Sono passati 17 anni dall’uscita del capolavoro di Patrice Désilets e Jade Raymond, anni in cui il core design di Assassin’s Creed ha influenzato per lunghissimi tratti il mercato video ludico. Un titolo che de facto ha creato un duraturo standard per il game design, ereditato da tutto mondo video ludico alla sua uscita. Un canone così importante che è stato addirittura ribattezzato “standard Ubisoft”. Un insieme di meccaniche e scelte di level design che molti altri giochi hanno riutilizzato nelle loro produzioni. Uno su tutti è sicuramente il famosissimo Horizon Zero Dawn di Guerrilla Games, eredità perfetta del canone della multinazionale francese.

Il canone Ubisoft

Ma che cosa si intende con «standard Ubisoft»? Esso rappresenta un insieme di pratiche di design che hanno contribuito al successo e alla riconoscibilità dei suoi giochi. Sebbene non esista una definizione formale dello standard Ubisoft, i giocatori e gli analisti del settore identificano alcune caratteristiche ricorrenti che sembrano definire l’approccio di Ubisoft al game design.

Al centro dell’esperienza Ubisoft c’è il concetto di open world, un vasto ambiente virtuale nel quale i giocatori possono liberamente scegliere quale strada intraprendere per avanzare nel gioco. Questa libertà di esplorazione è la base solida di titoli come il già citato Assassin’s Creed o Far Cry. Forti di questa libertà di gioco, la caratteristica meccanica di ‘scalare torri’ per rivelare parti della mappa è diventata quasi un cliché associato a Ubisoft, sebbene ultimamente l’azienda abbia iniziato a allontanarsi da questa soluzione di design, sia come risposta alle critiche, sia come tentativo di innovare una meccanica ormai stantia.

In questo palcoscenico, il giocatore è chiamato ad immergersi in una storia avvincente, popolata di comprimari e nemici ben caratterizzati, ambientata in scenari tecnicamente di alto impatto visivo. Dal punto di vista esclusivamente ludico, l’elemento stealth è un altro pilastro del design Ubisoft, invitando a esplorare approcci tattici per superare le sfide, anziché fare affidamento solamente sulla ‘forza bruta’: cespugli, oggetti da lancio, mimetismo e zone d’ombra diventano strumenti ambientali e non necessari per avanzare tra i livelli di gioco.

Molti prodotti Ubisoft, incorporano elementi RPG mirati alla crescita e allo sviluppo del proprio avatar. I giocatori migliorano i loro personaggi attraverso sistemi di progressione complessi, sbloccando nuove abilità e potenziando il loro equipaggiamento per affrontare sfide via via crescenti. Nonostante l’enfasi sull’esperienza single-player, un altro punto forte è l’integrazione di elementi multiplayer e online per arricchire l’esperienza di gioco. Proprio dalla componente online, giunge il punto di critica più frequente, ovvero l’inclusione di microtransazioni che permettono l’acquisto di contenuti extra o vantaggi in-game, spesso suscitando dibattiti sull’equilibrio tra valore e monetizzazione.

Uno degli artwork d’uscita di Horizon Zero Dawn.

Un climax in declino

Tuttavia, come in ogni forma d’arte, la ripetizione può portare a saturazione. E Ubisoft, come altre case di sviluppo, nonostante il grande successo, è chiamata ad innovare la propria offerta. D’altro canto, Guerrilla Games è riuscita a fare propria la lezione della casa francese e a produrre la summa perfetta di tutte le caratteristiche dello standard in questione. Horizon Zero Dawn, eredita e rinfresca le feature principali proposte nel canone, arrivando a produrre un climax.

Eppure nonostante il successo di Horizon, lo standard Ubisoft ha iniziato lentamente a cedere il passo ad altre soluzioni sul mercato. Come mai? Per quale motivo, i giocatori e di conseguenza il mercato hanno iniziato a guardare altrove?

Anche considerando la grande libertà offerta in titoli di questo tipo, il giocatore dopo le prime ore di gioco si sente limitato in una gabbia dorata senza alcun reale orizzonte da esplorare in lontananza. Un loop di meccaniche che confina l’utente a una serie di azioni ripetute, con realmente poche variazioni sul tema. La monotonia è una conseguenza quasi naturale e ogni missione secondaria proposta dal titolo diventa un riempitivo, quasi un dovere per i completisti, ma raramente un reale divertimento. Per evitare la noia, nel corso degli ultimi anni la stessa Ubisoft è corsa ai ripari in diverse e successive iterazioni, proponendo modifiche radicali nel genere, mentre Guerrilla ha rafforzato la sua proposta con Horizon: Forbidden West.

Nonostante queste mosse, le vette di un tempo non sono mai state più raggiunte. Analizzando la cosa, risulta evidente che lo standard Ubisoft sia una soluzione solida, un’ottima architettura di gioco, ma tende alla ripetizione, a imprigionare quel reale senso di esplorazione che appassiona la maggior parte dei giocatori. La serie di regole che compongono questo canone, sembrano rinchiudere tutte le scelte possibili all’interno di alcuni limiti sicuramente funzionali, ma che rompono il cerchio magico tanto caro a Huizinga. E se questo si spezza, il game flow viene irrimediabilmente perso. I giocatori più o meno inconsciamente avvertono questa rottura. Sentono che il velo di Maya è irrimediabilmente strappato e il gioco finisce. Perché giocare è una ‘cosa seria’.

Ubisoft è riuscita per oltre una decade a dare l’illusione di libertà attraverso regole ben definite, loop intricati ma leggibili che hanno fatto scuola di level design. Sia in termini positivi che negativi: oggi infatti, molte di queste meccaniche vengono mal sopportate dai giocatori che provano un poco piacevole senso di déjà vu. Rimane da chiedersi se esistano degli standard immortali, che non subiscano il passare del tempo rimanendo sempre attuali. Ma questo è materiale per un altro articolo.

Il game design è materia strana. Fluida, poco chiara. Tutto si gioca sul prevedere che scelte ed emozioni affronterà un altro essere umano, dandogli illusione di libertà. Se la si vuol prendere con filosofia, è come catturare l’orizzonte, aspettandosi che nessuno guardi oltre. ♦︎

Giovanni Zabardi
Nato controvoglia nel '94, ingegnere per scherzo e gamer incallito. Nonostante il cuore nerd, sono un organizzatore patologico dei migliori falò di ferragosto low budget della Costa Est. Laurea e lavoro nel gaming mi hanno imborghesito, ma una volta suonavo in una surf-rock band.

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