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Russi che fronteggiano altri russi, l’incursione di Belgorod porta il caos all’interno delle linee difensive di Putin.

In questi giorni stiamo sentendo parlare in continuazione dell’attacco dei cosiddetti partigiani russi ai danni dell’esercito regolare russo nella regione di Belgorod. È una situazione molto complicata, in cui la guerra in sé risulta quasi marginale rispetto all’implicazione politica.

Cosa è successo a Belgorod?

Un’azione militare ai danni dell’esercito russo, in territorio russo, perpetrata da cittadini russi. Ovviamente non è tutto semplice come sembra, come dicevo poco fa la guerra in sé c’entra ben poco. L’azione militare (più precisamente un’incursione trans-frontaliera) subita dall’esercito regolare russo, guidato dal Generale Aleksander Lapin, ha suscitato moltissime chiacchiere perché è avvenuta all’interno del territorio della Federazione Russa. Precisamente nella regione di confine di Belgorod, a circa 25km dalla frontiera ucraina. Ma ciò che ha suscitato più interesse è che quest’azione è stata intrapresa da cittadini russi, per questo apostrofati da tanti come partigiani. Adesso scopriremo però che non è tutto oro quel che luccica.

I Partigiani Russi di Belgorod

Foto di Алесь Усцінаў

Molte testate giornalistiche li hanno definiti partigiani, io invece preferisco tenere i piedi ben piantati a terra e far parlare i fatti. I paramilitari protagonisti di quest’incursione trans-frontaliera sono cittadini russi legati ad ambienti non propriamente partigiani: ultras calcistici, neonazisti legati al Battaglione Azov ed estremisti di destra. L’offensiva è riconducibile a due gruppi principali: il Russian Volunteer Corp (RVC) e il Freedom of Russia Legion (FRL). Il loro obiettivo non è combattere per l’Ucraina, loro combattono per la Russia perché la vogliono diversa.

Sappiamo bene come funziona: il nemico del mio nemico è mio amico. Ragione per cui in questo caso i sedicenti partigiani russi hanno sfruttato l’occasione per unire l’utile al dilettevole; d’altronde ci hanno guadagnato entrambi. Da un lato abbiamo gli ucraini che si sono trovati ad avere la meglio sulla frontiera debole e frastagliata della Russia in quell’area. Dall’altro abbiamo i partigiani russi, che hanno provato al mondo che la politica interna della Piazza Rossa non è forte come viene raccontato.

Analisi dell’operazione militare: una distrazione

Partiamo dal fatto che quest’incursione russa filo-ucraina è avvenuta con armi occidentali (fornite dagli ucraini, prova che l’azione era premeditata) a ridosso della presa, da parte russa, della città di Bakhmut. I fatti di Belgorod sono serviti per virare l’attenzione mediatica e infatti, dal punto di vista prettamente militare, si sono rivelati un’operazione insignificante. Si è trattato di un’azione avvenuta nel vuoto, mossa in un’area lontana da obiettivi militari legati alle linee logistiche russe. Il punto è che il fine militare in questo caso era assolutamente in secondo piano poiché l’azione aveva intenti e connotazioni politici. Ed è perfettamente riuscita nel suo intento: ha mostrato quanto la difesa russa sia debole all’infuori delle aree direttamente interessate dal conflitto. In più ha minato la percezione di sicurezza del regime, ricordando ai russi che il Governo di Putin è un Governo come tutti gli altri.

Illustrazione di Matteo Galasso

La situazione vista da lontano

La politica di Putin è chiara: il mondo occidentale l’ha isolato, quindi muove la Russia come una super-potenza arrabbiata. Si chiude nel nazionalismo, si tuffa nella propaganda di regime e impone continue linee rosse che non è in grado di far rispettare. Ultimamente non fa altro che minacciare l’escalation nucleare, ma le sue azioni sul campo sono esattamente l’opposto di ciò che dice. Ne è prova la risposta all’attacco di Belgorod: praticamente nulla. Si sono alzati in volo, tentando di colpire Kiev, trentasei droni armati. Tra l’altro tutti intercettati dagli ucraini.

Putin cerca di destabilizzare continuamente la politica economica globale, soprattutto quella europea; ma non è stato in grado di evitare una cosa che a molti è sfuggita: l’Europa non è in economia di guerra. E pur non essendo in economia di guerra sta riuscendo a incrementare la produttività dell’industria bellica con cui rifornisce l’Ucraina. Per non parlare del fatto che presto l’occidente fornirà jet militari all’Ucraina: caccia F-16 (paesi Nato) e Hornet australiani. La formazione dei piloti ucraini è già iniziata, motivo per cui le prime forniture di F-16 si stimano tra settembre e ottobre di quest’anno. Certo, i caccia di cui stiamo parlando sono assolutamente vincolati a essere utilizzati in territorio ucraino, non possono essere usati per condurre operazioni in territorio russo; ma sarebbe anche inutile, visto che non sono velivoli modernissimi.

In conclusione: tanto fumo e niente arrosto

Abbiamo visto che l’incursione nella regione di Belgorod è servita agli ucraini per deviare l’attenzione dalla caduta di Bakhmut. Se però guardiamo i fatti come azione militare è stata tutt’altro che significante. Va osservata e analizzata con occhi diversi: dobbiamo guadarla come operazione puramente politica e dimostrativa, non militare. Solo così riusciamo a darle un senso e cogliere gli obiettivi raggiunti.