Si racconta che un tempo Cadmo, figlio di Agenore, giunse sulle coste della Grecia e lì fondò la prospera città di Tebe. Da allora la corona passò di mano in mano tra i suoi discendenti, finché un giorno fu la volta di Edipo.

Egli aveva quattro figli: due femmine, Antigone e Ismene, e due maschi, Eteocle e Polinice, futuri eredi al trono. Ma la lunga discendenza di Cadmo era destinata a soccombere poiché gli Dei avevano scelto di punire l’incesto consumato tra Edipo e sua madre, la regina Giocasta.

Il volere divino giunse a compimento nel dì in cui Eteocle venne incoronato re di Tebe. Cacciò il fratello dalla città, nel timore che il principe usurpasse il suo potere. Ma non aveva fatto i conti con il coraggio di Polinice che in poco tempo si mise alla testa di un nuovo esercito e dichiarò guerra a Tebe.

Seguì una dura battaglia che vide morire sul campo entrambi i fratelli, come il fato aveva stabilito.

Il governo della città fu affidato a Creonte, fratello di Giocasta. Egli impose la celebrazione di un funerale degno di un principe per il defunto Eteocle e negò ogni sepoltura a Polinice, traditore della patria.

Ma ancora una volta la sciagura si abbatté sulla discendenza di Cadmo: pur consapevole delle funeste conseguenze che la sua azione avrebbe comportato la principessa Antigone volle infrangere le leggi di Tebe. Seppellì Polinice, perché il suo cuore era straziato dopo la morte dei due principi in egual misura. Per lei non erano morti due soldati e nemmeno due eredi al trono. Non vi era traditore né tradito. Solo il sangue vermiglio di un fratello che si mischiava con quello dell’altro.

Si racconta che un giorno l’animo degli uomini divenne così corrotto che le città fiorenti dove gli abitanti vivevano e lavoravano vennero abbattute. Una furia inarrestabile rase al suolo ogni forma di civiltà.

Le persone furono uccise. I palazzi sventrati. Tra questi c’era anche un teatro.

Un missile colpì l’austera facciata bianca e con un boato le preziose colonne si accasciarono su sé stesse. Una nuvola di fuoco e fumo si erse in cielo e i detriti si sparsero rotolando sulla piazza che recava una scritta, anch’essa bianca: “bambini”. Del teatro non rimaneva più nulla. Era crollato sotto le bombe di una guerra sporca e infida. Si era sgretolato sotto i colpi di una battaglia combattuta per le strade e i quartieri, nei giardini delle scuole e nei cortili delle case.

Era questo per un volere di un Dio o per l’ingordigia di potere che attanaglia le membra di uomini ricchi e potenti? La storia non lo dice.

Ma si racconta che frugando tra le macerie di quel teatro, scavando sotto la coltre di fumo e cenere che addensa l’aria, qualcuno possa ancora trovare una maschera tragica con gli occhi e la bocca sbarrati e il volto incorniciato da due folte trecce. Gli angoli sono leggermente scalfiti e il legno è macchiato di un rosso vermiglio, il sangue di due popoli fratelli. I tratti sono inconfondibili: è l’Antigone del mondo moderno.

Gaia Valesano
Dicono di me che sono introversa e di poche parole, la verità è che solo con carta e penna il mio groviglio di pensieri sembra districarsi. Ciò che leggerete qui saranno quindi gli schizzi di un disegno più ampio, un tentativo costante di scovare nei racconti che scrivo la mia stessa storia e di plasmare, al contempo, le storie degli altri.

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