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Parlare di adolescenza pone sempre molte difficoltà, tant’è che la psicologia la definisce un periodo di conflitto con sé stessi e con il mondo-realtà esterna. Un periodo in cui si tenta di costruire un proprio Io separandosi dalle figure genitoriali e si cerca una propria autonomia e volontà; in cui si tenta di comprendere le norme sociali (comprese quelle famigliari e scolastiche) e il proprio ruolo nella comunità di riferimento.

Un periodo di grandi cambiamenti fisici, cognitivi e sociali: la fase più delicata della vita di ogni soggetto.

Vorrei, tenendo presente di questo, argomentare su come la famiglia possa diventare da punto di riferimento e orgoglio del soggetto in crescita a una prigione priva di alcuna luce. E per fare ciò mi servirò di un film Disney-Pixar, uscito da poco nelle sale cinematografiche: Red[1].

Red: un esempio di vissuto adolescenziale.

Red tratta di una ragazza, Mei, da sempre molto legata alla famiglia di origine che tenta in ogni modo di rendere la sua famiglia orgogliosa. Segue le regole dei genitori, ha buoni voti, è affettuosa e rispettosa, aiuta nell’accogliere i turisti al Tempio di famiglia…

La protagonista, ad un tratto però, per colpa di nuove emozioni e desideri, si ritrova trasformata in un enorme panda rosso.

Questa trasformazione è una chiara metafora dei cambiamenti che avvengono nell’adolescenza: cambiamenti fisici, nuove emozioni e sensazioni e, soprattutto, l’incomprensione dei genitori.

La madre di Mei infatti, non riesce a cogliere gli elementi positivi di questo cambiamento e tenta in tutti i modi di nascondere la figlia alla società, di reprimere questa sua nuova personalità fino a negarle la libertà di scelta: Mei non potrà andare al concerto della sua band preferita, perché questo, secondo la madre, le provocherebbe emozioni difficili da gestire e, di conseguenza, il prevalere del panda.

E così accade in molte famiglie. Le scelte, il gruppo di amici, il nuovo atteggiamento critico, porta i genitori a correre ai ripari: tentano quindi di dissuaderli o, se non riescono, li obbligano o puniscono.

Da orgoglio a prigione.

È a questo punto che il porto sicuro della famiglia, l’importanza di essere accettati e apprezzati dai genitori, di essere un orgoglio per loro, si trasforma sempre più in una prigione, dove non c’è spazio per il nuovo Io. Mei, e tutti gli adolescenti che si trovano in questa difficile situazione, si trova ora costretta a scegliere tra i desideri della madre, che vuole proteggerla dal potere del panda bandendolo attraverso un rituale, e il suo desiderio di rimanere con le amiche (che l’accettano così com’è) e di riuscire ad andare all’evento tanto ambito; in altri termini, tra il volere della madre/famiglia e i suoi nuovi desideri e convinzioni.

Una scelta impossibile per un ragazzo in crescita, e che porta spesso a comportamenti disfunzionali e negativi[2]. Come esattamente accade anche nel film, questo conflitto interno porterà Mei a una catena viziosa di eventi che si risolverà solo con la comprensione della famiglia, e di Mei, di questo nuovo Io, sconosciuto ma con potenzialità positive da scoprire e sviluppare.

Come evitare un’adolescenza-prigione?

Trovo che questo film per quanto possa risultare semplice, può essere, se letto in un’ottica di apprendimento, uno spunto di riflessione per tutti (indipendentemente da età, sesso o cultura). L’adolescenza è il periodo più complesso da vivere, per il soggetto, e da comprendere, per l’adulto, e non esiste formula magica per poter passare indenni questo ‘bosco[3]’ sconosciuto.

Esiste però l’ascolto, la comprensione, il confronto ed il dialogo.

Non può esserci infatti educazione che sia uni-direzionale: entrambi i soggetti della relazione educativa (ragazzo ed adulto) sono parte fondamentale della relazione[4] e dialogano con l’altro, anche se in modi diversi. È una crescita impegnativa che riguarda entrambi i soggetti in questione; l’adulto e il ragazzo si formano a vicenda, ognuno portando all’altro un qualcosa di prima sconosciuto. L’adulto in questa età ha il compito di supportare, confrontarsi, rispettare il ragazzo.

Non esiste insegnamento senza il rispetto per chi si insegna. In egual modo, non può esserci comprensione se non vi è ascolto, interesse o riconoscimento.

Ricorda: Le parole non hanno alcun valore senza l’empatia, la volontà e le azioni

(e questo i ragazzi lo sanno molto bene).


[1] Per un’analisi psicologica di Red leggi l’articolo di Virginia Campione

[2] Esiti uguali di un’educazione repressiva è quella che de-responsabilizza il ragazzo. L’adolescente è in cerca di sé stesso e non può farlo se non ha la libertà (o responsabilità) di agire. È inevitabile che un’educazione di questo tipo provochi un conflitto familiare e/o personale.

[3] L’uso simbolico del termine bosco è largamente utilizzato nella teoria pedagogica di M. T. Moscato per indicare il cammino difficoltoso di alcuni periodi della vita, usato in particolare nel manuale ‘Il viaggio come metafora pedagogica. Introduzione alla pedagogia interculturale’, 2019.

[4] Bisogna sempre ricordare che senza l’altro io non potrei avere alcun ruolo. Senza allievo non può esservi maestro, così come senza maestro non può esservi allievo. L’uno dipende sempre dall’esistenza dell’altro.