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Categorie

Romanzo, letteratura per ragazzi, narrativa

Voto

⭐⭐⭐⭐⭐

La Recensione

Wonder: nel mondo della diversità Wonder: nel mondo della diversità Wonder: nel mondo della diversità Wonder: nel mondo della diversità Wonder: nel mondo della diversità Wonder: nel mondo della diversità Wonder: nel mondo della diversità Wonder: nel mondo della diversità Wonder: nel mondo della diversità Wonder: nel mondo della diversità Wonder: nel mondo della diversità

Il piccolo astronauta vagava per la città. Il casco avvolgeva tutto il volto creando una cappa: un piccolo angolo di pace che rischiarava la sudata giornata. Il viso di Auggie era inondato da una labile luce che proveniva dal mondo esterno. Pareva chiamarlo.  Improvvisamente tutto si fece luce, gli occhietti vispi si guardano intorno e vedono un mondo tutto nuovo, la voce non è più ovattata e confusa ma le persone intorno a lui sembrano esserlo.

Auggie non è un bambino comune, o per meglio dire, un bambino comune lo è eppure non scatena la reazione caratteristica di un bambino che passeggia in una oziosa giornata estiva. Una replica, quella che riceve, tutt’altro che familiare, non un abbozzo di sorriso, non un timido saluto. Ma su di lui si posano sguardi pensierosi, alle volte confusi alle volte spaventati.

So di non essere un normale ragazzino di dieci anni. Sì, insomma, faccio cose normali, naturalmente. Mangio il gelato. Vado in bicicletta. Gioco a palla. Ho l’Xbox. E cose come queste fanno di me una persona normale. Suppongo. E io mi sento normale. Voglio dire dentro. Ma so anche che i ragazzini normali non fanno scappare via gli altri ragazzini normali fra urla e strepiti ai giardini. E so che la gente non li fissa a bocca aperta ovunque vadano.”

Auggie  ha subito ben ventisette operazioni chirurgiche e nessuna di queste gli hanno fatto dono di un connotato comune. Il risultato è un volto apparentemente deformato, il mento si incurva e con abile mossa si tuffa negli incavati zigomi. Eppure è proprio merito di quelle operazioni se può vedere, parlare, ascoltare.

Una diversità che non stenta a farsi notare.

Questo il punto cardine del racconto, nodo focale di una storia che è il crocevia di personaggi dalle età più differenti.

Un turbinio di pensieri, dai più innocenti e bambineschi, alle acuminate riflessioni di adulti, un libro in cui la diversità sboccia come un fiore ancora acerbo e che riesce a trovare la sua via, fiorire ed essere il riflesso di un animo più interiorizzato.

Una diversità che all’apparenza allontana sarà l’elemento primo di unione. Una porta verso una visione, nuova, fresca.

Non una bugia edulcorata e neppure una verità che stride con l’avvenire degli eventi, ma un concetto che si fa forza delle esperienze, dei vissuti dei personaggi e che permetteranno di incontrare il mondo della diversità, della disabilità ma soprattutto dell’inconsueto. Poco alla volta.

Un dolce assaggio di un mondo che vive nella più normale unicità.

L’innocenza di un bambino.

L’impeto e la forza di abilità che non si fermano all’esteriorità.

La capacità di vedere nel diverso una crescita, un cambiamento.

R.J Palacio parla del mondo della diversità con estrema delicatezza, riconoscendo nell’età dell’infanzia il raccordo tra più generazioni. La possibilità di riconoscere pregi e difetti di pensieri, che alle volte portano ad ostracizzare il diverso ma che nel corso del racconto sorgeranno, con una luce nuova.

Un porto sepolto, in cui torna la luce, sorretto dalla scrittore e prestato al premuroso ascolto del lettore.

“Dovremmo essere ricordati per le cose che facciamo. Le nostre azioni sono la cosa più importante di tutte. Sono più importanti di quello che diciamo o del nostro aspetto esteriore. Ciò che facciamo sopravvive alla nostra natura mortale. Le nostre azioni sono come i monumenti che la gente ha costruito per onorare gli eroi dopo la loro morte. Sono come le piramidi che gli egiziani hanno costruito per onorare la memoria dei faraoni. Solo che, invece che essere fatte di pietra, sono costituite dal ricordo che la gente conserva di noi. Edificate con la memoria, invece che coi sassi.”