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Anime riparate

L’estate in città era rovente. Tuttavia, passeggiare per le strade per Maria riusciva a non essere un’esperienza infernale grazie al fascino che emanavano tutti i luoghi che la costituivano. La bellezza riusciva ad attutire l’effetto asfissiante del caldo.

Lei aveva un modo tutto suo di andare in giro. Attraversava i luoghi e li viveva. Non era indifferente a nulla, ma era costantemente immersa nella riflessione. Osservava molto perché non voleva perdersi nemmeno un dettaglio: ogni elemento era importante, esaminabile e non trascurabile. Provava a fotografare con gli occhi e ad imprimere nella mente tutto ciò che vedeva, perché tutto raccontava qualcosa.

Bastava saper ascoltare e lei sapeva farlo, ma le riusciva ancor meglio accorgersi dello splendore che la circondava quand’era accompagnata da chi amava. Alcuni sostenevano che l’amore facesse vedere bellezza ovunque, anche dove non c’era. Lei, invece, aveva sempre creduto che l’amore rischiarasse la vista e spazzasse via il grigiore che prima la annebbiava. Pensava che rendesse la visione della vita autentica, fedele alla realtà e non sdolcinatamente distorta.

Gli edifici storici e maestosi, i quartieri benestanti, le strade gremite di artisti e musicisti e i corsi ricchi di negozi, come alla maggior parte delle persone, le piacevano. Ben presto notò che proprio i posti più frequentati, conosciuti e apprezzati fossero anche quelli più curati e preservati. Lei, però, non riusciva a distinguere la causa dalla conseguenza e le risultava quasi impossibile stabilire un confine.

Ciò che la sorprendeva da sempre era il fatto che, semplicemente svoltando in qualche strada collegata ad una di quelle principali e scaldate dal sole, ci si ritrovasse catapultati in una matassa ingarbugliata di vicoli stretti, che erano invece poco illuminati e freschi. Sembrava di essere in una città nella città che andava ben oltre la bellezza: era sublime e mistica. Maria era ammaliata dal folklore e dalla superstizione di cui era intriso ogni muro. C’erano iconografie di santi, crocifissi e statue di madonne ovunque. La fede era tutto ciò che aveva quella gente.

Era intenerita, poi, più di tutto, dai ragazzini e i bambini che abitavano quelle stradine rivestite in basoli. Correvano e giocavano insieme, tenuti d’occhio dalle madri che sedevano sulle sedie fuori la porta di casa. I più grandi rivolgevano alla ragazza uno sguardo un po’ intimorito e diffidente perché si accorgevano che abitasse altrove, ma lei sorrideva ad ognuno, come se volesse dire: “non sono una minaccia”.

Non proveniva da quei quartieri, ma aveva qualcosa in comune con loro: il fatto di esser nati nella miseria e di esser consapevoli di non possedere nessun’altra ricchezza eccetto sé stessi. Quello fu il punto di partenza di Maria, che decise di voler impegnarsi giorno dopo giorno per migliorare la sua vita. Sapeva che non esistessero vite perfette, ma esisteva la voglia di farcela.

Sussultò, sorpresa ed emozionata, quando vide passare Elena. Era una giovane quindicenne nata e cresciuta lì. La conobbe dieci anni prima in un’occasione particolare, in quell’esatto luogo e periodo. Non la vedeva da allora, ma non la trovò affatto cambiata. I suoi capelli biondi e lunghi sembravano essere rimasti quelli di quand’era bambina. I suoi occhi azzurrissimi e cristallini dal taglio dolce avevano ancora lo stesso sguardo tenero ma intelligente. Lei era così: spigliata e perspicace. Maria ne rimase talmente colpita da non riuscire a dimenticarla mai, nonostante l’avesse vista due volte soltanto. Ricordava ancora tutto con precisione.

La prima volta che si incontrarono, fu la piccolissima Elena a presentarsi, forse incuriosita da quella ragazza più grande di lei, ma non troppo da chiederle di giocare insieme. E così fu. Maria non se lo fece ripetere due volte. Accettò e pensò subito di mostrarle il libro che aveva comprato poco prima in una libreria. Lì ebbe anche l’occasione di fare una donazione speciale: acquistò un libricino destinato a dei bambini ricoverati in ospedale e rivolse un pensiero silenzioso a chiunque avrebbe ricevuto quel regalo.

