Da Sussidiario illustrato della giovinezza a Glamour: ecco perché i testi dei Baustelle e de I Cani hanno lasciato il segno
Come loro, nessuno mai. «Sì, abbiamo scritto due canzoni con I Cani e ne siamo entusiasti», nient’altro. È così che in un giorno di inizio dicembre 2023, quasi un anno fa, il profilo Instagram dei Baustelle annunciava l’uscita di un vinile, in tiratura limitata. Una sorpresa per gli appassionati, iniziata il giorno prima, con un’idea della 42 Records, l’etichetta discografica indipendente che si è occupata di produrre il primo album de I Cani, e poi anche di altri artisti emergenti (come Cosmo, Andrea Laszlo de Simone, Colapesce, Tutti Fenomeni). L’etichetta nata a Bologna, infatti, aveva deciso di distribuire in alcuni negozi di dischi specializzati, gli ultimi superstiti per i cultori più accaniti, alcune copie di un nuovo EP dal jacket nero e dallo stile minimal, con un’unica scritta: I Cani Baustelle. Il web impazzisce: è la prima volta che il nome di questi due pilastri della musica indipendente compare assieme, inciso sulla copertina dello stesso vinile. Presto masterizzati, i due brani che compongono il lato A e il lato B del vinile sono finiti online, sulle piattaforme di streaming musicale, iniziando a girare sulla rete, velocissimi. «Non esiste nessun featuring. È una fusione completa» chiariscono i Baustelle. Un lancio dal sapore retrò, in cui conta il passaparola ancor prima della pubblicità: qualcosa, insomma, a cui non siamo abituati, una manovra quasi provocatoria e in controtendenza rispetto all’uscita tradizionale e massificata dei prodotti di consumo.
Insomma, perché tutto questo hype? Chi li conosce lo sa, non si può resistere al fascino del lirismo tagliente di Bianconi, e nemmeno all’abile penna di Contessa. Il lato A del vinile contiene il doppio brano, “Nabucodonosor-Essere vivo”. Si tratta di un brano potente che dopo il primo ascolto ti lascia, inevitabilmente, trafitto da parte a parte. È tutto lì, in quelle poche manciate di versi che compongono la canzone, cantata a due voci, in un alternarsi spasmodico di domande: «Non scompiglia forse i tuoi capelli / un poco dello stesso vento che spirava a Babilonia / che soffiava su altre vite e carovane già passate / sulla via prima di noi?», recita Bianconi. Contessa, che, con un tuffo al cuore, si inserisce da un cyberspazio sintetizzato, lontano ma vicinissimo, al minuto 1:45, gli risponde chiedendo: «Ma poi che gusto c’è a vivere / senza mai farsi del male?». In poco più di quattro minuti, la traccia del lato A del vinile de I Cani, Baustelle ha fatto una lezione di filosofia contemporanea. Chi siamo? Cosa vogliamo? Dove stiamo andando?
Sussidiario illustrato della giovinezza, Il sorprendente album d’esordio de I Cani, L’amore e la violenza, Glamour: si potrebbero citare tutti gli altri, solo altri album da mettere nella nicchia della musica indipendente. O forse no. Seppur due produzioni in parte diverse, il progetto musicale I Cani, nato nel 2010 grazie all’idea di Niccolò Contessa, e i Baustelle, il trio di Montepulciano sviluppatosi alla fine degli anni ’90 e di cui Bianconi è parte fondante, hanno un punto decisivo che li accomuna, oltre all’approdo sulla scena della musica indipendente: il linguaggio. Dare un nome alla realtà per farla esistere, creare un lògos fatto di parole nuove per descrivere una realtà nuova, che consideri i «leggings fluorescenti» di Caterina in Hipsteria, le cartoline con la scritta «Hello bastardo, ci vediamo» in Gomma, i «nichilisti col cocktail in mano» in Velleità, e i «bravi registi, preti e lacrimacristi» in Eurofestival. Sono i piccoli dettagli a rendere quei personaggi veri, come se non fossero solo ombre, ma persone che potrebbero esistere davvero, che potremmo essere noi. Sono le parole usate per parlare di «fantascienza ed erezioni» e di una «nient’affatto fotogenica felicità». Per inglobare il mondo, possederlo con coraggio, smettere di averne paura.
