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Il mondo del gaming è velocissimo. Nuovi giochi escono di continuo e il giocatore spesso non ha il tempo di provarli tutti. Una velocità insostenibile se si pensa alle comuni routine quotidiane già colme di impegni. Provare un gioco è una cosa, figurarsi sviscerarlo e conoscerne ogni segreto.
Eppure, esiste una schiera di giocatori che il tempo se lo prende tutto: non vogliono completare il gioco, vogliono platinarlo. Facendo diventare la corsa al platino una vera e propria ossessione.

Cosa sono i trofei?

Introdotti per la prima volta nel luglio 2008 con un aggiornamento del firmware per la PlayStation 3, si tratta di un sistema di ricompense creato per incentivare i giocatori a completare obiettivi specifici all’interno dei giochi. Già Microsoft aveva inserito il suo sistema di rewarding nel lontano 2005 su XBox 360, ma non ebbe il medesimo impatto sulla psicologia dei giocatori. II trofei infatti sono integrati nel profilo del giocatore e contribuiscono al suo livello complessivo, ovvero il progresso del giocatore su tutta la piattaforma PlayStation.

I trofei si suddividono in quattro categorie, ognuna con un valore di difficoltà e prestigio crescente: dal bronzo all’oro. Poi un’ultima, quella che conferisce al giocatore uno status particolare.
Il trofeo di platino viene assegnato al giocatore che ottiene tutti i trofei disponibili all’interno di un gioco.

Fuori dal gioco

Nonostante i trofei siano strettamente legati al gameplay, non sempre sono parte del gameflow. Molto spesso infatti viene richiesto al giocatore di compiere azioni particolari, inutili, ripetitive o incredibilmente difficili che con la narrativa del gioco o con le richieste di superamento livello non hanno nulla a che fare.

Qualche esempio? Si pensi al trofeo “Go Outside” di The Stanley Parable che richiede semplicemente di non giocare al gioco per cinque anni. O il controverso “I Swear! I Did It By Mistake!” su Lollipop Chainsaw che si ottiene guardando accidentalmente sotto la gonna di un personaggio femminile.

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Uno screenshot del gameplay di Lollipop Chainsaw sviluppato da Kadokawa Games nel 2012

Queste richieste spingono il giocatore fuori dall’immersione. Fuori dal gioco e dentro a un meta gioco più grande, che strizza l’occhio alle leaderboards tanto amate nei cabinati degli anni ’80. Una competizione tra giocatori basata sullo status e in cui il numero di giochi platinati è essenziale per scalare la vetta della classifica.

Caccia aperta

Se da un lato questo sistema favorisce una maggiore meta-gamification, dall’altra induce una forte “dipendenza da trofeo”. Il divertimento per il gioco stesso passa in secondo piano, spostando la soddisfazione del giocatore sulla conquista di un nuovo platino.

La caccia del platino diventa in alcuni casi un’ossessione: i giocatori consumano velocemente titoli su titoli, senza mai davvero soffermarsi sull’effettiva qualità o messaggio delle opere che hanno per le mani. Il tutto per rincorrere compulsivamente uno status, una posizione in più nella leaderboard mondiale.
Alcuni giocatori ad esempio, prima di comprare un titolo verificano di essere in grado di completarne i trofei consultando guide e forum dedicati: un comportamento limitante per il proprio arricchimento ludo-culturale.

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NBA 2K18 con “Baracca e Burattini” vanta il platino meno ottenuto dai possessori del titolo: solo lo 0,01% lo ha platinato

Platino e completismo

Tale limitazione emerge proprio quando si tende a equiparare un comportamento completista con quello platinatore. Quest’ultimo infatti si occupa principalmente di ottenere tutti i trofei del gioco, ma non è detto che tale attività lo porti a esplorare ogni contenuto che il gioco offre. Anzi, capita che alcuni platini siano ottenibili solamente raschiando la superficie di un titolo.

Il completista invece esplora il gioco in lungo e in largo trattando i trofei come piccole piacevoli sorprese. L’anima dell’opera rimane al centro delle sessioni di gioco e il giocatore assume la piena libertà di agire, senza timore di perdere trofei a causa delle proprie scelte.

La differenza è sottile, ma sostanziale.
Il giocatore platinatore sentirà sempre una sensazione di corsa contro il tempo, poiché il suo piacere deriva dall’ottenimento di un nuovo platino. Se si pensa che alcuni trofei possono essere estremamente difficili da ottenere, non è difficile capire quanto stress, frustrazione e senso di obbligo vadano a sostituire tutte le sensazioni piacevoli del gioco stesso.

La caccia di trofei può trasformarsi in un comportamento compulsivo, dove il desiderio di completare una collezione diventa più importante del piacere del gioco stesso. Un’ossessione color platino.

Il piacere di giocare

Interagisco con il mondo dei videogiochi da parecchio tempo e credo che come in ogni attività, la giusta misura sia sempre la risposta migliore a queste situazioni, però questi meccanismi devono spingerci tutti, videogiocatori e appassionati a farci delle domande sulla direzione presa dal mondo video-ludico.

Se si sacrifica il piacere di giocare sull’altare della velocità e del collezionismo, cosa rimane? Se il tempo è poco e il mercato continua a sfornare sempre più titoli da provare compulsivamente, come possiamo noi videogiocatori costruirci un pensiero critico?

Da quando la velocità è più importante del gioco? ♦︎