L’arte di abbandonarsi e di lasciar cadere

Una torretta di forme geometriche immacolate. Piramidi, cubi, sfere, cilindri sono disposti su un tavolo spoglio e impilati ogni giorno in modo sempre diverso, sempre in equilibrio perfetto. Un gioco per bambini, in apparenza. Ma basta un sussulto e la torretta traballa e cade, e questo non deve succedere perché dall’equilibrio di quella torretta bianca dipende l’esistenza un intero mondo. Questa è un’immagine centrale de Il ragazzo e l’airone, l’ultimo film di Hayao Miyazaki uscito dieci anni dopo Si alza il vento (2013), che secondo quanto annunciato doveva essere il suo ultimo film. 

«Non c’è niente di più patetico che annunciare al mondo il proprio ritiro a causa dell’età, e poi fare marcia indietro. Ci si può rendere conto di quanto sia patetico ma ciononostante farlo lo stesso?», ha ammesso il regista mentre progettava il film, la cui lavorazione è durata sette anni. Forse scherzava, o forse a 83 anni si sente davvero un po’ buffo e impacciato, come le nonnine dai lineamenti inghiottiti dalle rughe che compaiono in quasi tutti i suoi film, e che in quest’ultimo fanno da aiutanti a Mahito, il protagonista. Lo conosciamo quando, durante un bombardamento su Tokyo nella Seconda Guerra Mondiale, perde la madre in un incendio a soli undici anni. Le premesse tragiche e realistiche sono quindi molto simili al film precedente, ma mentre in Si alza il vento la minaccia della guerra è sottile, si nasconde tra i vicoli delle città tedesche degli Anni ‘20, ne Il ragazzo e l’airone esplode fin dalla prima scena e senza sconti.

L’elaborazione del lutto è una costante della produzione di Miyazaki, ma un fatto deve aver reso il tema ancora più urgente per lui. La morte nel 2018 dell’amico e co-fondatore dello Studio Ghibli, Isao Takahata, sembra aver aumentato la febbre creativa che ha portato il regista a interrogarsi, ancora una volta, su che cosa voglia dire vivere. In Si alza il vento c’è un mantra ripetuto spesso dai protagonisti: «Il faut tenter de vivre”» bisogna tentare di vivere. La traduzione della poesia di Paul Valéry con «tentare» è accurata, perché quando si alza il vento, quando si fa buio e siamo sopraffatti dalla paura, bisogna andare a tentoni. O andare per tentativi, l’importante è proseguire e non stare fermi.  

Mahito, trascorso un anno dalla morte della madre, è al buio e procede a tentoni. Si trasferisce malvolentieri con il padre in una villa immersa nel verde, proprietà della sorella della madre, Natsuko, con cui il padre ha iniziato una relazione. Mahito non parla mai, litiga con i compagni di classe ed è indifferente alla sua ‘nuova mamma’ che lo riempie di premure. Sempre più disperato, arrabbiato e solo, Mahito si procura una ferita alla tempia con una pietra e incolpa i suoi compagni di classe. Il sangue viene subito lavato dalle solerti nonnine, ma la cicatrice e i capelli rasati restano. Per tutto il film ci ricordano che il bambino innocente non esiste più, e al suo posto c’è un adolescente che farebbe di tutto per rivedere sua madre. Gradualmente, il ragazzo si lascia convincere dalle parole di un inquietante airone cenerino, che lo tormenta dicendo che sua madre è ancora viva. 

Mahito di spalle. © 2023 Hayao Miyazaki/StudioGhibli/Toho/Studio Ponoc
Mahito di spalle. Fotogramma de: Il ragazzo e l’airone © 2023 Hayao Miyazaki/StudioGhibli/Toho/Studio Ponoc

A questo punto serve sapere che il titolo in giapponese del film non è Il ragazzo e l’airone, bensì E voi come vivrete?, che è il titolo di un libro che la madre di Mahito gli ha lasciato in dono. È una domanda dolorosa perché già presuppone un’assenza: sembra echeggiare da una generazione a un’altra, da un genitore a un figlio. Mahito legge il titolo del libro e scoppia a piangere per la prima volta.  Solo dopo il ritrovamento di quel libro, con i capelli rasati e la cicatrice sulla tempia può iniziare la sua avventura. Quando Natsuko sparisce, inghiottita dal mistero di una torre abbandonata vicino a casa, Mahito parte alla ricerca di risposte. 

Seguendo le indicazioni dell’airone e ignorando gli avvertimenti delle nonnine, il ragazzo si intrufola all’interno della torre che è in realtà un labirinto tortuoso e inquietante dove il passato e il futuro coesistono e infinite porte danno accesso a infiniti mondi. Accompagnato dall’airone e aiutato da Himi, una ragazza con il potere del fuoco, Mahito naviga oceani in tempesta, si imbatte in una marinaia scontrosa e gentile, attraversa foreste tropicali e cancelli dorati, sfugge a una comunità di pappagalli armati (ma irresistibilmente simpatici), conosce pellicani affamati e piccoli esseri lattiginosi, che sono le anime dei vivi destinate a incarnarsi.