Ma non è solo buona scrittura: ascoltare la loro musica è una medicina necessaria, da somministrare a tutti, per curarci dall’appiattimento espressivo e musicale del mercato, per salvarci dalla superficialità, per ritrovare un po’ il senso delle nostre vite in quelle strofe, così sincere. Con la loro musica non abbiamo scampo: riceviamo un’iniezione di verità che ci aiuta a sopravvivere e trovare «l’ombra di una connessione» tra noi e il mondo sempre più disincantato che ci circonda. In fondo, il monito «lascia consumare il presente, tutto sarà niente» dell’Era dell’Aquario dei Baustelle non ritorna forse nei versi di Contessa in FBYC (Sfortuna) «vorrei stare sempre così / avere cose pratiche in testa / i soldi per mangiare, i dischi, i videogiochi e basta»? Forse è proprio questa «connessione», tanto cercata e voluta, l’unico modo per uscire dal «proprio inferno banale». Ma esiste un modo per farlo?
Buio omega
Prima che ‘indie’ diventasse una parolaccia, un’etichetta brutta da usare solo per artisti ormai diventati mainstream (e a fare l’occhiolino a questo ci ha pensato nel 2015 Calcutta, con ironia, col lancio dell’album, appunto, intitolato “Mainstream”), la musica indipendente spaccava davvero. Due album, usciti a distanza di circa dieci anni sono il fulcro di questa musica, indispensabile e sincera: Sussidiario Illustrato della giovinezza (2000) dei Baustelle e Glamour (2013) dei Cani. Entrambi gli album raccontano storie di una giovinezza, immaginata e vissuta. Al tono più sognante, spesso crudo, ma trasgressivo di Bianconi («Tremavo un po’ di doglie blu / e di esistenza inutile / vibravo di vertigine / di lecca-lecca e zuccheri»), si sostituiscono le storie di Contessa, immerse, come già il titolo dell’album fa presagire, in un contesto polemico («Considerato che non sono un artista e con le velleità non ci si vive / mi ritrovai con un lavoro vero / uno di quelli proprio senza glamour»).
Dall’iconica Canzone del riformatorio del Sussidiario, che racconta nella cornice di uno stupro le conseguenze di questo atto («Ti guardai con la felicità irrazionale / con la carezza dell’eroina / che mi cullava / mi perdonerai Virginia?»), a “Storia di un’artista” di Glamour, la canzone ispirata alla vita di Piero Manzoni e alle incoerenze del perbenismo borghese («E morire nel vomito / dopo carriere splendide / e le storie romantiche / su quanto è fredda Milano»): entrambe le canzoni gettano le basi per ciò che verrà dopo, per un dialogo che unirà i due scrittori e la loro intera produzione. È Contessa stesso ad aver dichiarato di aver deciso di pubblicare Glamour, il secondo album de I Cani, dopo aver ascoltato i Baustelle, che in quel periodo avevano pubblicato Fantasma. In realtà, nonostante i dieci anni che intercorrono tra le carriere di Bianconi e Contessa e anche nell’età anagrafica, nel corso della loro produzione è impossibile non trovare dei punti in comune, a partire proprio dai temi: l’autenticità narrativa e la voglia di raccontare il senso di «vuoto» generazionale. A dirlo in un’intervista è proprio Contessa: «I personaggi di cui parlo nelle canzoni si trovano in un vuoto, non sanno che posto hanno nel mondo, hanno delle crisi d’identità». Per Bianconi la poetica del vuoto è essenziale e diventa perno di un intero discorso sulla modernità: nel pezzo Andiamo ai rave riflette su uno dei tanti detonatori d’attenzione che la società ci offre per smettere di pensare («per restare vivi organizziamo concerti / party sulla spiaggia dove socializzare / per non vedere il vuoto mai»). Allo stesso modo Contessa, nel singolo “Sparire”, riflette su una voce narrante che non riesce ad addormentarsi per colpa di un «brivido lucido e nero come di seta / una scossa dal cuore alla pelle / un buio omega». Forse la modernità è proprio questo: combattere quel «buio omega». Un senso di sconforto permane in altri brani dei Baustelle: in A vita bassa («Ed ogni anno foglie morte nascono / comete nuove cadono / per un errore cosmico / è un universo inutile»), ma anche in Il futuro («Perché tutto quel che hai / prima o poi lo perderai»). La morte è dietro l’angolo, anche nel brano Il musichiere 999: nei pensieri sconnessi che formano la canzone è pronunciato anche un «voglio […] ammazzarmi», e poi «insieme a te». Ma c’è un rimedio al «buio omega»? Forse sì.
L’amore è negativo
Il rimedio all’abisso per Bianconi c’è ed è senza dubbio l’innamoramento, per cui «credi che il vuoto», tanto temuto, «di colpo sia bellissimo»: è questo quello che canta nel brano Veronica. Allo stesso modo, Contessa dice la sua con quel «nonostante tutto c’è» di Lexotan, brano che, insieme a En e Xanax di Bersani e Paracetamolo di Calcutta, sarebbe entrato nella ‘musica del farmaco’: canzoni d’amore in cui gli effetti del desiderio sono associati agli effetti di una malattia.
