Per questa ripartenza vi voglio parlare di uno dei miei ultimi amori letterari. Gli anni scorsi, sia a causa del colpo di scena pandemico, che di mie personali turbe mentali, ho attraversato un lungo periodo in cui leggere non mi dava più le emozioni del passato. Da accanita lettrice potrete immaginare che frustrazione: io che ho sempre ricevuto dai libri sicurezza, conoscenza e divertimento stavo sperimentando la noia, l’incapacità di rimanere concentrata per più di due righe e l’insofferenza di dover aspettare che il plot della storia mi intrigasse. E se prima leggere era uno sprone, adesso stava diventando quasi un’imposizione che mi auto-prescrivevo con dubbi risultati. Poi è arrivata Chimamanda.
Nata in Nigeria e con gli anni trasferitasi negli Stati Uniti, classe 1977, Adichie è oramai riconosciuta a livello globale come una scrittrice di grande bravura, definita dal Times, nel 2015, tra le persone più influenti al mondo, autrice di romanzi, saggi e racconti, oltre che essere un’attivista per la parità di genere e grande testimone di una cultura e di una storia a noi occidentali per lo più sconosciuta o difficile da interpretare: l’Africa.
“Many stories matter. Stories have been used to dispossess and to malign. But stories can also be used to empower, and to humanize. Stories can break the dignity of a people. But stories can also repair that broken dignity”.
Chimamanda Ngozi Adichie.
Ad essere sinceri la prima opera di Adichie che lessi fu Dovremmo tutti essere femministi, un pamphlet del 2015 che, riprendendo un discorso portato a TEDx, spiega, con esempi semplici e concreti, cosa si intende per femminismo nel XXI, perché il movimento femminista sia inclusivo e come dovremmo intendere questo pensiero, che si propone di lottare per ogni forma di discriminazione, non solo di genere. Ma la mia vera passione è nata questa estate quando ho letto Quella cosa intorno al collo, raccolta di racconti ambientati tra la Nigeria e gli Stati Uniti, continuando poi con Metà di un sole giallo, romanzo corale che racconta della nascita e morte dello stato del Biafra.
Adichie mi ha colpito, innanzitutto, per la sua sensibilità narrativa: crea e racconta di personaggi con i quali si empatizza, ricreando una psicologia così accurata e veritiera che a volte ci si chiede come possa una sola persona scrivere e dirigere così tanti punti di vista differenti, con storie di vita e valori così distanti tra loro. Se leggiamo Chimamanda, nel contesto delle lotte legate al movimento Black Lives Matter, non solo ci rendiamo conto della pluralità di opinioni che convivono nella comunità nera, ma anche delle dissonanze cognitive che incontrano i bianchi che cercano o credono di inserirsi nella suddetta comunità, così come delle meschinità e debolezze che sono, alla fine, insite nell’uomo, sia questo nero bianco o caffelatte.
“The real tragedy of our postcolonial world is not that the majority of people had no say in whether or not they wanted this new world; rather, it is that the majority have not been given the tools to negotiate this new world”.
Chimamanda Ngozi Adichie, tratto da Metà di un sole giallo.
Non solo, perché la bravura di Adichie sta nel descrivere con grande maestria il femminile e il maschile: analizza, da brava romanziera, i meandri della psicologia umana creando personaggi veritieri, che siano donne nere o uomini bianchi. Narra di ricche colonialiste stronze, ma anche di coloro che vengono esclusi dalla comunità, nonostante abbiano vissuto, sposato e lottato per la causa, narra del privilegio bianco, delle ingenuità e delle meschinità che il colonialista ha portato in Africa, narra del ruolo della donna e della società in Africa, dello strapotere dei più ricchi e del tribalismo che, invece, ancora oggi, è una realtà immutata nelle campagne, narra della difficoltà di chi emigra, del costante equilibrio che si ricerca tra la spinta verso un futuro migliore, ma spesso illusorio e la malinconia di un passato povero, ma spesso felice.
“You must never behave as if your life belongs to a man. Do you hear me?” Aunty Ifeka said. “Your life belongs to you and you alone”.
Chimamanda Ngozi Adichie, tratto da Metà di un sole giallo.
In una società in cui, ultimamente, impera la legge del “se sei bianco puoi scrivere esclusivamente storie di uomini bianchi e se sei maschio puoi scrivere esclusivamente storie di maschi” Chimamanda Ngozi Adichie ci dimostra che sono tutte cazzate: è possibile parlare e interpretare storie di vita altrui. L’unico vero criterio, infatti, non dovrebbe essere un apparato genitale e men che meno il colore della pelle, ma l’intelligenza, che, in effetti, non è una prerogativa di chiunque.