In occasione della release del suo nuovo singolo Strano Ma Vheno, abbiamo incontrato Paolo Porta, alias Vheno, rapper monregalese particolarmente estraneo ai dettami classici del genere. Tra una birra e l’altra, ci ha raccontato il suo percorso attraverso gli anni in collettivo, l’incubo della pandemia e la rinascita nel segno dell’elettro-trap.

Vheno nel videoclip del nuovo singolo Strano Ma Vheno

Cominciamo dall’inizio. Chi è Young Vheno?

Il nome d’arte è semplicemente Vheno, Young è lo pseudonimo che uso principalmente sui social. Vheno in realtà è un acronimo chimico suddivisibile in V (vanadio), He (elio), N (azoto), O (ossigeno).

Che trip…

Sono elementi che presentano caratteristiche molto simili al mio carattere. Alle superiori la chimica era una di quelle materie che odiavo profondamente, ma avevo un professore incredibile, Matteo Alonzi, che riuscì a farmi appassionare alla chimica e anche alla musica, in qualità di chitarrista.

Era destino insomma. Da qui Vheno.

A dire la verità il mio primo nome fu “MOAB”, come la mitica bomba definitiva di Call of Duty. Ovviamente ho dovuto cambiarlo per motivi di copyright, c’era già Moab Villan sulla scena (Stole Stojmenov, ex grafico di Machete, ndr). Tornando a noi, Vheno è un ragazzo di Mondovì che ha abbracciato la musica nel 2014, spinto da un forte bisogno di espressione personale. Un gran sognatore insomma!

Che non fa mai male. Dalla tua produzione si percepisce una forte impronta rap, tu ti identifichi nella classica accezione del rapper?

Se me l’avessi chiesto un paio di anni fa, ti avrei risposto di sì. Oggi insieme al mio team di produzione stiamo cercando una strada più elettronica e urban pop, con una componente melodica maggiore rispetto al passato. Forse la parola giusta è sgrezzare, perché veniamo tutti da un background hip-hop / boom bap dove non sempre si presta attenzione a certe dinamiche, soprattutto se sei agli inizi.

Sulla tua pagina Spotify è quello che si nota man mano che si arriva alle tracce più recenti.

Esatto, sono contento che si noti un’evoluzione, è importante saper crescere come artisti e provare a battere nuove strade.

Quali sono gli artisti italiani in cui ti identifichi maggiormente?

Inizialmente avevo una sorta di ossessione per Fabri Fibra, anche se lui rappresenta un’eccezione in quanto fa parte del mio passato, presente e penso anche futuro. Ad oggi potrei dirti Achille Lauro, Liberato e Boss Doms, tutti artisti con una forte componente elettronica nella loro produzione.

E a livello internazionale?

Stromae, senza dubbio. È il mio punto di riferimento costante da sempre.

Il Kanye West europeo…

Si può dire così, sì (ride, ndr). L’ho visto in concerto a Milano due anni fa, è stata un’esperienza incredibile. Non molti artisti sono capaci di realizzare uno show del genere, credo si tratti di una qualità innata, e lui ne ha da vendere.

Scendendo un po’ più nel dettaglio per quanto riguarda Fibra e Stromae, che cosa hai preso da loro?

A Fibra vorrei rubare la penna, mi ispiro molto al suo modo di scrivere e trasmettere la realtà attraverso testi apparentemente semplici. Per me rimane il migliore nel riuscire a fare breccia negli ascoltatori senza troppi voli pindarici fini a se stessi. Stromae invece è un guru del sound e delle melodie, ha un approccio artistico fuori dal comune.

Ho sempre cercato di avere un approccio che si diversificasse dalla massa, se tutti usano l’autotune, allora noi non lo usiamo

Il tuo è stato un percorso a tappe graduale, ma nel 2016 c’è stata una svolta importante, entrano a far parte del tuo team rispettivamente Eroes (Eros Basso) e Kemi The Young God (Michele Barucco).

