Marocco e Libia soffrono le conseguenze di catastrofi naturali, ma gli aiuti umanitari devono sottostare alla dittatura della geopolitica
Nella notte tra l’8 e il 9 settembre 2023 la terra ha tremato sotto il Marocco. Una scossa di magnitudo 6.8 che ha colpito una zona non abituata a questo genere di calamità. L’area interessata, infatti, è prettamente rurale, con villaggi o singole case anche molto distanti tra loro. Abitazioni di terra e pietra erette in mezzo al nulla, difficili da raggiungere a causa dell’asprezza del territorio.
Nelle ore immediatamente successive, il 9 e l’11 settembre 2023, piogge torrenziali sono cadute sulla Libia, facendo precipitare in pochi giorni una quantità d’acqua che nel paese nordafricano si registra normalmente in un anno e mezzo. Nei pressi della città di Derna due dighe sono straripate e hanno trascinato abitazioni e persone verso il mare con la loro devastante colata di fango. Impossibile accertare il numero di dispersi e morti. Si è trattato di una catastrofe di proporzioni immani per il questo paese, in quello che la giornalista Reem Elbreki, direttrice dell’agenzia di stampa Akhbarlibya 24, ha definito l’11 settembre della Libia.
Marocco e Libia, circa 2.500 km di distanza in linea d’aria, separati dalla sola Algeria. Due zone molto vicine colpite da due cataclismi naturali diversi ma ugualmente devastanti. Paesi con un divario enorme di ricchezza e condizioni di vita fra le grandi città e i villaggi circostanti. Popolazioni molto povere che vivono in case rurali, nessuna idea di cosa siano le mura antisismiche. Villaggi, ma anche città, prive di piani d’azione in caso di calamità naturali e con ben altri problemi con cui convivere quotidianamente. Due realtà molto simili in questi giorni drammatici. Ma, allo stesso tempo, due modi di far fronte all’emergenza completamente diversi a causa di un denominatore comune: lo scenario geopolitico.
Il terremoto in Marocco
Mentre la terra tremava sotto i piedi del suo popolo, re Muhammad VI si trovava in Francia a godersi una vacanza nei suoi possedimenti.
Lontano dal caos del suo regno, il sovrano era tranquillo, al sicuro e ben si guardava dal tornare in Marocco in questo momento. I soccorsi locali non erano sufficienti. I dispersi a migliaia. Alcuni villaggi colpiti dal sisma erano difficili da raggiungere coi mezzi perché situati in zone montane prive di vie percorribili.
La comunità internazionale si è dimostrata subito pronta a sostenere il Marocco e numerosi paesi si sono mobilitati con rapidità per mettere a disposizione le loro risorse, umane e tecnologiche, da inviare nei territori colpiti dalle scosse. Ogni aiuto possibile è fondamentale in situazioni come queste, ogni attimo determinante nel salvare o meno le vite delle persone coinvolte nel cataclisma.
Gli interessi politici, però, hanno avuto la precedenza sulla vita delle persone comuni. Da Rabat si è venuto a sapere che il Marocco avrebbe accettato gli aiuti solo da alcuni stati, tra cui spiccavano, oltre alla Spagna, Emirati Arabi Uniti e Qatar.
Accantonati i dissapori con gli iberici, le tensioni con gli altri vicini mediterranei erano – e sono tuttora – ancora troppo alte secondo il governo di Rabat. In particolare con Parigi, reo di avere recentemente rifiutato di riconoscere la podestà unica al Marocco su alcuni territori del Sahara nordoccidentale contesi con l’Algeria. Ancor più ha pesato, però, il fatto che negli ultimi anni la Francia abbia negato o ritirato il permesso di soggiorno a numerosi marocchini. Un grave colpo per la comunità marocchina, che è diventata, nel tempo, una delle più importanti in Francia.
Questi paiono essere i due principali motivi che hanno spinto il governo marocchino a respingere la mano tesa dai francesi. Le parole del presidente Macron, a tal proposito, sono risultate poco credibili. La sua affermazione che il Marocco starebbe rifiutando gli aiuti per evitare un esubero di operatori che si intralcerebbero pare una scusa impacciata.D’altra parte, Il sovrano del Marocco si fa meno scrupoli a dire le cose come stanno: i rapporti con la Francia sono molto tesi e Rabat non accetterà l’offerta d’aiuto dell’ Eliseo. E intanto il popolo marocchino piange le numerose vittime rimaste sepolte sotto le macerie. Tante persone che forse, con mezzi e personale più competenti, si potevano salvare.
L’alluvione in Libia
La Libia da anni è divisa in due: a Tripoli il governo riconosciuto a livello internazionale presidiato attualmente dal premier Dbeibeh, a est i territori sotto il controllo dei ribelli capeggiati dal generale Haftar. Un popolo quotidianamente dilaniato da una guerra civile che si sta protraendo, ormai, da troppo tempo. Abitanti di uno stesso paese che, invece di collaborare tra di loro per migliorare la loro esistenza, si uccidono violentemente.
Per una volta, però, hanno avuto a che fare con un fenomeno naturale di una portata tale da non essersi mai visto. Tanto da mettere in secondo piano anche il problema della divisione interna. I libici non sono abituati a subire alluvioni e tanto meno sono organizzati per gestire situazioni simili. Manca il personale e mancano i mezzi.
È intervenuto l’esercito per portare soccorso, recuperare i dispersi sotto le macerie e distribuire beni di prima necessità ai sopravvissuti sfollati. Le strade si sono rapidamente riempite di mezzi militari delle forze di Tripoli. Ma questa volta la loro missione è stata cercare di salvare vite, invece di toglierne.I soldati andavano avanti e indietro nel Paese, anche nei territori controllati dai separatisti. La Libia, a differenza del Marocco, non ha bloccato la strada agli aiuti internazionali. Ma prima ancora, ad aiutarsi e a fare fronte unito contro gli strascichi del cataclisma, sono stati i libici stessi. Per una volta si è lasciato da parte l’odio per salvare i propri fratelli che hanno abbracciato una bandiera diversa. Il fenomeno naturale, nel caso libico, pare aver avuto il sopravvento sulla geopolitica.
Ancora una volta a pesare sul destino delle persone comuni sono i giochi di potere. Ancora una volta è la geopolitica a gravare sulle spalle di chi la percepisce come un’entità astratta e lontana, eppure costantemente determinante per il suo futuro.