La nuda vita
A cosa pensate se dico ‘nuda vita’? Se fra le prime cose che vi vengono in mente ci sono temi esistenziali, non sbagliate. Per Leopardi, primo esistenzialista della poesia italiana, la nuda vita era quella priva di obiettivi: un’esistenza vuota, superficiale, per chi passa ‘di godimento in godimento’ senza porsi obiettivi; una sorta di giudizio che la formica ha nei confronti della cicala. Una vita vuota, fatta di insuccessi e di mancata realizzazione.
Stando a quanto dice Leopardi, la nuda vita sembra essere tanto una scelta quanto una china facilmente evitabile. E se così non fosse per tutti? Se la nuda vita non dipendesse obbligatoriamente da una nostra scelta, ma ci ritrovassimo in questo buco nero senza possibilità di uscita? Saremmo ancora artefici del nostro destino, oppure no?
New York, la vita nuda degli uomini talpa
A proposito di vita nuda, vengono in mente gli uomini descritti nel libro di Jennippher Toth, Uomini talpa. Vita nei tunnel sotto New York city, che racconta gli ‘scarti’ della società, uomini senza una vita sociale, senza un lavoro, senza speranze che vivono nell’intestino di New York. Uomini e donne che sono il rovescio della medaglia di una città di luci e ribalte. Un mondo che sembra uscito da un romanzo di Neil Gaiman. Gente che vive mangiando scarti e rifiuti dei ristoranti. Questa non è un’esclusiva di New York, ma una costante di ogni metropoli, sempre in aumento. Nel 2015 la Fio.PSD denunciava in Italia 50.000 persone senza fissa dimora, mentre nel 2023 il conteggio sfiora i 100.000. E nel resto dell’Europa l’andamento non è diverso: 900.000 persone vivono da emarginate, dove la ‘nuda vita’ è nuda soprattutto di speranze, di possibilità, ridotta a vita biologica.
E allora: che cos’è la vita nuda? Quella che condannava Leopardi, una mancanza di slancio e ambizione? O quella degli uomini talpa?
La vita nuda dell’Homo Sacer
In questa osservazione di vita nuda, ci viene in soccorso il pensiero di Giorgio Agamben. Il filosofo parla di «vita nuda» a seguito del ritrarsi (dall’uomo) della legge umana e della legge divina. Senza questi due ‘vestiti’ giuridici, la vita dell’uomo rimane nuda. L’individuo diventa così Homo Sacer, un tipo di figura esistente all’interno delle società antica e riconosciuta dal diritto romano: un individuo così poco importante che chiunque poteva uccidere senza commettere omicidio, perché questo individuo non era riconosciuto come essere. Un essere umano talmente fuori dalla società e talmente inutile che poteva essere ucciso ma non sacrificato, poiché per essere sacrificati bisognava essere proprietà di qualcuno, e appartenere a qualcuno voleva dire avere un valore. L’homo Sacer non ha valore.
Ritornando al concetto della nuda vita che l’Homo Sacer ha nel Novecento, possiamo ricorrere a Benjamin che teorizza quale sia il ‘colpevole’ della condizione di questi individui emarginati: la società decidente. La nuda vita nella società non leopardiana (che prevede autodeterminazione dell’individuo per la sua realizzazione) è propria di esseri zoologici, una vita che diviene uccidibile dando fuoco con leggerezza a un clochard per strada. Una nuda vita questa che è spogliata dei diritti del cittadino e dalla valenza religiosa, posta fuori dal diritto umano e dal diritto divino.
Così mi chiedo quale sia il giusto ‘abbigliamento’ da usare sulla vita. Quale l’outfit adeguato E se esistesse, cosa rappresenterebbero i vestiti che la vita si troverebbe a portare? Sarebbero corde che ci legano inevitabilmente a una società minando la nostra individuale libertà? Una vita nuda può essere ugualmente piena e non rilegata ai margini? Di certo non rimarremo spogli di domande. ♦︎
Illustrazione di Susanna Galfrè