Sì, conobbi prima Eros tramite la sua fidanzata dell’epoca, i classici contatti tra amici di amici. Inizialmente siamo partiti da un mini studio a casa sua a Roccaforte, vicino a Mondovì. Qualche tempo dopo arrivò anche Michele. Da lì cominciammo a buttare giù i primi pezzi, ed è bello constatare che siamo insieme ancora oggi.

Sempre in quel periodo hai aperto a Willie Peyote. Com’è stato?

Nel 2016 io e Igor Campana (amico di Sant’Anna Avagnina, ndr) – con cui realizzai i miei primi progetti – fummo contattati da una conoscenza in comune per suonare al concerto di Willie Peyote al Nuvolari di Cuneo. Inutile dire che non ci pensammo due volte.

Da tifoso del Toro, non gli si può dire di no.

È stata un’esperienza indimenticabile, ho avuto modo di conoscere Willie durante la cena prima del concerto, una persona squisita, oltre ad essere un bravissimo artista.

Rapper solista ma non solo. Per un periodo della tua carriera hai fatto parte del collettivo 0174 Boundless Men. Come hai vissuto questa doppia dimensione?

Mi ricordo che parlando con Eros nel 2016, venne fuori la possibilità di formare un “gruppo”, se si può chiamare così. All’inizio ero un po’ titubante, come spesso accade quando mi trovo davanti a un cambiamento drastico. Sicuramente è stato formativo per capire come interfacciarsi con altri artisti ponendosi un obiettivo artistico comune. Mettere d’accordo tante teste pensanti non è facile, soprattutto dopo un po’ di tempo che si procede insieme. Per quanto sia stata una tappa fondamentale del mio percorso artistico, oggi sono contento del mio team attuale.

In qualità di componente di una band, ho sempre pensato che suonare in un gruppo sia un po’ come avere una relazione, se non si coltiva quotidianamente facendo fronte comune, diventa difficile andare avanti negli anni.

Esattamente, già all’inizio del 2019 ci sono stati passi indietro da parte di alcuni componenti con tante “scuse” diverse. Così da sette restammo in tre, a quel punto non aveva più senso insistere, e proseguimmo io, Eros e Michele con il nostro progetto originale. A distanza di anni posso dire che essendo in sette era molto più facile prendere parte alla maggior parte degli eventi, oltre che a organizzarli, ma come in tutte le cose ci sono sempre pro e contro, è necessario prendere la decisione migliore per se stessi.

Nell’aprile del 2019 (qualche mese prima dello scioglimento del collettivo, ndr) arriva Nemesi, il primo mixtape.

Sono molto affezionato a quel mixtape, è un po’ come la prima relazione che non si scorda mai. Nemesi è una raccolta delle migliori tracce prodotte nei dieci mesi precedenti all’uscita, una sorta di best of. Dieci tracce che in quell’anno sintetizzavano bene chi fossero Vheno e la sua musica. Per Michele in particolare fu un’ottima occasione per far conoscere i suoi beat e le sue basi. Ancora oggi è il nostro progetto più importante, uscirono anche delle copie fisiche, ne sono molto orgoglioso.

E poi venne il Covid.

L’8 febbraio 2020 ho aperto il live di Night Skinny a Dronero, un concerto pazzesco. Dopo quella data, ero pronto a spaccare il mondo nel 2020, un po’ come Tedua con 2020 Freestyle. Ma non avevo fatto i conti con la pandemia, come puoi immaginare l’ho vissuta malissimo.

Vheno insieme a Eros Basso, alias Eroes

Prima di andare avanti, raccontami di Night Skinny.

Si è trattato di un’operazione lampo. Siamo stati contattati da Andrea Caponnetto (presentatore e organizzatore di eventi, ndr) quattro giorni prima della data. Fortunatamente non avevamo altri impegni, e nel caso li avremmo ovviamente annullati, non sono cose che succedono tutti i giorni. Posso dire che è stato probabilmente uno delle nostre migliori performance dal vivo.