L’unica certezza è che l’amore nel cantautorato indipendente non è mai a lieto fine ma sempre triste. E gli amori finiti sono quelli migliori per i testi indipendenti: sono amori che, come canta Contessa nel brano Il posto più freddo, ti lasciano tramortito fino a rischiare di svegliarsi «in un posto qualunque alle sette di sera», la narrazione incespica, restano solo pezzi sparsi, raccontati con l’asindeto: «le gengive la serotonina tornare a casa / nel crepuscolo nero di tram, anziani in chiesa». L’amore è, insomma, sempre raccontato nella sofferenza: vuoi per l’intrinseca natura degli uomini («il nostro cuore è sporco e cattivo / il vero amore ci distruggerà», cantano i Baustelle nel pezzo L’amore è negativo), vuoi per la provvisorietà fragile dei rapporti umani (come cantano, sempre i Baustelle, nel brano La natura: «Può non durare, essere amore, l’ultima volta sì, meglio così»), o perché sfidato dai dettami sociali (così Contessa in Questo nostro grande amore: «Dovremmo monetizzare / questo nostro grande amore / con dei video virali / o dei post svergognati / da settemila mi piace»). Dentro questi stereotipi talvolta ci cadono anche le figure femminili, descritte spesso come vittime infelici («Spietato e inesorabile è lo sguardo maschile / persino o soprattutto in un liceo del centro», Hipsteria, I Cani) o come crudeli carnefici (come la Martina del brano omonimo dei Baustelle: «Anche tu mi ucciderai / un rasoio inciderà le mie vene / ora / ridi / dietro lenti scure riderai»), spesso e, più in generale, con profondità, come la ragazza descritta in Contro il mondo («Ti guardavo mentre nuda scrivevi le battute di una serie tv») o la dolcissima Ragazzina, brano che Bianconi ha dedicato alla figlia («Guardi il mondo che ti sbuccia le ginocchia e ti fa sanguinare / sua la bora che ti spettina i capelli / sua la vipera che ti farà inciampare»).
Anche le relazioni risentono di quella morte dei valori nietzschiana fondante sia per Bianconi che per Contessa: ogni relazione se pur appassionata, si rivela sempre essere effimera e instabile (così nel brano Il seno dei Baustelle: «E se lo vuoi / la vita è pellicola / capezzoli / come souvenir» e in Io e te nell’appartamento: «E ci ameremo come i cani / e tu non mi ricorderai negli anni mai»). Anche Contessa, nel brano synth pop Wes Anderson, rimarca l’incapacità di tirare linee nette un po’ tipica nella nostra società: perdere i valori significa perdere la capacità di capire cosa sia giusto e cosa sbagliato. È così che alla libertà segue un senso di smarrimento: «E i nemici non sono nemici / davvero / ma anche i buoni non sono / buoni davvero / proprio come me e te». Ma quindi come ci si riesce ad orientare?
La pelle, la finta pelle
Che Internet abbia da sempre giocato un ruolo importante, soprattutto per l’ondata de I Cani, che sono diventati famosi grazie alla piattaforma Soundcloud su cui Contessa aveva pubblicato i primi lavori, non c’è dubbio. Si tratta di decidere cosa essere, che pelle avere, ma come fare? Bianconi in un’intervista ci ricorda, d’altronde, che: «Sono importanti gli artisti quando tutto sembra crollare e andare a picco». È a loro che ci dobbiamo affidare per interpretare la realtà, non perché hanno strumenti che noi non abbiamo, ma perché hanno già usato i propri e li hanno messi a disposizione di un pubblico che ha bisogno di sentire che la propria esperienza di vita può essere condivisibile. Il digitale diventa con I Cani un mondo non più astratto ma straordinariamente materico. Nei testi de I Cani è contenuto tutto: il dismorfismo del mondo virtuale («l’immagine di sé che mette ansia / le finte ansie»), l’illusione della fama («io sapevo soltanto che eri / la reginetta di Tumblr / reginetta di quattro poveri stronzi»), il rischio di diventare tuttologi («La statistica afferma che spesso / chi dà il primo bacio nel seguito del primo amplesso / sarà quello che ne uscirà male»). E dell’ironia della statistica, non a caso, ne parla anche in uno dei suoi testi Giorgio Quarzo Guarascio aka Tutti Fenomeni, artista con cui Contessa ha iniziato a lavorare e che ne ha supervisionato i lavori. Nel brano Diabolik, il motteggio alla tendenza occidentale a trasformare i dati in statistiche alienanti è riassunto nella frase del ritornello, che non manca di sagacia e sarcasmo e riflette sulla condizione umana di prigionia: «Ho fatto un sogno: mi sentivo un piccione / come il 95% di tutte le persone, forse il 99%».
