Qualcuno lo riconduce ad angoscia e paura, altri invece a speranza e curiosità. Una cosa è certa: il futuro, in senso stretto, non esiste
Da bambina aspettavo con grande fervore ed entusiasmo l’arrivo del Natale, ovviamente, per poter scartare i regali che Babbo Natale mi avrebbe portato. Terminata quella giornata, però, mi chiedevo come potesse essere trascorsa così velocemente, l’euforia si trasformava improvvisamente in nostalgia e prendevo consapevolezza del fatto che ci sarebbero voluti altri 365 giorni prima che si ripresentasse il Natale. Altri 365 giorni in cui avrei fantasticato su cosa mi avrebbe potuto portare Babbo Natale l’anno successivo. Altri 365 giorni in cui avrei riposto nel futuro tutta la gioia che una bambina aveva la capacità di provare, senza rendermi conto che la vera gioia era sempre presente in me.
Futuro. Quante volte pensiamo a questa parola associandola a momenti che crediamo o speriamo possano avvenire nella nostra vita. Quanto spesso fantastichiamo o ci interroghiamo su quello che accadrà e quante aspettative creiamo per poterci proiettare mentalmente, verso quel desiderato o temuto futuro; per molti infatti, questo termine può ricondurre ad ansia, angoscia, paura; per altri potrebbe invece indicare speranza e curiosità. Una cosa è certa: il futuro, in senso stretto, non esiste. Immagino che molti di voi penseranno che io stia dicendo un’assurdità, ma, pensiamoci bene, la nostra vita è fatta di istanti, tante piccole successioni di momenti che compongono il mosaico dell’esistenza di ognuno di noi. Questi istanti esistono solo e soltanto nell’attimo presente. Tutto quello che è passato non è più, quello che sarà non è ancora: l’unico istante che possiamo vivere è sempre e solo il presente.
Questo concetto, che per molti potrebbe sembrare astruso e insignificante, è stato parte fondamentale del pensiero di molti filosofi, uno tra i più importanti Friedrich Nietzsche, filosofo ottocentesco che nella fase più matura del suo pensiero ci presenta la dottrina che considera essere la più profonda di tutta la sua filosofia: l’eterno ritorno dell’uguale. Per introdurci alla dottrina, Nietzsche ci pone di fronte a un’ipotesi: proviamo a ipotizzare che la vita del cosmo sia eterna e finita nello spazio, che tutto si ripeta eternamente e in modo identico a se stesso infinite volte, anche noi stessi e la nostra vita: proviamo ad ammettere questa ipotesi come vera, farla nostra e viverla, come reagiremmo? Ammettendo la plausibilità dell’eterno ritorno, come ci comporteremmo? Provate a fare questo esperimento mentale anche voi che state leggendo: come reagireste se qualcuno vi dicesse che la vostra vita si ripeterà all’infinito senza mai cambiare di una virgola?
L’eterna clessidra dell’esistenza viene capovolta e tu con essa, granello di polvere
Nietzsche, aforisma 341 de La gaia scienza
Nietzsche ci dice che esistono due modi opposti di reagire all’assimilazione dell’eterno ritorno: il primo modo è di viverlo come una condanna che porta con sé angoscia e paura; è un modo pessimistico di porsi nei confronti della vita, poiché significa che non la apprezziamo né la accettiamo nella sua completezza, tanto da volerla rivivere all’infinito. Il modo diametralmente opposto di intendere la dottrina consiste invece nell’assimilare nel profondo questo pensiero tanto da condurre ad una metamorfosi del soggetto, un cambiamento radicale che porterebbe a vedere l’ipotesi dell’eterno ritorno come qualcosa di divino, che genera gioia infinita.
Che cosa centra il futuro in tutto ciò?
Ci stiamo arrivando, per comprendere questa porzione di testo dobbiamo cercare di essere il più idealisti possibili, distaccandoci dalla visione terrena, razionale delle cose e portando il pensiero a un livello superiore, astratto.
Nella parte successiva, Nietzsche ci spiega che coloro che intendono la dottrina dell’eterno ritorno come portatrice di disperazione e angoscia, sono le persone che vivono la vita e il tempo come fosse una linea indirizzata verso una sola direzione che conduce ad un fine trascendente, dove risiede il senso e il valore dell’esistenza; in questa esperienza della temporalità nessun momento ha valore di per sé, ma ciascun istante ha senso e valore solo in funzione di quello successivo. Qui è presente l’idea che tutto ciò che è avvenuto, tutta la storia della nostra vita, è un processo lineare che volge ad un fine ultimo, ed è solo lì che risiede il valore di tutto il processo. Fa parte dell’esperienza quotidiana di molti di noi: ci aspettiamo, da un istante all’altro, una promessa di senso che non arriva mai, in quanto ogni attimo ha senso solo in funzione di quello successivo, anche se nessuno lo realizza mai pienamente: c’è l’attesa di una pienezza che deve sempre arrivare.
Il presente è attesa di una pienezza di senso che è promessa nel futuro. Questa esperienza della temporalità si regge in piedi perché promette l’avvento di un fine ultimo, ma se immaginassimo idealmente che questa linea temporale, ad un certo punto, si ripieghi su se stessa diventando circolare, ovvero una ripetizione senza scopo di istanti, tutti privi di senso, poiché viene negato il fine ultimo in quanto non esiste più una linea che conduce ad uno scopo ma solo una circolarità, se togliessimo lo stadio finale che dà senso a tutto il percorso, rimarrebbero una serie di istanti, ciascuno senza valore, e avremmo solo un ripetersi causale di momenti privi di senso, slegati. Questa sarebbe l’esperienza dell’eterno ritorno per coloro che l’avrebbero assimilata in maniera angosciante e opprimente: e lo vivrebbero in maniera tale proprio perché è l’idea di una mancanza di un fine dell’esistenza, la disperata prospettiva di una eterna ripetizione di attimi senza scopi.
Nietzsche, però, ci suggerisce che potremmo vivere con gioia l’esperienza dell’eterno ritorno, superando questo modello di temporalità per arrivare a vivere una piena coincidenza di essere e senso: tutto ciò è possibile solo vivendo ogni istante come pienamente dotato di valore, accettando il fatto che ogni istante non esiste in funzione di un altro, ma ha senso e valore di per se stesso. Non c’è un’affermazione più grande dell’esistenza che la volontà di ripetere infinite volte ciascun istante. Un circolo eterno che si ripete eternamente non ha un inizio, o meglio, l’inizio è dappertutto, l’inizio è ora. Ogni istante è l’inizio del circolo e decide di se stesso e delle sue infinite ripetizioni. Ogni istante è parte di un accadere che decidendo di se stesso condiziona gli altri. Questo è il punto dove volevamo arrivare: se dici che sei in grado di voler ripetere ogni istante della tua vita, allora sei in un atteggiamento affermativo dell’esistenza, poiché questa vita ha senso in se stessa e inizia sempre ora.
In fondo, siamo tutti un po’ bambini che aspettano Babbo Natale, vedendo in lui l’unico portatore di gioia. Così facendo trascuriamo e sottovalutiamo l’importanza dell’essere qui e ora. Questo non significa che non dobbiamo porci degli obiettivi futuri e cercare di raggiungerli, perché ci motiva, ci dà carica ed è giusto che sia così; ma vivere con la consapevolezza che il primo passo per raggiungere quell’obiettivo bisogna compierlo adesso, dà una prospettiva diversa alle cose. Del resto, chi ci dice che Babbo Natale non possa arrivare proprio oggi?
Illustrazione di Lara Milani