“A una vita felice”. Era quello che desiderava lei, in quel momento più del solito, e lo augurò anche al piccolo sconosciuto. La felicità era un diritto di tutti, e sperò che quelle parole potessero arrivare a destinazione in qualche modo. Sperò che la sua vicinanza potesse essere percepita attraverso quel minuscolo gesto. C’erano delle persone che Maria definiva “riparatrici”: erano la più potente medicina, perché sapevano comprendere, curare e proteggere. Accanto a loro sembrava di respirare dopo un lungo periodo di apnea, sembrava che placassero qualche tempesta interiore. Le amava e sperava di poter essere anche lei così.

Sognava un mondo più delicato, che non strillasse ma che sapesse parlare a bassa voce. Capace di accogliere, non di respingere. Capace di valorizzare, non di svalutare. Sognava un mondo capace di ascoltare ma, prima di tutto, di conoscere e non ignorare a priori. E dato che la maggior parte degli adulti era inguaribile, ormai già formata e rivestita delle proprie ottusità e dei propri pregiudizi, l’unica speranza erano i bambini e i ragazzi. Era tutto nelle loro mani e in quelle di chi ancora credeva in qualcosa. Credeva fermamente nel cambiamento e i mezzi più efficaci, secondo lei, erano le produzioni artistiche e letterarie.

Fu per questo motivo che, per gioco, Maria incominciò a leggere qualche pagina del suo nuovo libro alla piccola. Elena ascoltava attenta e di tanto in tanto la interrompeva per chiederle delucidazioni in merito ai termini che non conosceva o per commentare. Dopo un po’ volle provare a leggere ma non sapeva ancora farlo, quindi inventava storie.

Trascorsero alcune ore insieme e non si staccò per un attimo da quel cumulo di fogli. Sua nonna temeva potesse rompere o non restituire il libro a Maria, ma non fu così. Quando la ragazza le disse di dover andar via, Elena la implorò di tornare e di portargliene uno uguale, poi glielo rese intatto. Maria accolse le sue richieste con piacere e le promise di mantenere la parola data.

Dopo qualche tempo andò a far visita alla bambina che la accolse calorosamente come la prima volta. Le disse di non aver mai smesso di attenderla e la sua compagna di giochi un po’ cresciuta le porse il libro che le aveva assicurato di portarle. Elena era incredula e sembrava avesse ricevuto un regalo dal valore inestimabile: dimostrò di aver capito tutto.

In quell’attimo Maria, piena d’orgoglio, si rese conto di aver acceso in lei una passione e sperava che Elena, nonostante vivesse in un ambiente trascurato da chiunque e privo di opportunità, potesse trovare la forza per scavalcare le barriere del suo quartiere. Perché aveva bisogno soltanto di quello: già era intelligente e adesso anche appassionata. Lei era sicura che la sua piccola ce l’avrebbe fatta e, come lei, avrebbero potuto farcela tanti altri bambini.

Maria era troppo assorta dai suoi pensieri e purtroppo non fece in tempo a fermare la ragazza. Poteva solo immaginare, ma era certa che Elena non avrebbe deluso le sue aspettative. Lei, per Maria, fu una “persona riparatrice” perché riuscì a darle la speranza che le serviva per credere nel suo stesso futuro. Voleva diventare insegnante e ci riuscì ricordando la luce negli occhi della bambina. Sarebbe stata felice di sapersi parte del percorso di vita e della formazione della ormai adolescente, ma per lei sempre piccola Elena. Sarebbe ritornata presto in quei vicoli, sperando di rivederla.

Antonella Di Palma
Antonella, vent'anni, studio Lettere moderne e abito tra le braccia del Vesuvio. Sono fatta per osservare, cercare verità e capire. Parlo tanto e sono testarda. Nutro un amore viscerale per la letteratura, la tenerezza, il francese, i fiori, le città che non ho mai visitato, il teatro, i capelli ricci, le perle, la musica, i bambini, l'azzurro, l'arte, il mare, le parole dette senza paura, la luna, la filosofia, Napoli, il cielo, l'onestà, i gatti, la pioggia, la poesia, il silenzio, le fotografie, gli abbracci, le passeggiate fianco a fianco.

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