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Ecco le voci di chi conosce e vive la montagna da sempre: i fratelli Alessandro e Andrea Casassa, gestori del rifugio Alpetto, Christian Farina, tecnico del CNSAS e Luciano Ellena che con i suoi muli effettua rifornimenti a impazzo zero

Estati sempre più lunghe, inverni sempre più caldi segnati dalla mancanza di neve. Il cambiamento climatico si fa sentire anche nelle vallate del Cuneese.

Abbiamo intervistato a tal proposito chi l’ambiente lo conosce bene perché in montagna ci lavora.

Nello specifico parliamo della Valle del Po, dove i fratelli Alessandro e Andrea Casassa, esperti e abituali frequentatori della montagna, gestiscono con l’aiuto di tutta la famiglia, il rifugio Alpetto, sotto il Monviso, dal 2013.

“A spingerci ad iniziare questo tipo di attività (prima dell’Alpetto abbiamo gestito altri rifugi) l’interesse per la cucina, ma soprattutto per la montagna e la natura in generale; Alessandro ha alle spalle anche studi per diventare veterinario. A trasmetterci questa passione è stato nostro padre, Armando – raccontano – che da giovane ha gestito un rifugio ai piedi del gigante del Monte Bianco.”

Come funziona il vostro rifugio? Dove procurate l’energia di cui avete bisogno?

“La struttura – spiegano i fratelli Casassa – è energeticamente autosufficiente (in condizioni climatiche normali). Questo grazie ad una micro centrale idroelettrica che sfrutta un salto d’acqua di circa 50 metri e riesce a produrre 13 chilowatt di energia elettrica, sufficiente ad alimentare tutte le utenze del rifugio. L’energia in eccesso, non utilizzata sul momento, viene utilizzata per produrre acqua calda. In più, il rifugio è dotato di una sorgente naturale di acqua potabile, che tuttavia, negli ultimi periodi, più secchi, si sta riducendo.” “Fortunatamente – aggiungono – anche quest’anno, nonostante la siccità noi non abbiamo avuto grandi problemi con l’acqua, per il funzionamento di questo sistema del rifugio e anche perché l’Alpetto è in una posizione molto strategica. Tanto è vero che il C.A.I. edificò lì vicino il suo primo rifugio, ad oggi museo accessibile al pubblico su un’altura a pochi metri da quello attuale.”

Quali sono stati gli effetti di un inverno non nevoso in montagna? Quali problematiche avete dovuto affrontare per rifugio? Il paesaggio montano è mutato a causa del cambiamento climatico? “Sicuramente è mancato l’alpinismo invernale, ma il problema maggiore è stata la scarsità di risorse idriche, dovuta anche alla mancanza di isolamento del terreno, di solito fornito dal manto nevoso. (Questo fenomeno, chiamato permagelo, è diffuso nelle Alpi, soprattutto sopra quota 2600 metri, in zone ad alta latitudine. Indica lo strato di terreno permanentemente gelato che si trova, a profondità non minori di qualche metro, nel sottosuolo, dove il ghiaccio agisce quasi come un collante N.d.r.) Oltre all’assenza di neve, abbiamo notato anche un ridotto spessore del ghiaccio che ricopre il lago d’inverno. Per quanto riguarda la fauna, è difficile dare una risposta univoca, in quanto gli animali hanno una buona capacità di adattamento e i cambiamenti si possono osservare solo in un arco di tempo più lungo. Crediamo che chi osserva gli insetti possa avere risposte migliori, perché i cicli vitali sono più brevi.” I cambiamenti climatici, inoltre, hanno influenzato anche il modo di vivere o affrontare la montagna, e la tipologia di persone che la frequentano. A confermarlo è Christian Farina, tecnico del CNSAS nella delegazione Valli Pinerolese dal 2017.

