Astrobot vince il Game Of The Year 2024 riportando in auge il genere platform; dal palco, Nicolas Doucet, creative director del Team Asobi, rende omaggio a Super Mario Bros. e a Nintendo nel trentennale di PlayStation.
Sono quasi le 5 del mattino. Quello che verrà ricordato come il Game Awards più bello della storia è quasi al proprio apice. Swen Vincke, CEO di Larian Studios e vincitore del GOTY23 con Baldur’s Gate 3, sale sul palco del Peacock Theatre agghindato per i TGA, emozionato saluta, apre una busta dorata. «Astrobot!» esclama, la platea esplode. Nicolas Doucet e tutti i rappresentanti del Team Asobi balzano in piedi, pieni di gioia, qualcuno in lacrime. Doucet sale sul palco: ringrazia il proprio team, ringrazia Sony Interactive Entertainment, ma poi ci tiene a dire alcune parole prima della fine.
Ultimo, ma non meno importante… e non avevo intenzione di dirlo, ma lo dirò comunque. Conoscete i platform, conoscete PlayStation da 30 anni, e abbiamo realizzato un platform straordinario: è allo stesso tempo nostalgico e innovativo. Ma ricordiamo che, prima di PlayStation, c’erano già persone che realizzavano platform. Ricordo che ero un bambino, era il Natale del 1989, e ho ricevuto una scatola grigia, con incluso un gioco chiamato Super Mario Bros. Era davvero fantastico. Siamo in Giappone, a Tokyo, e loro sono a Kyoto, ma voglio rendere omaggio all’azienda che ha dato il via ai platform, mostrando costantemente innovazione e qualità, ispirandoci a creare il gioco che abbiamo realizzato… E sono riuscito a non menzionarli, l’avete notato? Ma tutti voi sapete di chi sto parlando.
Nicolas Doucet, Team Asobi’s CEO, The Game Awards 2024
A distanza di circa 40 anni, il titolo del leggendario Shigeru Miyamoto, Super Mario Bros. rimane ancora un’icona per l’intero mondo videoludico. Ascoltando le parole di Doucet pare quasi di sentire un senso di religiosa devozione nei confronti dell’italo-baffuto idraulico nato a Kyoto. Oltre all’ovvio, per chi mastica un po’ di videogame, Doucet pone l’attenzione sull’influenza di Nintendo per l’industria tutta, in particolare per il genere platform. Influenza che certamente ha colpito il Team Asobi durante il proprio processo creativo.
Astrobot, il total platform di casa PlayStation
L’ultima fatica di Team Asobi innova i platform ispirandosi ai classici del genere, integrando nuove tecnologie e idee creative per offrire un’esperienza moderna e coinvolgente. Astrobot combina azione e avventura con elementi di puzzle-solving sfruttando a pieno la rivoluzione tecnologica offerta dal DualSense di PlayStation 5: i livelli sono stati progettati per essere esplorati usando le funzionalità di feedback aptico, giroscopio e vibrazione sensoriale presenti nel suddetto controller.
Il gameplay è vario pur rimanendo accessibile e adatto a giocatori di tutte le età, grazie a un’interfaccia intuitiva e a livelli di difficoltà bilanciati. E seppure alcuni giocatori potrebbero trovare la durata complessiva del gioco relativamente breve, nel complesso Astrobot è stato apprezzato per aver innovato la nostalgia, avvicinando un numero incredibile di giocatori: da chi riviveva la propria infanzia ludica a chi la esplorava per la prima volta.
Il “total platform” di casa PlayStation ha saputo essere videogioco nella sua forma più pura. Seppur dotato di una trama, il lavoro del team di sviluppo si è concentrato maggiormente nel rendere preziosi allo stesso modo sia gioco (le meccaniche) e che giocattolo (l’avatar controllabile e il mondo di gioco). Un videogioco che vuole essere videogioco in ogni suo aspetto, dal colpo d’occhio al semplice movimento. Giocare Astrobot è una gioia sensoriale totalizzante, mixando l’esperienza video ludica moderna con quella nostalgica dei giocatori più datati.
