L’uomo, sin da quando ha incominciato a farsi spazio sulla Terra, ha dato origine a un numero inquantificabile di fenomeni più o meno vasti e rilevanti, ma nessuno è durato per sempre: anche la peggiore pestilenza, il governo più repressivo, le rivoluzioni più sanguinarie, i dogmi più inconfutabili e le condizioni sociali più ingiuste hanno avuto un inizio e una fine perché pur sempre umani. Tuttavia, esiste una grossa eccezione, qualcosa di longevo e resistente che non si avvicina mai al punto di morte; l’opera più precisa, duratura e anche inverosimilmente più cretina dell’animale più intelligente in assoluto: la guerra. Presente in ogni tempo, sempre all’avanguardia, tecnologicamente avanzata, ma comunque schifosa e brutale. L’ultima guerra è uguale alla prima che si è combattuta, la sola differenza è nei mezzi. Nulla distingue la lotta fratricida tra Caino e Abele da quella tra due Stati vicini. Immaginate di essere gli unici sul pianeta ad avere a disposizione circa 85 miliardi di neuroni e sfruttarli per pensare a nuove strategie per ammazzarvi meglio con i vostri simili e farlo sembrare normale invece di trovare un modo valido per evitarlo, renderlo obsoleto, una malattia ormai curata: vi considerereste geniali, diabolici o deficienti?

«La guerra è tutto quello che non si capisce»: Céline lo afferma sin dalle prime pagine di Viaggio al termine della notte, in cui riversa senza mezzi termini tutta la sua intolleranza verso il delirio dell’uomo, con un’integrità d’animo e un’elasticità mentale fuori dal comune. Si rende presto conto che «quello spararsi addosso che si faceva, così, senza nemmeno vedersi, non era proibito» e capiva con disgusto che non fosse nemmeno ritenuto «un errore riprovevole», ma «faceva parte delle cose che si possono fare senza meritarsi una bella sgridata. Era perfino riconosciuto, incoraggiato senza dubbio da gente seria, come le lotterie, i fidanzamenti, la caccia coi cani!». Annientare qualcuno era spacciato per ragionevole e di colpo, proprio come noi, Céline «scopriva la guerra tutta intera», ritrovandosi «sverginato» di fronte a «tutto quel che conteneva la sporca anima eroica e fannullona degli uomini», capaci di essere crudi e strafottenti, di «distruggere tutto, più arrabbiati dei cani» solo per raggiungere i propri interessi. Per gli stessi motivi, oggi l’Occidente sta autorizzando Israele a massacrare indisturbatamente i palestinesi a Gaza (e non solo), ma guai a dirlo. Gli scenari di guerra sono sempre delicati, non si tratta di individuare il buono e il cattivo, ma le colpe esistono, e quando si prova a parlarne, quelle di Israele scompaiono magicamente. Quindi cosa si fa? Subito si tirano due jolly: l’attacco terrorista del 7 ottobre, a cui bisogna rispondere, e l’antisemitismo, che apparterrebbe a chiunque difenda la causa palestinese. In realtà, è un modo ridicolo di spostare lo sguardo dalla sofferenza attuale di un popolo che è umano ancor prima di essere ebreo, musulmano o cattolico, e non è tutelato assolutamente da nessuno ma solo offeso e ignorato, costretto a morire comunque vada: che sia di fame, di sete, per mancanza di cure o, indovinate un po’, perché si ritrovano sotto un temporale di bombe ogni dieci minuti. Ufficialmente il bersaglio sarebbe Hamas, ma intanto il sangue che si sparge nella prigione a cielo aperto è dei civili, non dei terroristi. Eppure non sembra essere un fatto troppo eclatante.

Le principali forze politiche occidentali, oltre a pronunciare qualche parola di circostanza, non prendono una posizione autentica perché, come dei parassiti che si rispettino, devono impegnarsi a capire quale dramma poter andare a sfruttare, quindi cercano da un lato di ripulirsi la faccia facendo cadere dal cielo qualche scorta di cibo – un contentino, umiliante per loro e per chi è costretto a ricevere aiuto dai propri carnefici –, dall’altro di continuare a passare armi per uccidere la stessa gente che corre ad acchiapparsi un pacco che di certo non basta a cancellare la fame. L’Occidente dimostra di usare due pesi e due misure con le diverse guerre – poiché per Putin, ad esempio, accuse e condanne non tardarono ad arrivare –, e di non accettare l’opinione pubblica: anche le manifestazioni pacifiche sono contrastate perché ritenute una minaccia, sbagliate, proprio come le semplici parole degli artisti che in televisione hanno chiesto il cessate il fuoco, ma venivano stroncati come se invece di star divulgando un messaggio di pace, stessero fomentando l’odio o commettendo pubblicamente un crimine. Si sta chiedendo qualcosa che non possiamo concedere: la mancanza di partecipazione. Soprattutto noi giovani abbiamo ormai preso atto di quanto, in realtà, riescano a essere impenetrabili e unilaterali i mezzi di comunicazione quando si è in presenza di sconvolgimenti politici e sociali, e come non sia necessario vivere in uno Stato poco democratico per non poter esprimersi veramente secondo la propria volontà e com’è giusto che sia.

