È una modella italiana che vive a Milano. Studia comunicazione di impresa e recitazione. Da qualche tempo ha deciso di parlare apertamente della sua malattia.
Ero un po’ nervoso. Quando sono arrivato al Pandenus di piazza Gae Aulenti, il dehors pullulava di famiglie, ragazzini chiassosi e impiegati in giacca e cravatta appena usciti dagli uffici. Il registratore avrebbe fatto il suo, oppure le voci dei tavoli accanto avrebbero sovrastato le nostre? Potevo sempre annotare le sue risposte su un taccuino, dicevo tra me, ma purtroppo non mi ero preparato alcuna domanda: avevo in mente una chiacchierata, uno scambio, non un’intervista. Mi trovavo in questo bistrot di Milano per incontrare Julia Magrone, modella e influencer da qualche tempo impegnata a raccontare la sua malattia: la vestibolodinia.
Prima di allora non avevo la più pallida idea di che cosa fosse. Nei giorni precedenti e poi ancora quel pomeriggio, in treno, ho letto alcuni articoli, testimonianze, tra cui le interviste che Magrone ha rilasciato di recente all’associazione donneXstrada e alla rivista Roba da Donne, ho contattato un ginecologo. Il dottore me ne ha parlato a lungo, io qui la faccio breve: la vestibolodinia è una forma di vulvodinia localizzata, una sindrome spesso definita ‘invisibile’ a causa dei ritardi diagnostici e della difficoltà di accesso alle cure, caratterizzata da un dolore cronico nella zona all’ingresso della vagina – il vestibolo, appunto – che si manifesta soprattutto durante un rapporto sessuale. Per puro vezzo stilistico, stavo per scrivere ‘nel bel mezzo’ al posto di ‘durante’, ma sarebbe stato un clamoroso scivolone: una donna che soffre di vestibolodinia difficilmente resiste alla penetrazione per più di qualche minuto, raramente arriva a metà di un rapporto. Il piacere è un privilegio che non le appartiene, non più ormai, fare sesso significa stringere i denti, soffrire, sopportare; e di bello, in tutto questo, non c’è proprio niente.
Julia Magrone arriva. Pantaloni scuri e maglioncino beige, cappotto celeste sulle spalle e un sorriso raggiante stampato in faccia. Ci sediamo a un tavolino isolato, in un angolo del dehors che tutto sommato ci sembra tranquillo. Faccio una registrazione di prova, le voci che ci circondano sono un rumore di fondo quasi impercettibile, tiro un sospiro di sollievo. Le chiedo se posso accendermi una sigaretta o se le dà fastidio. «No, anzi», dice «se ti va puoi offrirmene una…». Abbassa lo sguardo sul registratore, con una mano scosta una ciocca di capelli castani davanti al viso: «Di solito non fumo, mi capita di farlo solo quando sono un po’ stressata».
Julia Magrone ha cominciato a fare la modella senza crederci davvero, quasi per gioco, nel 2020, dopo aver partecipato a Miss Italia. A spingerla a iscriversi al celebre concorso di bellezza è stata sua nonna, la quale, a ripensarci inseguito, ci aveva visto lungo. «Incredibilmente sono arrivata in finale regionale. Poi, però, con lo scoppio della pandemia, la selezione successiva veniva fatta ‘da remoto’. Non mi andava, così ho detto arrivederci e grazie». E tuttavia nel frattempo qualcuno l’ha notata. «Un fotografo mi ha proposto di fare uno shooting. All’inizio ero titubante, ma poi ho accettato. Pubblicavo sui miei social quello che facevo, vedevo che la gente apprezzava: una cosa tira l’altra, e in poco tempo mi sono arrivate le prime offerte di lavoro».
La svolta è arrivata l’anno scorso, quando ha cominciato a collaborare con Cotril. Dal 2023 è testimonial di questo marchio esclusivo di prodotti per capelli scelto dalle grandi star del cinema. E proprio nel mondo del cinema Julia Magrone aspira a lavorare in futuro. «Avevo fatto recitazione da bambina, ma più che altro per sbloccarmi: ero timidissima, super introversa, il teatro mi ha aiutata a relazionarmi con le persone. Adesso sono entrata in un’agenzia, ma finora non ho accettato nessuna parte e mi sono limitata a studiare. Prima di buttarmi nel mare voglio imparare a nuotare. Il ruolo dell’amante nuda nel letto lo può recitare chiunque, io punto a ruoli che possano in qualche modo valorizzarmi. Non sono dell’idea che basti iniziare, come dicono tutti, ma che sia fondamentale farlo nel modo giusto. Oppure rischi di essere etichettata».
