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Siamo nel 2012, in Italia, più precisamente a Napoli. Un bambino di sette anni sta passeggiando con il padre quando passano davanti ad un bar. All’interno del locale c’è una televisione che sta trasmettendo la finale di Champions League, Bayern Monaco-Chelsea. All’improvviso tutti i presenti si rivolgono verso lo schermo, il proprietario alza il volume del canale e si sente un tizio, visibilmente esaltato urlare: ‘Drogba! Drogba! Meravigliosamente, incredibilmente Drogba!’. Il ragazzo non capisce il perché di tanto trambusto, ma dentro di lui qualcosa da quel momento cambia: è nata in lui una passione. Una passione che lo segnerà per il resto della sua vita, ma questo ancora non lo sa.

Esaltato da ciò che ha visto il giorno prima, la mattina seguente, entra in classe di corsa per raccontarlo ai suoi amici. Parla di una strana sensazione che ha provato, travolgente ed eccitante, ma allo stesso tempo disarmante, che si è propagata in lui senza alcun controllo. Gli amici non sono in grado di dargli una spiegazione. Hanno visto anche loro la partita, certo, ma non hanno provato le stesse sensazioni del compagno.

Finite le lezioni il ragazzo torna a casa, pranza e osserva la madre che sta preparando una borsa. All’interno inserisce una bottiglina d’acqua, un asciugamano e un panino; prosciutto cotto e provoloncino, proprio come piace a lui. Poi gli indica dei panni stesi sul divano e lo aiuta a vestirsi. Passano trenta minuti e il citofono suona, è il nonno, sempre disponibile che è passato a prenderlo per portarlo agli allenamenti. Lo sguardo cade furtivamente sullo zaino di scuola, all’interno ci sono delle figurine dei calciatori panini che vorrebbe tanto incollare sull’album, ma dovrà farlo dopo, il nonno lo sta già aspettando da cinque minuti e la mamma lo sta rimproverando per il ritardo.

Arrivato al campo non pensa già più alle figurine rimaste sepolte dai libri, vede un pallone e ci si fionda. Lo solleva e lo posiziona con cura maniacale sul dischetto dell’area di rigore. Prima di prendere la rincorsa si assicura che nessuno dei suoi compagni sia in agguato, pronto a calciare quel pallone al posto suo; non sopporterebbe l’idea di dover fare tutto d’accapo. Si volta a destra e poi a sinistra, infine sbircia alle sue spalle. Campo libero, si può andare. La rincorsa è corta, solo tre passi, d’altronde così aveva visto fare la sera prima. Calcia… è goal.

Non gli importa tanto di aver segnato quanto di correre verso la bandierina e gettarsi in scivolata sulle ginocchia agitando le braccia in modo da lasciar intendere l’entusiasmo. In quel momento intorno c’è un insolito silenzio ma le voci nella sua testa lo riempiono. Sente quella stessa voce che aveva ascoltato urlare nel bar, questa volta però, grida il suo nome.

Quando torna a casa ormai ha deciso: sarà un attaccante e un giorno qualcuno urlerà per davvero il suo nome in mondovisione. Mentre incolla le figurine insieme alla sorella ripensa a tutto. Dal vento tra i capelli durante la corsa verso la bandierina, alla sbucciatura alle ginocchia provocata dalla pessima qualità del campetto, ma non gli importa, è felice. Il calcio è già diventato la sua eccitantissima droga, un pensiero fisso ma spensierato: la sua passione.