la chiude, il sole sta scendendo e la stanza diventa semibuia)
Io sicuramente guardo quello e non vedo quell’altro e tu? Sì, tu vedi quell’altro ancora e io non ho idea di cosa parli e lei… lei vede qualcosa che tu non ricordi e lui qualcosa che non sa descrivere, che tu però capisci anche se non l’hai visto. E ancora tu, sì tu! Tu sai disegnare e lo mostri alla tua amica. E lei ha sentito un suono, lui un verso e io invece, ho visto solo linee…
E tu che hai paura di guardare, cosa vedi?
(torna verso la poltrona e ci si siede, ora ben appoggiata allo schienale. Accende la luce del tavolino, tenue e calda)
(con tono calmo e lento)
Non si è mai trattato di parole, sapete? Le parole c’entrano poco o niente.
Io abito nei mondi sempiterni della mente,
nei giochi d’immaginazione.
(la musica va via via scomparendo…)
Una volta però Murakami ha detto che non esiste una scrittura perfetta così come non esiste una perfetta disperazione e io mi son sentita tutt’a un tratto accolta dalla pace.
Allora l’ho appuntato e appeso alla porta di casa mia.
Ci guarda sorridendo, chiude gli occhi e continua a sorridere. ♦︎
Illustrazioni di Lara Milani