C’è una domanda che mi frulla in testa da quando ci siamo seduti – anzi, da quando il direttore di NoSignal mi ha proposto di lavorare a un pezzo su una «giovane modella». Metto freno alla curiosità e mi limito a chiederle se, a ventidue anni, è fattibile mantenersi con un lavoro come il suo – soltanto dopo averla posta mi rendo conto che è una domanda completamente cretina, ingenua, che non solo tradisce l’ignoranza dell’intervistatore, ma che rischia di farmi passare per una di quelle personcine aride e superficiali che non considerano certi lavori dei veri e propri lavori. Comunque, annuisce. «Il mio lavoro mi permette di vivere bene, se teniamo conto anche del fattore social». Aggiunge: «Ho deciso, però, di non puntare tutto su quello. Voglio tenermi un lavoro concreto, per così dire, un lavoro off-line. Voglio essere qualcosa di più che un profilo. Cosa succederebbe se un giorno chiudessero il mio account Instagram?».
Arrivano i nostri caffè, normale il mio e shakerato il suo. Mi chiede se ho già qualche idea sul pezzo che scriverò. La domanda mi spiazza: le rispondo che ancora non sono sicuro, ma che mi sarebbe piaciuto lavorare a un ritratto giornalistico, e le spiego cos’è. «È curioso», mi fa, mentre immerge il cucchiaino all’interno del bicchiere «ho perso il conto delle volte che sono stata fotografata, eppure non mi è mai capitato di posare per un ritratto… scritto!». Ci scherziamo un po’ su, ma alla fine conveniamo entrambi che, proprio per via di questa singolare ironia, un pezzo del genere possa funzionare.
La porto sul suo passato. Julia Magrone è nata il 15 aprile del 2001 a Sesto San Giovanni, «qui vicino» dice, indicando con il dito un punto immaginario oltre la mia testa. «Ariete, ci tengo a sottolinearlo. Mi raccomando, è importante» bisbiglia ridacchiando, anche se in questo caso, aggiunge, il segno è molto indicativo della sua personalità. «Complicata, testarda. Molto testarda. Sono una persona che deve andare fino in fondo alle cose, a costo di spaccarmi la testa». Forse suona un po’ slogan, un po’ frase fatta, ma ci credo quando dice che nella vita ha sempre cercato di raggiungere la perfezione. Sotto qualsiasi aspetto, a cominciare dallo studio. Studiava come una matta al liceo, da cui è uscita a pieni voti, e lo fa ancora oggi all’università, a un passo dalla laurea in comunicazione d’impresa. Iperattiva, un occhio sempre rivolto all’agenda, per Julia Magrone un giorno senza far niente è un giorno sprecato.
«In famiglia siamo sempre stati abituati alla cultura del benessere, ad allenarci e mangiare bene. A un certo punto della mia vita, però, questa cosa mi ha fatto sbarellare: ero ossessionata dal mio aspetto fisico. Avevo sedici anni, è stato un periodo molto buio. Ho sofferto di disturbi alimentari per quasi due anni. Uscire da un disturbo alimentare si fa con la testa, e penso che chi ne ha sofferto non si riprenda mai del tutto». Poi puntualizza in tono deciso: «Io adesso sono fuori, ma mi è rimasta una specie di cicatrice, e non riuscirò mai a vedere il disturbo alimentare come qualcosa di completamente estraneo da me».
Mentre mi racconta gli alti e bassi del rapporto con Yuri, il ragazzo, la parola vestibolodinia fa il suo ingresso in questa conversazione. «Ha reso tutto più complicato di quanto già non fosse», dice. «Yuri mi è stato a fianco nei periodi più brutti, qualsiasi altra persona avrebbe potuto dirmi: “è stato bello finché è durato, addio”. Poi, certo, tutti possono fare di più e meglio. Ma anche di meno e peggio. In una coppia dove uno dei due soffre di un disturbo come questo, l’altruismo è l’aspetto più importante». Ma partiamo dall’inizio.
«È successo due estati fa, mi trovavo in vacanza in Grecia con il mio ragazzo. Siamo stati circa dieci giorni: i primi cinque tutto bene, facevo cose normali che fa qualsiasi ragazza, come il bagno oppure sdraiarmi sulla sabbia – se lo facessi adesso, per farti capire, morirei! -, finché da un momento all’altro non ho cominciato ad accusare dolori lancinanti durante un rapporto sessuale. I medici in Grecia mi hanno curata con antibiotici, hanno detto che probabilmente si trattava di una cistite, perciò ho pensate che fosse un problema temporaneo».
Tornata in Italia ha capito che non era così: «Il dolore persisteva, anzi aumentava sempre di più. Ho fatto cure su cure antibiotiche, ho consultato almeno otto ginecologi diversi, tutti mi dicevano che era una cistite, oppure qualcosa legato alla testa, qualcosa di psicologico. Questo mi faceva particolarmente incazzare. Alcuni medici mi hanno addirittura consigliato di provare a cambiare partner, per vedere se il problema fosse legato alla coppia. Non sono stati espliciti, mi hanno detto qualcosa del tipo: “magari il problema va ricercato all’interno della tua relazione, forse cambiando partner…”».