“Il cambiamento climatico ha influenzato, e non poco, il modo di andare in montagna. Molti percorsi, in gergo vie – ci spiega – sono state modificate o addirittura non possono più essere percorse data la pericolosità dovuta all’instabilità del terreno da calpestare, generalmente si tratta di itinerari su roccia o sui ghiacciai. Basti pensare al nostro vicino Monviso, sempre più soggetto a frane dovute al riscaldamento eccessivo della roccia. La tipologia e il numero di persone che frequenta la montagna è cambiato molto negli ultimi anni, c’è stato un incremento di accessi e sfortunatamente di incidenti. La pandemia, poi, ha ulteriormente incentivato le persone a stare all’aria aperta e a salire in montagna, ma spesso, purtroppo, senza alcun tipo di preparazione né equipaggiamento adeguato.”

Che impatto hanno avuto questi cambiamenti sul lavoro del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino?

“Proprio in seguito a questi cambiamenti il lavoro del CNSAS è aumentato. Purtroppo tante persone non si rendono conto di cosa andranno a fare, banalmente nemmeno di che tipo di calzature convenga usare, per non parlare dell’attrezzatura più tecnica. Le funivie hanno reso possibile raggiungere luoghi a cui prima solo i più preparati potevano arrivare. Le bici elettriche permettono di salire con minimo sforzo, il problema è che poi bisogna essere in grado di guidarle in discese accidentate e che spesso richiedono una certa abilità.”

Negli ultimi anni, poi, il rifugio Alpetto ha iniziato ad approvvigionarsi grazie al signor Luciano Ellena che con i suoi muli effettua rifornimenti a impazzo zero.

Luciano Ellena è nato a Chiusa Pesio in una famiglia di boscaioli e agricoltori; i muli, li conosce da sempre. Da giovane, ha gestito per un po’ un bar a Cuneo, poi ha conosciuto la mula Katty, ha venduto il bar e con lei è tornato a casa sua a Chiusa Pesio; dove ha iniziato una nuova vita: da mulattiere. Ad oggi continua questa attività, portando provviste ai rifugi con le sue amate mule. Lavora coi suoi animali e li alleva nella sua fattoria. “Sono 18 anni che pratico questo mestiere – racconta – ho iniziato perché era l’unico che raggruppa tre elementi fondamentali: l’ambiente, gli animali e l’uomo. Con questa tipologia di vita un individuo si sente libero. È ecologico: l’impatto ambientale è pari a zero, è sostenibile. C’è continuità di sviluppo, salvaguardia delle razze (muli, bardotti, asini, cavalle), artigianato (si costruiscono basti e finimenti). Quando parliamo di mestieri vuol dire che ci sono più tipologie di lavori che si mescolano assieme senza darsi fastidio.” Anche al signor Luciano, dopo aver scoperto la sua storia, abbiamo chiesto di parlarci del tema dei cambiamenti climatici, di come essi stiano cambiando le nostre montagne in base alla sua esperienza. Da assiduo frequentatore della montagna, per la sua riscoperta attività di mulattiere, ha notato cambiamenti evidenti o significativi della fauna selvatica e della flora alpina causati dai cambiamenti climatici?

“Certo che sì, la mancanza delle precipitazioni soprattutto invernali fa sì che determinate tipologie di erbe non si riproducano più, e questo fa si che gli erbivori non trovino sostanze adeguate per affrontare gli inverni. Le temperature alte fuori stagione favoriscono le fioriture fuori tempo. Alcune erbe potrebbero non trovare più le condizioni per germinare e dunque estinguersi per sempre. Determinati posti diventano aridi, le piogge causano smottamenti, tutto potrebbe andare perduto.”

Questo le ha causato nuovi problemi nello svolgere la sua attività con i muli?

“Non particolarmente, noi andiamo e veniamo, se dovessimo fermarci in quota allora bisognerebbe tenere conto di foraggi e acqua, che a seconda del periodo, potrebbero mancare.”


Emma Lidia Casassa, 3A IC Carrù