Ma poi…

E poi l’apocalisse. Con Eros e Michele abbiamo cercato di organizzare videochiamate sviluppando un po’ di progetti che avevamo già in cantiere nel 2019, ma poco altro. Un anno da cancellare, insomma.

Come sei ripartito dopo la pandemia?

Nel 2022 Eros si è trasferito e ha costruito un nuovo studio. È stata la nostra salvezza. Nel mese di luglio, a lavori conclusi, siamo ripartiti in quinta.

Direi di spostarci sulla parte musicale. Ascoltando i tuoi brani salta subito all’orecchio la quasi totale assenza di autotune. Una rarità nel tuo ambiente.

Sì, è una scelta puramente stilistica. Ho sempre cercato di avere un approccio che si diversificasse dalla massa, se tutti usano l’autotune, allora noi non lo usiamo, e via dicendo. Poi chiaramente ci sono il correttore e il melodyne, ma in generale si percepiscono poco all’interno delle tracce. Mi piace di più condire la voce con altri tipi di effetti, come un pitch un po’ più alto piuttosto che un vocoder old school in stile Daft Punk.

Nel singolo Vederti Soffrire (2021) sono presenti ritornelli “cantati” a tutti gli effetti. È stato un punto di svolta?

Sicuramente sì, insieme ad altri due o tre brani di quel periodo. Sono stati utili per poi produrre oggi alcuni pezzi che all’epoca avrei realizzato in maniera diversa e più consapevole. Vederti Soffrire è una traccia a cui sono molto affezionato, ma i ritornelli non sono invecchiati benissimo, oggi li farei diversamente.

Forse in quell’anno sono arrivate anche le prime contaminazioni da altri generi.

Eh sì, anche in Hoffa e MAMAGUN c’è molta elettronica, la cassa dritta e in generale molti elementi che prima non avevamo mai preso in considerazione. Sono i brani che reputo fondamentali per il Vheno di oggi.

Cosa pensi dell’attuale scena rap italiana?

Trovo che sia satura di proposte, di prodotti e di artisti molto simili fra loro. Da una parte sono contento perché è sintomo di una crescita esponenziale del rap in Italia negli ultimi anni, oggi è sotto gli occhi di tutti, il pop è stato praticamente spodestato. Dall’altra è un mare di squali, e tutti vogliono una fetta della torta, la cosiddetta FOMO. Questo inevitabilmente porta ad un abbassamento della qualità generale che agli esordi del genere era molto più alta, anche se non mancano nomi nuovi della scena con un livello di scrittura altissimo.

Perché sto pensando a Kid Yugi?

Bravissimo. Lui insieme a Quentin40, Low-Red e pochi altri scrivono veramente bene, sta lentamente tornando il focus sui testi, prerogativa originaria del rap, piuttosto che di una trap ormai sempre più stucchevole rappresentata da personaggi discutibili, non solo artisticamente.

Come gestisci il processo creativo all’interno della tua produzione?

Dal 2022 abbiamo adottato un approccio molto diverso rispetto al passato. Tendenzialmente non scrivo mai prima di avere anche solo un accenno di strumentale sotto. Partiamo da reference che ci piacciono, italiane e non solo; successivamente buttiamo giù la strumentale e ognuno poi continua il proprio lavoro sia insieme che singolarmente.

Tra i vari sottogeneri del rap, ce n’è qualcuno in particolare a cui ti senti appartenere maggiormente? O ti consideri un ibrido?

Per il sound delle basi, potrei dirti trap senza dubbio, anche se è fortemente contaminata dall’elettronica e dall’urban. Elettro-trap per farla breve, probabilmente il mio è un percorso simile a quello di Achille Lauro, partito con la jungle-trap per poi evolvere il suo sound rimanendo fedele a se stesso, lo ammiro molto per questo.