Ci hanno educati alla fratellanza e alla solidarietà sin dall’asilo facendoci imparare a memoria le poesie di pace firmate da Gianni Rodari e quelle sui diritti di Roberto Piumini: le abbiamo tenute tutte bene in mente e ora che siamo cresciuti e dobbiamo recitarle, ci hanno detto che non dobbiamo ripeterle, come se fossero parolacce o cavolate troppo grosse da sparare ed è meglio tenere per sé; non dobbiamo scendere in piazza a manifestare solidarietà ricordando i disegni che ci facevano fare, quelli delle mani colorate vicine, altrimenti i manganelli incominciano a dare di matto e il povero Presidente della Repubblica, mortificato, si trova costretto a tirare le orecchie alla polizia; insomma, farebbe tanto piacere che fossimo dei rimbambiti che non vedono e non sentono niente, che si drogano di televisione, TikTok e qualsiasi altra stronzata pur di distrarsi e non dar fastidio a loro che intanto sfasciano tutto. Menomale, però, che non è così che funzionano le cose; e torna il pazzo, Céline, che ci ricorda che «la grande sconfitta, in tutto, è dimenticare, e soprattutto quel che ti ha fatto crepare, e crepare senza capire mai fino a qual punto gli uomini sono carogne. Quando saremo sull’orlo del precipizio dovremo mica fare i furbi noialtri, ma non bisognerà nemmeno dimenticare, bisognerà raccontare tutto senza cambiare una parola, di quel che si è visto di più schifoso negli uomini e poi tirar le cuoia e poi sprofondare. Come lavoro, ce n’è per una vita intera». Dobbiamo sempre tenere gli occhi aperti, conservare la capacità di rifiutare le ingiustizie e prenderci sempre il sacrosanto diritto di essere giudici, sia delle azioni politiche che umanitarie che secondo noi sono fuori dal normale, senza mai incominciare a credere che certi valori possano cambiare e certi diritti riconosciuti a pochi, se conviene – perché purtroppo si parla troppo in termini di convenienza quando si tratta di esseri umani, e le vicende a cui scegliamo di prestare attenzione (anche a livello strettamente personale) sono solo quelle che potrebbero essere troppo pericolose anche per noi se si aggravassero, perciò ci tocca agire, oppure che potremmo sfruttare a nostro vantaggio come ormai abbiamo già detto.

Cose da non fare mai
Cose da non fare mai

«Per una vita intera» e oltre non dobbiamo abbandonare i valori, quelle cose che ci hanno sempre detto che cambiano nel tempo e non sono mai fisse, ma intanto danno una direzione ai nostri comportamenti; dobbiamo tenerceli stretti e rivendicarli soprattutto quando la politica dà il peggio di sé, e farlo oggi, per chi ormai può sperare solo nella forza degli altri, ma pensando anche al futuro, perché un domani qualcuno incomincerà a fare domande e si guarderà alle spalle tirando le somme senza fare sconti a nessuno. Del passato, più degli stessi eventi storici, restano i frammenti minuscoli anche di vita quotidiana in cui qualcuno ha scelto il silenzio e certi mali sono stati inflitti senza incontrare un barlume di resistenza. Quella che sarebbe «la grande sconfitta», non per chi è ai vertici del potere ma per noi come collettività, è incominciare a credere seriamente che qualcosa di inammissibile e scandaloso possa essere improvvisamente accettabile, quindi non poter dire la stessa verità che ha gridato Céline con tutta la rabbia e il disgusto del mondo, come un bambino che dice cos’è giusto e cos’è sbagliato, e invece aveva quasi quarant’anni e ha riconosciuto lo stesso – o forse ricordava ancora – che la guerra fa schifo. Sempre. E devi ripeterlo fino allo sfinimento perché il primo che non deve dimenticarlo sei proprio tu. ♦︎


Illustrazione di Giorgia Ambrosio La Ganga

Antonella Di Palma
Antonella, vent'anni, studio Lettere moderne e abito tra le braccia del Vesuvio. Sono fatta per osservare, cercare verità e capire. Parlo tanto e sono testarda. Nutro un amore viscerale per la letteratura, la tenerezza, il francese, i fiori, le città che non ho mai visitato, il teatro, i capelli ricci, le perle, la musica, i bambini, l'azzurro, l'arte, il mare, le parole dette senza paura, la luna, la filosofia, Napoli, il cielo, l'onestà, i gatti, la pioggia, la poesia, il silenzio, le fotografie, gli abbracci, le passeggiate fianco a fianco.

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