Scrivere un articolo su Dante tra le pagine di un giornale giovanile quale Tangram è un’impresa suicida, o meglio, indubbiamente ardua. Cosa può dire Dante oggi agli adolescenti, ai giovani adulti, ai maturi da tempo e agli anziani che non sia già stato sapientemente snocciolato da fini letterati nel corso dei secoli? Eppure, nell’accingermi a scrive queste righe, posso solo dire che “amor mi mosse, che mi fa parlare” (Inferno, canto II v.72) perché se non fosse per un profondo amore ed una altrettanto forte sofferenza mai avrei pensato, un giorno, di potermi approcciare alla Commedia al di fuori dell’ambiente scolastico.

La Divina Commedia non è un comodo volume da portarsi in giro per fare gli hipster intellettuali in un parco di Torino centro, al contrario è la storia di un inferno personale affrontato, purgato e portato a compimento attraverso svenimenti, pianti, gioie e commozione che hanno come punto di partenza un amore buono andato a male, che ha bisogno di essere affrontato a viso scoperto. Dante stesso ci prende per mano e ci affida ai suoi accompagnatori di cantica in cantica, lasciandoci scivolare nella sua sofferenza prima, nella visone delle stelle poi e infine nell’abbraccio dell’“L’amor che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso, XXXIII, v.145). Il poeta compie un’azione di svelamento della verità e del dolore oggi poco praticata a livello umano e societario: Dante attualizza il suo soffrire e lo rende fecondo donandoci l’opera più bella della storia italiana. In questi primi 20 anni del XXI secolo l’elaborazione del dolore non esiste più: in Italia consumiamo psicofarmaci con la frequenza con cui un bambino degli anni ’90 ingurgitava Zigulì e guardiamo con sospetto le manifestazioni pubbliche di dolore in nome di un falso benessere che nessuno di noi vive appieno o come vorrebbe farlo credere. Lo spopolare di Instagram e della sua perfezione, estremizzata su Tik tok e sui corpi ellenici dei creators, ci anestetizza dalla sofferenza per poi crollare quando essa si fa presente nelle nostre vite. Dante no, Dante la affronta.

Guardiamo le fasi con le quali Dante entra nel male che vive da troppo tempo: perso in una selva oscura cerca disperatamente una semplice via di uscita trovandosi davanti a Lussuria (un eros smodato che cerca di cicatrizzare ferite che vanno solo vissute), Superbia (la certezza di potercela fare da soli, schiacciando gli altri con il proprio egoismo) e Cupidigia (con il desiderio degli onori, del denaro e del lusso più sfrenato) che anche noi viviamo quando si soffre. Solo l’aiuto di Virgilio lo guiderà alla porta del suo dolore facendolo calare in esso fino al punto più basso per poi risalire verso le stelle; la scritta sulla porta dell’inferno è quella che proviamo quando soffriamo per amore “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate” (Inferno, canto III, v.9), il tremare, il soffrire così tanto profondamente, questa è la cifra sintetica di un inferno lontano dal Dio di Dante che altro non è che profondo amore (Paradiso, canto XXXIII).

Riassumere la ricchezza dell’opera dantesca in un articolo è impossibile certo ma già intuiamo dai pochi stralci sopra riportati quando di ciò che l’autore scrisse ci parli al cuore e alla nostra umanità profonda: siamo esseri amanti e amati e il soffrire fa parte del gioco. Dovremmo imparare ad educare i nostri bambini e ragazzi a scuola tramite la Commedia: essa è solida base di educazione emotiva, palestra del dolore affrontato, segno di amore che non finisce con la morte, testamento di cuore e inchiostro di un affetto divino. Possibile che tutto questo sia vissuto a scuola come martirio?

Forse il consiglio migliore sul leggere Dante si può ben riassumere in un’espressione del Professor Alessandro D’Avenia: “non dobbiamo leggere Dante, dobbiamo lasciarci leggere da lui”. Lasciamoci dunque leggere da Paolo e Francesca e il loro amore proibito e tossico, accettiamo gli sguardi curiosi di Ulisse, quelli speranzosi di Manfredi, la dolce unzione dell’animo operata da Beatrice e infine l’abbraccio trinitario che tutto sa e tutto muove. Lasciamoci leggere da Dante, solo così conosceremo il nostro cuore con mappatura precisa dei suoi gironi e demoni, scalate faticose, paradisi impensabili. Ognuno di noi ha nel cuore un amore finito o non ricambiato, la carezza dolceamara di un desiderio evanescente, un’amicizia tradita e gettata tra le fiamme, ma tutto può essere bellezza, basta affrontarlo, magari con una guida preparata come Virgilio.

Affrontatevi, cadrete in basso ma alla fine uscirete “a riveder le stelle” (Inferno, XXXIV, v.139)

Samuele Migliore
Vicepresidente, teologo in erba, collaboro con l'Osservatore Romano e alcune testate diocesane locali. Dal 2023, dopo 5 anni da insegnante, sono educatore a Corviale, nella periferia di Roma, dove lavoro con minori a rischio devianza.

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