Proprio qui volevo arrivare. Dalle tue produzioni si evince una costante ricerca di cambiamento. Ti piace mutare pelle?

Decisamente sì, anche se oggi come oggi sto cercando di capire quale vestito mi calza meglio. Insieme a Eros e Michele c’è la consapevolezza di cosa vogliamo fare e di quale strada intraprendere per il futuro, e siamo giunti a un punto in cui ragioniamo in ottica di proposta discografica, editoriale e manageriale, motivo per cui è il momento di stabilizzarsi con un’identità forte e precisa, per poi vedere cosa succede.

«Perché Dio è provinciale, la provincia Dio non è / io l’ho visto è provinciale, ha le pare come me». Come la vedi la realtà di provincia?

Grazie della citazione. Nel mio caso all’inizio la vedevo determinante. Quando ho cominciato a fare musica, qui non c’era molta gente, e gli stimoli per creare qualcosa di nuovo erano enormi. Poi una volta messo il naso fuori, ho capito che se vuoi realizzare qualcosa, devi espanderti il più possibile, ecco perché oggi la vedo come un vincolo. Amore e odio, insomma.

Se non bastassero le canzoni, anche le copertine dei singoli raccontano molto di Vheno. Per citare Calciatori Brutti, c’è da dare un aumento al grafico.

È sicuramente un aspetto fondamentale per la promozione della propria immagine, oltre che della propria musica. Inutile girarci attorno, come artista ormai se non curi i tuoi profili social è molto più difficile emergere di quanto già non lo sia normalmente. È stata determinante la collaborazione con Christian Zunino, come grafico ci ha seguito per tre anni, ha imparato a conoscerci, e questo è molto importante ai fini della ricerca di un’identità visiva che possa funzionare. Oggi collaboro con altre persone che ruotano a seconda dei progetti, ma è una parte del mio lavoro che continuo a curare particolarmente e a cui tengo molto.

Che rapporto hai con i social?

Dipende. Paolo vorrebbe essere meno succube, ogni tanto un po’ di sana detox non farebbe male. Vheno ti dice che al momento i social sono l’unico canale fruibile per mettersi in mostra, è un vero e proprio portfolio per il quale è importante mantenere una certa estetica. Oggi guardano il profilo Instagram ancora prima dei videoclip su YouTube.

E arriviamo a oggi. Il 22 marzo è uscito ufficialmente il tuo nuovo singolo Strano Ma Vheno. Cosa puoi dirci a riguardo?

È un brano che vuole essere un manifesto di totale libertà espressiva e artistica, due tematiche per me fondamentali. Come sempre ci sono Eros e Michele alla produzione. Il sound ha un’impronta elettro-pop molto forte, anche se non mancano le contaminazioni più classiche derivanti dal rap. Per me è una tappa essenziale in quanto anticipa il sound e l’estetica delle prossime uscite discografiche. Se dovessi scegliere un brano simbolo di cosa vogliamo diventare in futuro, probabilmente sarebbe questo.

Progetti in cantiere?

Per cominciare stiamo lavorando a un EP di sei tracce in uscita a inizio estate, con tutti gli scongiuri del caso. Abbiamo contattato vari producer della provincia con cui stiamo lavorando, sarà un progetto molto vario, dove ognuno porterà il proprio sound seguendo un unico fil rouge.

E l’altro?

Con Eros e Michele stiamo lavorando al nostro primo vero album da quando abbiamo cominciato a lavorare insieme. Sarà un disco di otto tracce, tutte inedite, ma non posso dire altro al momento. Nel frattempo usciranno anche un paio di singoli paralleli a questi due progetti. ♦︎

LUNA, DA MONDOVI’ AGLI STATES – NoSignal Magazine

Giorgio Rolfi
26 anni, di cui 19 trascorsi nella musica.  Cinema, videogames e dipendenza da festa completano un carattere non facile, ma unico nel suo genere... Ah, dimenticavo, l'umiltà non è il mio forte. 

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