Uccidere Super Mario Bros.
Le parole di Doucet risuonano ancora forte nelle orecchie di qualsiasi attento appassionato. Indipendentemente dai commenti sul vincitore di quest’anno (alcuni croccanti che sfociano complottismo più becero), l’omaggio al lavoro di Nintendo per il genere platform e l’intera industria deve far riflettere. Parliamoci chiaro, Super Mario Bros. ha assunto un’aura ormai mitica, religiosa, tanto da generare devozione radicata nei cuori di giocatori, appassionati e addetti ai lavori. Il lavoro creativo di Miyamoto ha settato le basi del genere, ma la continua esplorazione della propria IP tramite rivoluzioni o variazioni sul tema è stata ed è ancora oggi di ispirazione per tutto il mondo dei videogame. Sopratutto per chi i giochi li fa.
Dalle prime iterazioni del franchise ai Super Mario Galaxy o al più recente Super Mario Bros. Wonder il cuore della formula ludica è sempre rimasto pressoché invariato, trovando però il guizzo creativo di stupire e reinventarsi ogni volta. Anche se suonerà blasfemo per alcuni, per alcuni giocatori l’accanimento creativo di Nintendo sul brand ha iniziato a risultare stucchevole o poco coraggioso. Un’opinione sicuramente forte, ma che ci pone una domanda ben precisa: è possibile “uccidere” Super Mario Bros.?
Allo stesso modo in cui Tolkien viene accostato al genere fantasy, il più famoso titolo Nintendo sembra essere perimetro e termine di confronto di ogni videogioco, che si tratti di un platform o meno. È possibile uscire da tale perimetro? È possibile andare oltre questa linea dell’orizzonte? Difficile dirlo, apparentemente impossibile farlo.
Partire dalle basi è sempre un ottimo metodo di analisi: il platform è caratterizzato da una serie di elementi distintivi che includono salti e movimenti precisi, atti a superare ostacoli e nemici; tali giochi sono spesso strutturati a livelli o suddivisi in più mondi esplorabili, ognuno con ambientazioni e sfide uniche. Collezionabili e power up sono comuni, offrendo miglioramenti alle abilità del personaggio o sbloccando nuovi livelli o sottolivelli. La progressione può essere lineare o più aperta, permettendo un’esplorazione ramificata, combinando elementi puzzle e action.
Scorrendo mentalmente ogni singolo titolo platform prodotto negli ultimi 40 anni, l’equazione di base che dà vita alla magia è sempre stata questa. Astrobot è solo l’ultimo figlio di una stirpe apparentemente immortale, l’ennesimo eccelso accolito di una religione troppo radicata e validata nella nostra società ludica. Le regole sono state spesso riviste, le carte rimescolate, ma la sostanza non cambia. Tanto più ci si avvicina a quella purezza ludica proposta dal “canone Super Mario” e tanto più sembra impossibile allontanarsene. Le azioni compiute in-game si basano sugli archetipi dell’interazione umana nello spazio: salta, corri, oltrepassa un ostacolo, muoviti nello spazio con precisione. È evidente quanto sia difficile staccarvisi anche solo sondando con la fantasia: azioni impossibili all’umanità come il volo sono asintoti di sub-azioni che Miyamoto ha codificato all’interno del primo gioco della serie.
In poche righe di codice sorgente, come il decalogo biblico, è stato racchiuso un piano di esistenza per idee e creatività. Un recinto elastico e dorato per qualsiasi creativo che decide di cimentarsi nella creazione di un platform. Forse è lo stesso pensiero che Nicolas Doucet e Team Asobi hanno fatto prima di mettersi al lavoro, accettando le regole del gioco. Regole alle quali non è possibile, ad oggi, sottrarsi. Ma regole che se capite, interiorizzate e reinventate ti portano un giorno, forse, a proporre sul mercato il gioco dell’anno.
No, forse non è davvero possibile uccidere Super Mario. ♦︎
Immagine di copertina di Giovanni Zabardi