In Non c’è niente di twee Contessa riflette proprio su questo: come si può far pace con quelle immagini che, anche quando una storia finisce, restano: «Per non dire quanto disoneste sono le fotografie / in cui siamo bellissimi e perdenti». Trovare un significato alla propria immagine sociale è stato non a caso uno dei primi scorni del progetto musicale ideato da Contessa: l’esposizione a cui tutti, con le piattaforme social, siamo sottoposti ha toccato anche il cantautore. Infatti, dopo aver mantenuto l’anonimato per buona parte dell’ondata iniziale (cantando con sacchetti per coprirsi il volto), la barriera cade durante il Mi Ami Festival 2011 quando rivela la propria identità dopo l’esecuzione del brano Theme from the cameretta. È proprio dalla cameretta che parte tutto. Sono le esperienze personali infatti ad avere il ruolo centrale all’interno dello spazio cantato. Ribadisce Contessa: «Non mi è mai importato di essere il portavoce di una generazione o di una città», nel suo caso Roma. L’autofiction ha i suoi limiti ma è parte fondante dell’esperienza di scrittura: è proprio il lessico dell’ordinario che resta enigmatico perché personale e sfugge alle rime zuccherose del pop classico. È così che si crea una poetica contemporanea di oggetti comuni. Termini come ‘Esselunga’, ‘circonvallazione’, ‘autogrill’, ‘mascara’, ‘raccordo anulare’ diventano improvvisamente più concreti e veri perché usati per situazioni fittizie.
Reclame
«Vorrei morire a quest’età / vorrei star fermo mentre il mondo va»: forse sta tutto in questi versi iniziali, ormai conosciuti, del brano dei Baustelle Charlie fa surf, pubblicato nel 2008. In questa strofa è racchiusa una schietta riflessione sugli adolescenti di quegli anni, che in questo brano Bianconi ha provato a raccontare, dopo aver anche ammesso, in un’intervista per La Stampa, di averlo fatto con l’intento di farsi beffe di loro e al contempo compatirli. Bianconi, infatti, ha detto che la canzone vuole definire i limiti di quella generazione, fatta di «un esercito di piccoli ribelli inquadrati in un anticonformismo di massa», la cui «trasgressione è falsa e serve soltanto a tenerli a bada e ad omologarli». La vicinanza tra il ‘Charlie’ della canzone a un cristo caricaturale è evidente («Se Charlie fa skate non abbiate pietà / crocifiggetelo, sfiguratelo in volto / con la mazza da golf») e non fa altro che riflettere su una società che vittimizza e non lascia scampo neanche a chi dovrebbe essere la parte fondante.
Nella loro scrittura Bianconi e poi Contessa hanno dato ampio spazio anche alla contestazione: in un mondo che sembra interconnesso e che ci bombarda di pubblicità e ci spinge al consumo l’unica soluzione sembra quella suggerita da Bianconi nel brano Caraibi: «Vattene a vivere sugli alberi / a vivere con Salgari ai tropici […] Per quanto riguarda me / non ci ho capito niente». Ecco che Bianconi propone come soluzione a una delusione d’amore il ritorno agli alberi, quasi come il Cosimo calviniano del Barone rampante. Sono disseminate in tutti gli album, richiami letterari: dal David Foster Wallace che legge la ragazza di Hipsteria al parco, alla Sylvia Plath che ironicamente non viene distinta da un parassita dalla ragazza di Contro il mondo dei Baustelle; ma non si può non menzionare anche la pioggia «su immondizia e tamerici» del brano Bettyche richiama con spiccata sagacia le descrizioni dannunziane deprivandole di ogni aulicità.
Forse anche questi rimandi non sono altro che parte delle «connessioni» possibili: e non si tratta solo di rete, sono connessioni del tutto umane e vere quelle che i due cantautori hanno cercato di stabilire. Forse nei versi di “Nabucodonosor-Essere vivo” non c’è anche «l’eco di un amore atroce» dei celebri versi di De André tratti da “Il testamento di Tito” («Io forse ho confuso il piacere e l’amore / ma non ho creato dolore») o, magari, anche quelli di Guccini in Farewell («Ma ogni storia ha la stessa illusione / sua conclusione / e peccato fu creder speciale una storia normale»). E queste voci non ritornano, forse, anche in questa strofa di Reclame dei Baustelle: «Di notti con te / di gocce di sangue/ di carezze sporche / quante me ne restano»?
Bianconi e Contessa continueranno a dialogare: la connessione è possibile. E il dialogo fra cantautori, come fra letterati, è sempre aperto e non smette mai. ♦︎