Il rifiuto di Londra a riconoscere l’ambasciatore dell’Ue
Come era prevedibile, la flebile intesa alla quale erano giunti in extremis i negoziatori di Bruxelles e Londra per evitare una Brexit No Deal ha solo tamponato momentaneamente l’enorme falla delle tante questioni lasciate irrisolte nel difficile divorzio fra Gran Bretagna ed Unione Europea, ed ora ecco manifestarsi le prime crepe. Ancora si percepiscono gli strascichi delle tre questioni fondamentali che impedivano alle due parti di mettere una volta per tutte la parola fine ai negoziati, quelli che negli ultimi mesi del 2020 sono diventati uno scioglilingua a forza di essere ripetuti, regole sulla concorrenza, meccanismi di risoluzione di eventuali dispute commerciali e diritti di pesca, che già l’astioso rapporto tra le due contendenti ha prodotto una nuova vittima. Questa volta è toccato all’ambasciatore dell’Unione Europea a Londra vedersi mettere al centro dello scontro. La Gran Bretagna, infatti, ha rifiutato di riconoscere lo status di diplomatico all’emissario portoghese Joao Vale de Almeida e al suo staff di 44 persone, venendo meno agli accordi sanciti con la Convenzione di Vienna del 1961. (Antonella Guerreta, La Repubblica del 21 gennaio 2021). Rifiuto che ha subito fatto scatenare la preoccupazione di Bruxelles e ha provocato la pronta risposta del rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea Borrell, il quale ha sottolineato il pericoloso precedente che si potrebbe venire a creare. Quello di Londra rappresenterebbe, infatti, un unicum a livello mondiale, dato che l’ambasciatore Ue è riconosciuto in 142 Stati, fra i quali anche la Cina, l’Iran e il Venezuela.
Ma vediamo dunque cosa sancisce effettivamente la Convenzione di Vienna e cosa comporti per l’ambasciata europea questo disconoscimento da parte di Londra.
La Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche è stata stipulata il 18 aprile del 1961 ed è stata originariamente firmata da 60 Stati e poi estesa a numerosi altri. Il suo scopo è quello di regolamentare i rapporti diplomatici fra un Paese accreditante, che invia una propria rappresentanza in un altro Paese accreditatario, favorendo i rapporti di amicizia fra Stati attraverso la regolamentazione di relazioni, privilegi e immunità diplomatiche e riconoscendo di fatto il fondamentale ruolo da sempre rivestito nella storia dagli ambasciatori.
Al di la degli aspetti economici legati alle esenzioni fiscali di cui beneficerebbe il rappresentante diplomatico e la tutela dei beni immobili dell’ambasciata, i principi probabilmente più interessanti stabiliti dalla Convenzione sono sostanzialmente quelli espressi negli articoli dal 26 al 30.
L’articolo 26 afferma la libertà di muoversi e viaggiare sul territorio accreditatario. L’articolo 27 pone l’accento sulla protezione e il favorimento della comunicazione fra missione e stato accreditante. All’art. 29 si tratta l’inviolabilità dell’agente diplomatico. Questi non può essere sottoposto ad arresto e detenzione, deve essere trattato con il dovuto rispetto e deve essere impedita ogni offesa alla persona, alla sua libertà e alla sua dignità. L’art. 30 sancisce, infine, l’immunità dalla giurisdizione penale, civile e amministrativa, salvo alcuni casi in cui l’agente diplomatico agisce al di fuori della missione. Secondo la Convenzione, inoltre, l’ambasciatore gode di immunità da misure d’esecuzione. Altro principio fondamentale posto dagli accordi di Vienna del 1961 è quello in base al quale la medesima immunità debba essere riconosciuta e garantita anche agli altri membri della missione e alle loro famiglie che si sono trasferite nello Stato accreditatario. Infine viene richiesta la garanzia dell’immunità anche in paesi terzi, attraverso i quali l’agente diplomatico potrebbe dover transitare. Questi principi potrebbero apparire scontati in riferimento ai rapporti fra l’Unione Europea e la Gran Bretagna, così come potrebbero apparire anacronistici tutti gli articoli che regolano il trattamento degli ambasciatori in caso di guerra, ma fissare questi fondamenti potrebbe non essere così banale quando si stabiliscono rapporti diplomatici in Paesi nei quali la situazione risulta essere più delicata e problematica (si veda i già citati Cina, Iran e Venezuela). (Lecca Tommaso, Europa Today del 21 gennaio 2021)
Da ciò si evince la preoccupazione suscitata a Bruxelles da questa decisione e la sua pronta risposta, alla quale si è aggiunta in questa giorni la scelta di rimandare l’incontro con l’ambasciatore britannico fissato per fine gennaio.
