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Uno dei dischi più attesi dell’ultimo decennio è finalmente uscito. Multitude, l’ultima fatica di Stromae, è passato, presente e futuro di un artista che se già nel 2013 non poteva più nascondersi, oggi è chiamato a riconfermarsi come il Kanye West europeo.

It’s a long way to the top, if you wanna rock ‘n’ roll cantava Bon Scott, e il viaggio di Stromae è stato bello lungo per certi versi. Dal 2010 a oggi, con tre album all’attivo, il cantante belga ha già vissuto diverse vite in una. Quella del successo, arrivato fin da subito grazie alla memorabile “Alors On Danse”, seguita tre anni dopo dall’album capolavoro “Racine Carrée”. Quella dell’oblio, con conseguente discesa nell’inferno della depressione, degli istinti suicidi, del burnout lavorativo. Quella della rinascita, durata otto anni, attraversando la solitudine, il matrimonio, la paternità.

Oggi Paul Van Haver è un artista a 360 gradi, con una maggiore consapevolezza di se stesso e di ciò che lo circonda. Multitude si concentra proprio sull’ultima vita, un puzzle di esperienze in cui corpo e spirito si fondono alla perfezione.

CONCEPT

Se i primi due album si concentravano maggiormente sull’ironia e la denuncia delle opinioni e abitudini altrui, il terzo disco pone l’attenzione su temi maggiormente personali. Un esame di coscienza che pone l’artista davanti allo specchio indagatore dell’animo umano. Ascoltando l’album, è difficile non immedesimarsi in almeno una delle dodici tracce presenti. Dai complicati rapporti di coppia in La Solassitude (“le célibat me fait souffrir de solitude, la vie de couple me fait souffrir de lassitude) ai figli delle prostitute in Fils de Joie, dai troppo spesso dimenticati in Santé alle difficoltà dell’essere padre in C’est Que du Bonheur.

Stromae indaga gli aspetti più intimi mettendo in relazione se stesso con gli altri, la moltitudine che popola un mondo mai stufo di metterci costantemente alla prova. Siamo noi il nostro peggior nemico? Ha senso continuare a vivere provando a ignorare la solitudine, la depressione o gli istinti suicidi? Non sono domande facili da porsi, vale la pena tuttavia continuare a cercare le risposte nella nostra quotidianità, senza scorciatoie.

PRODUZIONE

Ad accompagnare i testi troviamo un sound che mantiene saldo il fil rouge con gli album precedenti, alleviando i syinth con un respiro più internazionale che si allontana dai canoni occidentali a cui siamo stancamente abituati. Il belga di origine fiamminga ci trasmette vibrazioni esotiche grazie alla cumbia colombiana, percussioni provenienti dall’Africa, melodie asiatiche e fiati mediorentali. La pesantezza della narrazione trova anche qui la sua chiave dance, creando un binomio tanto caro a Stromae (anche in Italia vi sono esempi di questa pratica, vedi Caparezza con Vieni a Ballare in Puglia), anche se in questo caso è più smorzato rispetto al passato.

Eccovi servito l’ennesimo mosaico internazionale che troverebbe sicuramente la sua espressione più vivida negli anfiteatri insieme all’orchestra.

“Stromae ci sbatte in faccia la sua musica sospesa nel tempo, tanto facile da amare quanto impossibile da catalogare”

SIGNIFICATO

Occorre stare attenti a non farsi ingannare, consiglio che ci sentiamo di dare agli ascoltatori della domenica. Il successo globale raggiunto negli anni testimonia senza dubbio la viralità dell’artista, e su questo non ci piove. Nonostante ciò, Stromae è quel tipo di artista che piace a tanti e arriva a pochi. L’ostacolo principale alla comprensione onirica della sua musica può essere rappresentato dalla scarsa padronanza della lingua. Non c’è traduzione italiana che possa eguagliare il vero significato che sta dietro ai suoi versi.

Chi ha studiato anche solo un minimo di francese nella sua altrimenti miserabile vita (si scherza) può capire di cosa stiamo parlando. Le espressioni, le tradizioni, gli usi e costumi che ritroviamo all’interno dei suoi testi fotografano un repertorio di sarcasmo, ironia e brillantezza di linguaggio senza precedenti. Si sprecano i riferimenti letterari e non, da Jacques Brel a Guillaume Apollinaire, senza dimenticare Arthur Rimbaud. Non è un mistero che della sua maestria lirica si siano avvalsi artisti del calibro di Coldplay e Orlesan.

PAUL VAN HAVER

Cosa significa essere artisti nel 2022? Esistono ancora artisti in grado di indicare una via da seguire, personalità in grado di dettare le regole del gioco? Se oltreoceano è più che lecito pensare a Kanye West, in Europa il primo posto è occupato da Paul Van Haver. C’è un motivo se in tutti i club del mondo e non solo si ballano ancora le sue canzoni, interpretando quella façon d’etre bohémienne che tanto ci garba ostentare senza mai capirla del tutto.

Stromae (dal verlan, maestro) è qui a sbatterci in faccia la sua musica, sospesa nel tempo come un’istantanea Polaroid, tanto facile da amare quanto impossibile da catalogare.

Sì, esistono ancora artisti capaci di fare la differenza, Multitude è solo l’ennesima dimostrazione.

Tra quarant’anni perderemo ancora del tempo ad ascoltare la sua musica, a immedesimarci nei suoi personaggi, ad alzare i calici celebrando l’essenza stessa dell’arte? Paul ci ha già risposto.