“Katia e Maurice Krafft erano famosi per aver ripreso immagini incredibili di vulcani. Ma questo significava essere dovuti arrivare pericolosamente vicino ai loro soggetti, troppo vicino, come alla fine sarebbe stato chiaro”
Con queste parole Werner Herzog presenta i coniugi ossessionati dalla lava nel film Into the Inferno (2016), cui era dedicata una breve parentesi. Ora, il cineasta tedesco ricostruisce la vita dei due folli vulcanologi attraverso le immagini da loro filmate nel corso di viaggi, spedizioni e ricerche. Come in Grizzly Man, Herzog ordina un vastissimo archivio di documenti, trovando nell’immanenza della morte e nella maturazione dello sguardo il fil-rouge del racconto. Un lavoro di montaggio puro, dove emergono, nell’andamento estatico-musicale, l’affinità del regista col materiale e il desiderio di appropriarsi e sostituirsi ai protagonisti. Il documentario concretizza e catalizza sogni che permeano tutta la filmografia herzoghiana: la volontà di vedere l’impossibile e catturare frammenti di visioni ectoplasmatiche.
L’eruzione del Monte Unzen nel’91, dove la coppia perse la vita, incornicia e circoscrive le avventure dei due scienziati. Quest’evento è la tonica su cui gravitano tutti gli episodi della narrazione, che convergono drammaticamente nella morte, “sospesa” dall’inizio del film fino alla sua conclusione. Scenari incandescenti dominano le inquadrature, dove paesaggi apocalittici emergono sia nella loro potenza distruttiva, che nella loro antica ed embrionale primordialità. Vita e morte si fondono in un amalgama Wagneriano con l’aspirazione del regista di voler diventare un tutt’uno con le immagini dei Krafft. C’è una sequenza dove Katia e Maurice sfuggono per il rotto della cuffia dall’esplosione d’un’isola su cui era avvenuta una gigantesca eruzione. Diventa impossibile non pensare a La Soufrière (1976), in cui Herzog sembrava essere in una situazione analoga, dove alla fine l’atollo che l’ospitava non deflagrò.
UNA QUESTIONE IN SOSPESO: LA SOUFRIÈRE
Il breve documentario si svolge nella città di Basse-Terre, fatta evacuare da sismologi e vulcanologi, che avevano decretato l’esplosione del vulcano La Soufrière. Contro ogni previsione degli esperti, il vulcano non esplose e la sua attività cessò lentamente. Il film si trasforma così nel racconto d’una troupe spintasi fino allo stremo per poter riprendere un posto destinato a sparire dalla faccia della terra. A guidare il regista e i due operatori è la volontà di filmare immagini che saranno uniche. Il senso di epicità che conduce i “personaggi” è così destinato a confluire in una conquista inutile e tragicomica.
Si avverte una profonda ammirazione del cineasta nei confronti di Katia e Maurice, che portano a compimento questa sorta di “coito interrotto”. Herzog mette da parte il ridicolo con cui solitamente tratteggia i suoi personaggi, riuscendo così ad essere davvero epico e realmente elegiaco. Esaltando i due scienziati-registi che sono riusciti a catturare immagini con la qualità dei sogni. Non resta che perdersi nei flussi piroclastici e nel magma rovente di queste visioni incredibili.