Andiamo a vedere, però, quale sia la motivazione che ha spinto Londra ad operare una tale scelta, così unica che neppure l’”intraprendenza” politica dello stesso ex presidente USA Trump aveva avuto il coraggio di prendere. Il presidente americano aveva, infatti, disconosciuto l’ambasciata europea nel 2018, per poi tornare rapidamente sui suoi passi l’anno successivo, ritenendo l’UE un alleato troppo importante.
La giustificazione ufficiale presentata dal governo britannico circa il rifiuto sul riconoscimento dell’ambasciatore comunitario pare voler ripagare con la stessa moneta quanto affermato da Bruxelles: si parla infatti di rischio di creare un precedente che potrebbe spingere numerose altre organizzazioni internazionali a chiedere il riconoscimento delle tutele garantite dalla Convenzione di Vienna. Questo perché Londra non riconosce l’Unione Europea come Stato sovrano ma la paragona, appunto, ad una organizzazione internazionale. Motivazione simile era stata fornita già dal governo Trump nel 2018, che come si è visto aveva “lanciato l’idea”.
La motivazione portata da Londra di creare un precedente non pare però giustificata, dato che al momento l’Unione Europea è l’unico esempio particolare al mondo di organizzazione di Stati con una bandiera, una moneta unica alla quale aderisce la maggior parte dei Paesi, un insieme di leggi uniche, un Parlamento internazionale.(Antonella Guerreta, La Repubblica del 21 gennaio 2021).
L’idea del governo di Johnson sarebbe quella di riconoscere ai diplomatici europei solo diritti limitati e questo, oltre a inficiare sulle tutele precedentemente elencate, porterebbe anche ad una situazione di disparità rispetto alle altre ambasciate.
Ma al di là delle ragioni addotte da Londra, pare verosimile pensare che il rifiuto sia più un atto di ripicca contro i numerosi problemi che la nuova burocratizzazione degli scambi fra la Gran Bretagna e l’Europa sta causando al commercio dell’isola, gravando in particolare su alcuni settori come quello ittico e quello dell’e-commerce, per non parlare del più volte citato caso del “panino alla frontiera”. Viste le proteste accanite e il diffuso malcontento post brexit, per Johnson e i suoi risulta, infatti, fondamentale trovare un capro espiatorio.
Altra motivazione inespressa, a detta di chi scrive, è che Londra stia cercando di sminuire in generale l’Unione Europea e tutto ciò che rappresenta non riconoscendole i diritti di Stato sovrano per addolcire il suo distacco da essa, dopo che ve ne aveva fatto parte per 47 anni.
La speranza è che questo tiro alla fune tra entrambe le parti possa cessare a breve e che entrambi i contendenti si rendano conto che il continuo pestarsi i piedi a vicenda non giova a nessuno, e anzi sta portando ad entrambi solo ulteriori problemi (vedasi la recente disputa sulla distribuzione dei vaccini). In un periodo delicato come quello che stiamo vivendo la collaborazione dovrebbe essere, all’opposto, la parola d’ordine e voglio, pertanto, concludere citando ancora una volta le parole della Convenzione di Vienna, che paiono quanto mai attuali, quando afferma che uno degli obiettivi fondamentali di una missione diplomatica è quella di promuovere le relazioni amichevoli e sviluppare le relazioni economiche scientifiche e culturali per il benessere collettivo.