La linea d’ombra
C’è una linea d’ombra nella vita di ciascuno, un confine sottile che segna il passaggio dalla giovinezza alla maturità. Questa stessa linea esiste anche nella storia dell’Unione Europea. Per Joseph Conrad, la linea d’ombra è «quella che ci avverte di dover lasciare alle spalle le ragioni della prima gioventù». È il momento in cui si prende coscienza della propria indipendenza e, al contempo, della solitudine che essa comporta.
L’Europa, per esistere davvero, deve superare la fase di incertezza, abbandonare l’indegnità che la paralizza e, come il protagonista del romanzo di Conrad, accettare le proprie responsabilità. Deve diventare ciò per cui è nata. In un’epoca in cui il concetto stesso di sovranità è messo alla prova, l’Europa è ancora in attesa di diventare Europa. Per citare un’opera che negli ultimi anni è tornata spesso sulle labbra di esperti e meno esperti (Il Signore degli Anelli): «Diventa ciò che sei nato per essere».
Ma cosa separa il giusto dallo sbagliato? Quale luce sposta quel confine che illumina o, al contrario, fa sprofondare nelle tenebre? Stiamo assistendo a cambiamenti epocali, a una fase in cui persino il nostro più grande e potente alleato, gli Stati Uniti, sembra tradire l’Occidente. Il leader della NATO si sta spostando altrove. Quanto potrà rimanere in luce l’Occidente? Quanto potrà continuare a essere un faro? E soprattutto: siamo davvero noi la luce?
Il nostro sistema liberal-democratico è giovane, giovanissimo. Se guardiamo alla storia, gli anni in cui il mondo ha vissuto sotto regimi, monarchie e imperi sono infinitamente più numerosi di quelli trascorsi sotto il modello delle democrazie liberali. Forse ciò che stiamo vivendo è una naturale spinta centrifuga della storia, che ci sta suggerendo che l’umanità, dopo aver assaggiato questo nuovo “gusto”, potrebbe non volerlo più. Forse, tra qualche secolo, questi anni di democrazia liberale saranno visti come un momento di smarrimento, un’eccezione temporanea, una repubblica di Cromwell destinata a sciogliersi. D’altronde anche in quegli anni il popolo aveva decapitato il Re e scelto la repubblica, un atto progressista? O è stato più progressista la restaurazione della monarchia?

Ad ogni modo dovremmo chiederci cosa distingue davvero il giusto dallo sbagliato, perché pare di capire che non sono categorie assolute, forse più figlie di una morale e di un’etica che ogni epoca ridefinisce.
La maturità dell’Europa passerà anche da come saprà gestire la questione ucraina. Saprà dimostrare di voler difendere la propria identità liberale, ciò che con sangue e fatica ha istituzionalizzato: lo stato di diritto? Oppure continuerà a rimanere impantanata nella sua linea d’ombra, in attesa di diventare ciò che dovrebbe essere? E forse la domanda che fa più male ma che dovremmo porci non è se l’Europa diventerà adulta, ma se il mondo vuole ancora quello che l’Europa crede di rappresentare. E se la democrazia liberale non fosse il punto d’arrivo? ♦︎