Daniel Pennac è nato 78 anni fa a Casablanca. Il celebre scrittore ha insegnato Lettere per trent’anni, quasi sempre in periferia, ad alunni abbandonati a contesti difficili e marginalizzati. Lui stesso è stato uno di quelli che andavano male a scuola e su cui nessuno avrebbe scommesso niente; perciò, si è sempre sentito molto vicino ai ragazzi etichettati come “ultimi” e incline a spendersi per i suoi alunni, per poter trasmetter loro l’amore per la scuola e aiutarli a non percepirla come nemica e fonte di preoccupazione o timore.
La vita a Belleville
Pennac ha fatto scelte ben precise che esprimono il suo desiderio inesauribile di miglioramento personale, fondamentale per una persona che sceglie di insegnare e quindi, in un certo senso, di donarsi agli altri: dopo aver vissuto in vari luoghi, come il V e VI arrondissement – in cui era circondato da persone troppo uguali a sé e che, dunque, non avrebbero potuto dargli molto di nuovo e diverso -, ha deciso di trasferirsi definitivamente a Belleville.
Il quartiere parigino, emblema dell’immigrazione e non di certo della vita agiata, è ciò che gli è sembrato più vicino al suo “luogo naturale” perché ricco degli stimoli che cercava, tant’è che ha sempre ritenuto di avere “il mondo sotto casa”, mondo che ha poi portato anche nei suoi libri. Belleville è il centro della pulsante e vivissima umanità in Francia e lo scrittore l’ha scelta preferendola alle isole felici estremamente classiste, immerse nel benessere e nella mondanità, che per lui sarebbero state soltanto una limitazione.
Il difficile percorso scolastico
Forse non si direbbe, ma Daniel Pennac non è stato un alunno modello: lui stesso si è definito “pessimo”. Non apprendeva quanto e come gli altri. Era lento e non riusciva a trovare un modo per cambiare questa sua condizione che suscitava in lui soltanto timore verso gli adulti, i quali lo trattavano come un imbecille e lo spinsero a vergognarsi di sé stesso.
Per pura fortuna, a un certo punto incontrò dei bravi insegnanti. Uno in particolare reagì al suo mancato studio – giustificato da fantasiose bugie – non punendolo o mortificandolo, e nemmeno indagando sulle cause della sua refrattarietà, ma tirando fuori le sue potenzialità e valorizzandole, com’è che un buon docente dovrebbe fare.
Il suo insegnante di francese gli propose l’esenzione dai compiti a patto che scrivesse un romanzo, vista la sua straordinaria inventiva. Ogni settimana avrebbe dovuto consegnargli dieci pagine, e così si accese in Pennac una fiammella che lo avrebbe condotto a diventare l’eccelso scrittore e insegnante che è oggi, grazie ad un professore che non lo lasciò indietro e non lo umiliò mai nonostante non stesse al passo, ma credette in lui e con poco riuscì a tirarlo fuori dalla sua condizione di alunno passivo.
La carriera di insegnante
Pennac è riuscito a diplomarsi e a laurearsi, è diventato docente grazie anche all’esempio che ha avuto e durante i suoi trent’anni di carriera si è impegnato a non fare con i suoi alunni gli stessi errori che commisero con lui. È stato l’insegnante di cui aveva bisogno, cioè innanzitutto uno che non dimenticasse mai di esser stato alunno e che sapesse accettare e valorizzare le diversità. Infatti, durante un’intervista afferma:
«I miei alunni mi hanno insegnato la diversità. Ogni classe ha una diversità incredibile. Questo è ciò che è davvero interessante in una classe. E allo stesso tempo, tutte le diversità formano quella precisa classe che non assomiglia a nessun’altra. Intellettualmente ogni classe è come un’orchestra e il professore ne è il direttore. Nella quale orchestra, ogni strumento è diverso, ed è questa la cosa più appassionante per un professore. Questo è ciò che impari dai tuoi alunni: che non ce ne sono mai due uguali e che tu devi occuparti di ciascuno di loro.»
Ciò che ha reso Daniel Pennac un professore di successo è la sua tendenza al supporto di ogni singolo allievo – specialmente di quelli più deboli -, l’attitudine empatica verso i suoi alunni e l’amore verso l’insegnamento, senza i quali è impossibile far avvicinare alla scuola ragazzi fragili e quindi trasmettergli il sapere. La sua esperienza dimostra quanto la scuola possa essere potente e determinante per la vita degli alunni, nel bene ma anche nel male, nel caso di docenti che svolgono il proprio lavoro male o per ripiego. Si tratta, dunque, di un mestiere importante – troppo per esser dominato dalla casualità – e delicato, da scegliere solo se si è mossi dalla passione, perché si ha in mano la vita di ogni studente.
Gli insegnanti che mi hanno salvato da questa infermità scolastica non hanno perso tempo a cercare le cause o a farmi la predica. Si sono buttati, giorno dopo giorno. Alla fine, hanno tirato fuori me e molti altri come me. Dobbiamo loro la vita.