Col passare dei mesi la realtà è diventata sempre più simile a un incubo. I medici – i ginecologi, puntualizza – non ne venivano a capo, le terapie antibiotiche fallivano una dopo l’altra, e questa storia della cistite cominciava a fare acqua da tutti i buchi. Julia Magrone ricorderà per tutta la vita quel terribile weekend di dicembre ad Annecy, in Francia, che descrive come «il momento peggiore in assoluto, l’apice del suo male». Un dolore troppo forte, le crisi di panico a tarda notte, la voce strozzata dai singhiozzi con cui sussurra a Yuri che non ce la fa. «Piangevo sempre, la vivevo come una situazione di disagio», dice. «Non sono mai stata stuprata, e non dico che sia la stessa cosa, ci mancherebbe. Però durante uno stupro ti irrigidisci: avendo io le pareti contratte, la penetrazione mi procura delle lacerazioni».
Tra la prima volta in cui ha accusato i sintomi della vestibolodinia, nell’agosto 2021, e il giorno in cui ha ricevuto una diagnosi, il 24 marzo 2022, sono trascorsi sette mesi. Passerà almeno un altro anno prima che decida di parlare pubblicamente della sua malattia. Lo fa, dice, affinché la sua testimonianza sia da supporto a tante altre donne, sperando così di poter evitare loro inutili spese e lunghi mesi di paura e oblio.
Ha intrapreso una cura a base di psicofarmaci, che prende tutte le sere per via orale e locale, tre volte a settimana si sottopone alle radiofrequenze per stimolare i nervi della vagina. «È pesante. Ognuna di queste sedute dura dai venti ai trenta minuti. Ma trenta minuti di martellamento continuo. Un incubo». Comunque, afferma, dalla Francia a oggi qualche miglioramento c’è stato. «Riesco a sopportare», dice «ma comunque non è piacevole. Non ci sono sprazzi di godimento. Zero. È frustrante sapere che non raggiungerai più l’orgasmo».
Da qualche minuto il sole si è nascosto dietro un grattacielo, mentre il dehors del Pandenus comincia lentamente a svuotarsi. Guardo l’orologio: prima di scappare a prendere il treno ho un’ultima curiosità. In che modo, le domando, la malattia si è scontrata con il suo lavoro? Julia Magrone beve un sorso d’acqua, si stringe nel suo cappotto e dice: «All’inizio è stato difficile. Sui set non hai la possibilità di scegliere come vestirti e quali pose assumere. Né puoi farci nulla se fuori fa freddo o caldo. Sono però gli eventi le situazioni più complicate. Bisogna stare tante ore composti, quasi sempre indossando tacchi e abiti molto stretti. Questo è l’aspetto del mio lavoro che si scontra maggiormente con la malattia. In generale fare la modella non è pesante, o comunque lo è molto meno della maggior parte degli altri lavori. Diventa pesante quando hai un problema come questo. Fortunatamente i dolori forti, quelli lancinanti, non mi prendono mai nel quotidiano, ma solo durante i rapporti sessuali.
«Lato social, invece, è stata più tosta psicologicamente. Ma c’è un risvolto positivo. La malattia mi ha reso consapevole di come la mia immagine, in particolare la mia immagine social, non corrispondesse minimamente alla mia persona o alla mia situazione di vita. Era veramente abissale la differenza. Nel privato stavo vivendo un dramma, mentre sui social davo l’impressione opposta. La gente guardava quello che pubblicavo e pensava che stessi vivendo una specie di favola. Va detto, però, che all’inizio mi stava bene così. Non ero pronta a parlare dei miei problemi, a far trapelare la vera me. Assecondavo l’esistenza di due Julia Magrone: Julia e Juuliam__. Ma col tempo questa cosa si è esasperata, mi sono sentita sempre più ingabbiata nell’immagine che io avevo contribuito a creare.
«Spesso ricevevo, ancora oggi ricevo, messaggi che mi facevano davvero arrabbiare. Proposte di collaborazioni con persone che non avevano nulla a che spartire con me. L’idea di essere accostata a qualcosa di così lontano mi lasciava spaesata. E poi certi uomini, pochi per fortuna, che mi scrivevano chiedendomi quanto volessi per uscire a cena, oppure proponendomi cose indecenti. A me, che non posso avere un rapporto sessuale nemmeno col mio ragazzo!
«Diciamo che la vestibolodinia mi ha rovinata, ne avrei volentieri fatto a meno, ma al tempo stesso mi ha permesso di diventare più consapevole, matura. Di recente ho detto al mio social media manager che dovevamo cambiare qualcosa nella comunicazione». Getta un’ultima e rapida occhiata al registratore, poi mi guarda e sorride: «È anche per questo che ho deciso di parlare».