Come in passato Miyazaki ci incanta con riferimenti alla tradizione spirituale giapponese che unisce taoismo, shintoismo e buddismo. Ad esempio l’ambientazione labirintica, molto simile a quella de Il Castello Errante di Howl, o del complesso termale ne La città incantata, è un riferimento al taosimo. Il mondo in cui viviamo è pieno di insidie, trabocchetti, falsi amici, vicoli ciechi che ci distolgono dal senso vero dell’esistenza e allontanano dall’ordine naturale delle cose, o Tao, appunto. 

Al taosimo si unisce la tradizione animista: il mondo naturale è abitato da spiriti che si nascondono nelle pietre, negli uccelli, nei fiumi. L’airone, da simbolo per eccellenza di pace e prosperità, diventa un mostriciattolo grottesco e manipolatore, che però fa da guida e alleato di Mahito, richiamando un altro grande pilastro della tradizione giapponese: in tutti gli esseri convivono buio e luce, giorno e notte, parti intatte e cicatrici, yin e yang. Dei personaggi di Miyazaki si dice spesso che non sono né buoni né cattivi, ma non si evidenzia abbastanza questa convivenza di bene e male. Non passano da essere buoni a cattivi o viceversa, come succede spesso nel cinema occidentale. Semplicemente, il dualismo non è contemplato e le componenti si mescolano in modo caotico, irrazionale e imprevedibile: questo può rendere i personaggi di Miyazaki spiazzanti, ma in fondo più veri.

A poco a poco, Mahito non procede più a tentoni nel buio, ma va piuttosto per tentativi. Apre infinite porte, cade, si rialza, finché arriva al cospetto del guardiano della torre. Viene messo di fronte a un tavolo, con una torretta di forme geometriche, da impilare e custodire ogni giorno facendo in modo che non cadano. Il vecchio guardiano, che è un lontano prozio di Mahito, vorrebbe che il ragazzo prendesse il suo posto e custodisse quel luogo incantato per sempre, essendo un giovane puro e non corrotto dalla vita. Ma quando Mahito ammette al prozio che quel taglio sulla tempia se l’è procurato da solo, in fondo ha già deciso: ha scelto il caos dell’esistenza alla perfezione dell’equilibrio delle forme. Il ragazzo è pronto ad abbandonare la torre e tornare nel suo mondo, riportando indietro soltanto Natsuko e lasciando andare a malincuore Himi: capisce che è sua madre da giovane, ma deve lasciarla tornare nella sua epoca perché lei possa metterlo al mondo.

Fotogramma de: Il ragazzo e l'airone © 2023 Hayao Miyazaki/StudioGhibli/Toho/Studio Ponoc
Fotogramma de: Il ragazzo e l’airone © 2023 Hayao Miyazaki/StudioGhibli/Toho/Studio Ponoc

Il ragazzo e l’airone è un film oscuro, più criptico delle precedenti pellicole di Miyazaki, e c’è il rischio di perdersi nella profusione di elementi magici incomprensibili e mirabolanti, un multiverso di esseri buffi, inquietanti e teneri che si gonfiano e sgonfiano, fanno versi strani, mutano forma. Quando si accendono le luci in sala è facile provare lo stesso senso di nostalgia che si insinua alla fine di un sogno colorato ed emozionante. 

Ma farsi trasportare e abbandonarsi come in un sogno non è solo una buona abitudine quando si vede un film di Miyazaki. È forse la prima e più importante interpretazione del suo intento creativo. Attraverso un’impressionante cura per ogni dettaglio e ogni singolo disegno, i suoi film chiedono fiducia non tanto alla compiutezza della trama quanto alla bellezza del percorrerla, e ci ricordano che il mondo è pieno di possibilità che la razionalità non può cogliere. 

Lasciare andare non è sempre uno sbaglio, lasciar cadere a volte è necessario. Se un mondo interiore crolla, come quello di Mahito, resta comunque la realtà da vivere. La torretta di forme geometriche cade e un universo implode su se stesso, ma incredibilmente non è la fine del mondo e bisogna comunque tentare di vivere, in qualche modo. Se angoscia e speranza convivono in tutta l’opera di Miyazaki, in questo film la sua ricerca di senso si fa ancora più ossessiva, caotica e pressante, convergendo in un’unica domanda che rivolge a noi e ai posteri: e voi come vivrete? ♦︎


L’immagine di copertina è un fotogramma de: Il ragazzo e l’airone © 2023 Hayao Miyazaki/StudioGhibli/Toho/Studio Ponoc

Anna Galvagno
Amo il cinema, la lingua inglese, le superfici piane quando ci dorme sopra un gatto, il karaoke cantato male, la stand-up comedy, e tutto ciò che ha a che fare con i libri. Piemontese doc, cerco di descrivere le cose con l'esattezza di Fenoglio. Ho studiato traduzione a Trieste e relazioni internazionali a Torino. Ho lavorato in due ONG in Marocco e in Libano, e in un'agenzia dell'Unione Europea. Ma sono bastati due anni di Scuola Holden per riscoprire la gioia di scrivere, e adesso cerco di farlo ogni volta che posso.

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