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Tra distopie, gattopardi e augurii sul futuro, ecco a voi Margaret Atwood.

Margaret Atwood, classe 1939, canadese, conosciuta al grande pubblico come l’autrice di The Handmaid’s Tail (Il racconto dell’Ancella nell’edizione italiana) che, seppure scritto nel 1988, ha raggiunto il successo commerciale con la serie TV targata MGM Television, è stata intervistata all’Anteprima della 33esima edizione del Salone del Libro di Torino.

Tangram e la sottoscritta è andata a seguirla per voi!!

L’autrice affronta, nelle sue opere, tematiche di stampo fortemente femminista: come riporta l’autrice stessa, già nel 1950 scriveva di femminismo, in particolare della liberazione della figura femminile e dell’inversione di ruolo, anche e soprattutto in campo relazionale e sessuale, prima che questi temi venissero portati in auge dalla seconda ondata femminista, coincidente con la rivoluzione del ’68. Non solo questo, in quanto è sensibile al discorso del cambiamento climatico e allo scenario politico da lei definito “sempre più degradante”.

Personalmente mi sono appassionata alla Atwood proprio partendo da The Handmaids’ tail che mixa con grande maestria gli elementi principali della narrativa della Atwood: politica e femminismo e attivismo ambientale. Questo romanzo, che presenta anche un seguito (The testaments), riporta le aberrazioni di una società in declino. Una società di forte stampo occidentale che, in seguito a forti ribellioni sociali, ad un mondo devastato da una guerra distruttiva per le sue armi radioattive e chimiche, si è chiuso in un oscurantismo politico degno del Medioevo. Il fulcro nevralgico di questo romanzo sta nell’affermare che questa retrocessione ad uno stile di vita feudale, basato sullo schiavismo (esistono altre figure, sempre femminili, le Marta che ricoprono il ruolo di serve e domestiche e le NonDonne, troppo vecchie per essere fertili o utili ai lavori domestici e quindi eliminate) e sulla totale negazione di dignità e autonomia per le donne, sia il risultato di una rivoluzione in primis sessuale, di forte stampo femminista. Nel mondo “di prima”, per intenderci, la protagonista era una donna emancipata, che studiava e leggeva, si truccava e fumava le sigarette. La diminuzione del tasso di natalità, unita all’emancipazione delle donne, ha portato ad una rivalutazione dei valori morali cattolici, ad una rilettura delle Bibbia e in particolare della Genesi 30, 1-4 secondo cui i mariti potevano ingravidare le serve qualora non potessero mettere incinta la loro donna. Ecco che le donne iniziano a perdere autonomia, ad essere cacciate dal lavoro, a ritrovarsi con i conti in banca bloccati fino a giungere all’istituzione di una teocrazia totalitaria, la Repubblica di Galaad, dove le donne sono utili solo in quanto capaci di creare la vita. Le donne a Galaad non possono leggere, non possono istruirsi, non possono scegliere, non possono ricoprire alcun ruolo se non quello che è affibbiato loro dalla nascita. Ironicamente sono altre donne a perpetrare questa violenza: le Zie, vecchie detentrici del sapere religioso che formano e educano le Ancelle ad essere delle placide e rispettosi incubatrici viventi.

È curioso quanto affermato dalla Atwood stessa: nel 1985 in America il primo ministro era Ronald Reagan che causò un ritorno ai principi conservatori, ovviamente in aperta controtendenza ai movimenti studenteschi, di liberazione sessuale e femministi che caratterizzarono gli anni settanta. Il romanzo stesso dell’autrice venne fortemente criticato, in primis da Phillys Schlafly (a cui è perfidamente dedicato il nome di un pub del romanzo, luogo di ritrovo delle Zie), tra le più note attiviste anti-femminismo: una di quelle donne che afferma che proprio le donne dovrebbero rimanere in casa a guardare i figli e badare al bucato del marito. Una di quelle donne che, come sottolinea ironicamente la Atwood, mentre urla slogan contro la parità di genere, si è sacrificata per la causa delle sorelle e ha dedicato tutta la sua vita alla propria carriera di politica e di attivista statunitense. Una donna Gattopardo, che ricalca le parole di Tommaso di Lampedusa: tutto deve cambiare perché nulla cambi. Nel 2017, anno in cui è stato scritto The Testaments, seguito di The Handmaid’s Tail, c’era Trump alla White House ed è come se queste parole fossero diventate realtà: un suprematismo bianco che inneggia al ritorno ai sani e validi principi wasp (white anglo-saxon protestant), così come fu la propaganda reganiana, così come accade in Medio Oriente ai giorni nostri: basti pensare ai recenti fatti avvenuti in Afghanistan. L’inquietudine aumenta se paragoniamo queste realtà a quella descritta dalla Atwood nella Repubblica di Galaad.

In questi romanzi ritroviamo tutta l’angoscia e l’inquietudine che ci riserva il futuro: crisi ambientale, disuguaglianza e squilibrio economico, una parità di diritti ancora fortemente dibattuta, un populismo e una demagogia imperante.

Ma la Atwood non ha perso tutte le speranze: prevede un futuro. Un futuro che oscilla tra quello narrato da Guccini ne Il vecchio e il bambino e la convivenza tra macchine e umani di Matrix, ma pur sempre la speranza di vivere ancora un domani. Così come the handmaid’s tail verrà effettivamente ascoltato da generazioni future, noi possiamo ancora far sì che le generazioni future esistano. Ed è per questo che dovete leggere anche la sua ultima raccolta di poesie Early (Moltissimo, nell’edizione italiana pubblicata da Ponte alle Grazie) dedicate al defunto marito, che affronta la tematica del cambiamento climatico e quindi la morte, il cambiamento, la rigenerazione.

La Atwood conclude l’intervista con un bel “GOOD LUCK TO THE HUMAN RACE” alla quale io aggiungo come augurio l’ormai celebre motto che si sussurrano e tramandano le ancelle di Galaad: NOLITE TE BASTARDES CARBORUNDORUM/non lasciare che i bastardi ti buttino giù.