Con un discorso trasmesso a reti unificate in tutta la Nazione, il presidente del Cile Gabriel Boric ha annunciato lo scorso 20 aprile di voler porre sotto il controllo dello Stato le riserve di litio del Paese.
L’idea faceva già parte del programma politico del presidente, come la riscrittura della costituzione.
Una coraggiosa iniziativa del giovane Capo di Stato cileno, che venne, però, bocciata dal popolo con un referendum, a settembre dello scorso anno.
Ma questo non ha fiaccato lo spirito di iniziativa di Boric, che si è lanciato in una nuova campagna ardita, con quella che potrebbe essere vista come una nazionalizzazione del litio.
Anche questa proposta ha, al momento, un esito incerto.
Dovrá, infatti, passare il vaglio del Congreso Nacional, il parlamento del Cile, dove il presidente non ha la maggioranza.
La proposta di Boric
L’idea del presidente sudamericano è quella di imporre a tutte le aziende private che vorranno investire nel settore del litio di sottoscrivere un apposito contratto di partenariato con il governo.
Il progetto prevede, inoltre, la costituzione di una società ad hoc, controllata dallo Stato: la National Lithium Company.
Non si tratterebbe, dunque, di una totale nazionalizzazione del settore, ma di una collaborazione fra pubblico e privato. Una sorta di partecipazione statale.
Boric, nel suo discorso, ha definito il litio una risorsa fondamentale per la Nazione e ha sottolineato la volontà del governo di essere protagonista lungo tutto il ciclo produttivo del minerale, dall’estrazione alla successiva lavorazione.
Inoltre, il presidente ha dichiarato di voler aprire un dialogo anche con le popolazioni indigene che risiedono nelle zone interessate all’estrazione. In particolare, la comunità che vive nella regione di Antofagasta, dove è presente il più importante giacimento di litio, la salina di Atacama.
La promessa fatta dal Capo di Stato è quella di non approvare nuovi investimenti nelle aree di estrazione senza prima aver consultato e ottenuto il consenso dei popoli che vi risiedono.
Il litio, luci e ombre di una risorsa strategica per il futuro
La domanda di litio è triplicata dal 2015 a oggi ed è destinata, probabilmente, ad aumentare ancora in futuro.
La ragione risiede nel fatto che questo minerale viene sempre più spesso impiegato nella realizzazione di componenti di oggetti di uso quotidiano, in particolare le batterie di smartphone e pc.
Non solo. Rappresenta, anche, un elemento fondamentale per la transizione energetica e la battaglia contro l’inquinamento e il surriscaldamento globale.
Le batterie a ioni di litio, infatti, servono per l’alimentare le auto elettriche, settore sul quale si sta investendo maggiormente per affrancare la mobilità dal petrolio.
Tuttavia, il litio nasconde un lato oscuro. Sebbene la sua lavorazione non produca un elevato livello di CO2, vi sono altri fattori che mettono a rischio la salubrità della vita umana e dell’ambiente circostante.
Il litio in natura non si trova allo stato metallico, ma sempre in lega con altre sostanze.
I giacimenti in Cile sono presenti all’interno di saline.
L’estrazione del minerale prevede che la salamoia venga pompata dalla profondità e rilasciata in bacini esposti al sole, dove viene fatta evaporare.
Questo processo comporta un elevatissimo consumo di acqua, bene sempre più raro e prezioso.
Il pompaggio della salamoia può, infatti, abbassare sia i livelli delle riserve idriche sotterranee, sia quelli dei fiumi, provocando una carenza di acqua potabile o da destinare all’agricoltura.
Lo stesso problema si presenta nei giacimenti di litio di Argentina e Bolivia, gli altri due Paesi che con il Cile formano il cosiddetto triangolo del litio.
Uno dei punti del disegno di Boric è, proprio, quello di investire in nuove tecnologie in grado di ridurre l’impatto ambientale.
Ma per giungere a questo risultato lo Stato dovrà trovare risorse sufficienti per finanziare i progetti.
L’idea del presidente cileno non è un fulmine a ciel sereno
Il Cile non è l’unico Paese a voler nazionalizzare le sue riserve di litio, e neppure il primo a farlo.
La Bolivia portò sotto il diretto controllo dello Stato i giacimenti di litio già nel 2008, con l’allora presidente socialista Evo Morales.
L’obiettivo del governo era quello di ridistribuire in modo più equo i profitti derivanti da questo settore, già all’epoca molto promettente.
Ma i risultati sperati non sono stati pienamente raggiunti.
Lo Stato non aveva le risorse necessarie per investire e rinnovare l’attività di estrazione del raro minerale.
Inoltre, non era neppure dotato delle capacità di controllare l’intera filiera, lungo tutto il percorso di lavorazione.
Infine, un’equa distribuzione dei proventi non può essere raggiunta in un Paese incancrenito da una corruzione troppo profonda per essere estirpata totalmente.
Negli ultimi anni la Bolivia ha, quindi, dovuto fare dei passi indietro, concedendo maggiore spazio all’iniziativa privata, che tuttavia è spesso rappresentata da potenze straniere, le quali sfruttano al massimo le risorse dei Paesi ospiti, lasciando misere briciole alla popolazione locale.
Più recente è, invece, l’iniziativa del governo messicano.
Anche lo stato centroamericano ha deciso di nazionalizzare le miniere di litio e, in particolare, di evitare che cadano nelle mani di imprese cinesi, russe o statunitensi.
La corsa al nuovo oro
La proposta del presidente Boric mira, anche, a proteggere le riserve del prezioso minerale dalle mire di altre Nazioni.
La Cina in primis sta cercando di accaparrarsi i giacimenti di risorse rare, come il litio, un po’ in tutto il mondo.
I suoi artigli si sono allungati già in molte zone dell’Africa, dove imprese cinesi hanno preso il controllo dei giacimenti.
La promessa del “Dragone” è quella di portare innovazione e ricchezza ai territori sfruttati, ma, al momento, la realtà dei fatti sembra diversa.
Con una produzione di litio che soddisfa il 30% della domanda globale, il Cile si classifica al secondo posto fra i maggiori produttori di questa risorsa. Davanti vi è solo l’Australia.
Appare, dunque, scontato che il governo voglia fare di tutto per mantenere i profitti all’interno del Paese.
Lo scenario proposto da Boric permetterebbe, finalmente, alla popolazione cilena di uscire da uno stato di permanente sottosviluppo.
Inoltre, lo sfruttamento delle risorse del territorio dovrebbe diventare meno invasivo sia per l’ambiente che per le comunità circostanti.
Il giovane presidente ha dimostrato di essere lungimirante e coraggioso, ma i suoi concittadini non gli anno attribuito la fiducia sperata quando si è trattato di modernizzare la costituzione.
La speranza è che, in questo caso, il governo trovi la forza e le risorse per portare avanti l’ambizioso progetto di crescita e sviluppo e sia da esempio per altri Paesi che si trovano nelle medesime condizioni. Inoltre, sarebbe una bella prova della capacità di superare quella condizione di corruzione che pare affliggere permanentemente il Sud America.