Si chiama “catcalling” e no, non è un problema secondario nella vita di una donna. Si tratta di una delle pratiche maschiliste peggiori nelle quali si può incappare e la quale, presto o tardi, è stata sperimentata da tutte le donne della terra.
Talvolta frasi volgari, talune volte complimenti indesiderati e fuori luogo oppure semplicemente battute dal poco gusto, il fenomeno del catcalling è in grado di segnare psicologicamente e definitivamente la vita di una persona. Può alterare il suo modo di vestirsi, il suo sentimento di sicurezza e di insicurezza in pubblico sino a interrogarsi circa il proprio aspetto. Può contribuire ad abbattere la propria autostima e, in ultima battuta, può contribuire ad una chiusura interiore tale da rendere complicate le stesse relazioni esterne con le altre persone.
Il catcalling non è però un reato: almeno non in Italia. Lo è in Francia, sebbene da poco, e in pochissime altre parti del mondo. Nella nostra legislazione è considerato semplicemente un comportamento da evitare, ma non così grave da essere configurato come reato. Ma ciò in fondo altro non fa che confermare come il nostro stesso sistema legislativo in fondo abbia una conoscenza quasi nulla dei problemi legati al mondo femminile.
Il catcalling non riguarda solo le donne, ma sono le donne il principale bersaglio del fenomeno. Ed è soprattutto per loro che, soprattutto in una giornata come oggi, dovrebbe essere criticato un retaggio sociale che nel XXI si dovrebbe ormai superare.
Il catcalling dovrebbe essere un reato. Perché dietro ad una volgare battuta di strada come “Ehi, Bionda, la maglietta l’hai lasciata a casa?” ci potrebbe essere la completa distruzione dell’autostima di una persona. E la causa di questa conseguenza, in un mondo di giustizia, dovrebbe essere perseguito.