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Il ritorno di Lanthimos versione integrale, senza la slavatura mainstream, in una pellicola interessante ma esageratamente grottesca

A poca distanza dalla cerimonia degli Oscar che ha visto l’acclamato Poor Things aggiudicarsi quattro statuette, il regista Yorgos Lanthimos porta al cinema un altro lungometraggio con la sua firma. Presentato in concorso a Cannes, Kinds of Kindness sembra confermare il sodalizio di Lanthimos non solo con Emma Stone, memorabile nelle vesti Bella Baxter, ma anche con l’eccentrico e impeccabile Willem Dafoe. Ma l’ultimo Lanthimos non è quello che abbiamo conosciuto nei due film che lo hanno reso noto al grande pubblico, il recente Poor Things, vero e proprio inno femminista, e La Favorita, intrigante rivisitazione storica. Con Kinds of Kindness il regista greco decide di cambiare rotta e virare bruscamente indietro, verso i primi manifesti tematici del suo cinema, Dogtooth e The Lobster. Il cambiamento più significativo resta sicuramente l’addio a Tony McNamara alla sceneggiatura: Kinds of Kindness segna il ritorno della collaborazione con Efthymis Filippou, con il quale Lanthimos aveva licenziato i suoi primi successi. Il risultato? Il regista confeziona un film che risulta fedele alla sua originalissima visione in un crogiolo perfetto dei temi di cui sembra essere ossessionato: pulsioni inconsce, sacrificio, sessualità torbida e dipendenze tornano protagoniste del conflitto. Accanto a Emma Stone, brilla la versatile Margaret Qualley. Jesse Plemons si prende Cannes, dove è stato insignito del Prix d’interprétation masculine.


Il perturbante

Un sentimento fra tutti prevale dopo la visione di Kinds of Kindness. In un saggio di S. Freud è descritto in modo accurato: il ‘perturbante’, in psicologia così come in letteratura, è il sentimento che scaturisce dall’incontro tra familiarità ed estraneità. Si è perturbati quando qualcosa che si considera familiare si scopre essere, sorprendentemente, estranea. Oppure quando una verità nascosta, che avremmo potuto non scoprire mai, affiora. Di questa tecnica Lanthimos è decisamente esperto e sembra averne fatto in Kinds of Kindness una vera e propria categoria estetica. Quelle che descrive nei tre episodi che compongono il lungometraggio sembrano tutte, all’apparenza, coppie ordinarie. Capo e impiegato, marito e moglie, sorelle gemelle. Le osserviamo a distanza, le loro vite ci appaiono familiari. Ma più ci avviciniamo più scopriamo che di consueto in loro non c’è nulla. Una manciata di inquadrature le smaschera per ciò che sono realmente ed è lì che sopraggiungono lo sconcerto e il paradosso, declinazioni perfette del ‘perturbante’. Lo spettatore è disorientato: le coppie che pensava di aver decodificato non sono più comprensibili. Chi sono in realtà, e che rapporti intercorrono tra di loro? Perché il capo suggerisce all’impiegato di leggere Anna Karenina, e, con la stessa semplicità, di uccidere un uomo in un finto incidente d’auto? Cosa è successo tra marito e moglie e perché il marito chiede alla coniuge di tagliarsi un dito e farlo a pezzetti per condirgli l’insalata? E poi, come è possibile che una delle due gemelle, quella che conduce una vita apparentemente monotona e lavora come veterinaria, possieda in realtà una dote prodigiosa?

Fotogramma di: Kind of Kindness © 2024 Yorgos Lanthimos/Element Pictures, Film4, TSG Entertainment, Searchlight Pictures


Sweet dreams are made of this

È evidente che Lanthimos, sulla scia del surrealismo alla Buñuel e del magico nel cinema di Nikos Koundouros, sembri divertirsi a suscitare nello spettatore ciò che fin dagli albori della sua carriera è sempre stato capace di fare: un’irriverente immersione nella psiche umana. La stretta connessione con il mondo dell’inconscio è percepibile anche attraverso una serie di elementi, uno fra tutti la musica, curata da Jerskin Fendrix. Non è casuale la scelta del celebre singolo degli Eurythmics in apertura, nei titoli di testa. Forse un preciso richiamo al mondo onirico evocato nel suggestivo videoclip stesso del brano, diretto da Chris Ashbrook. Come Annie Lennox, dai seducenti tratti androgini e dai capelli arancioni nel videoclip per MTV, evocava una Tiresia del XX sec. che con i suoi provocanti connotati maschili e femminili confonde lo spettatore, così i personaggi di Kinds of Kindness sembrano essere tutti sospesi tra due poli, di pulsioni opposte, in uno stato perennemente a metà tra conscio e inconscio.


Aspettando R.M.F.

Ad unire i tre episodi che compongono il lungometraggio, in cui gli attori interpretano per tre volte ruoli diversi, è la figura del misterioso R.M.F. Non sappiamo chi sia o cosa faccia eppure è questo personaggio a dare il titolo ad ognuno dei singoli episodi: di lui, leggiamo il nome sul risvolto della camicia e sappiamo che poi comparirà nell’episodio successivo. L’espediente di R.M.F. non è altro che uno degli esempi dell’uso del grottesco messi in scena da Lanthimos. Nell’attesa per il personaggio di R.M.F., che è poi un’attesa fine a se stessa perché nelle vicende non prende mai parte attivamente ma è sempre vittima di strane coincidenze, si nasconde una drammaticità che diventa quasi ironia e nasconde una patina grottesca. R.M.F. diventa il nuovo Godot, l’attesa di un personaggio che non esiste. C’è sempre un sottile squilibrio; è qualcosa di sproporzionato, paradossale, strano. Il regista in un’intervista racconta di essersi ispirato all’opera teatrale Caligola di A. Camus per la realizzazione del lungometraggio rivelando la stretta connessione con la trilogia dell’assurdo del filosofo francese, di cui Lanthimos non ha mai nascosto di essere seguace. Sotto questa chiave di lettura anche il titolo del lungometraggio assume connotati dissacranti: quali sono i ‘tipi di gentilezza’ a cui si riferisce? Sicuramente il riferimento è, con un’evidente ironia amara ai nuclei centrali delle tre storie in cui accade tutto eccetto che avvenimenti gentili. Lanthimos rompe la quarta parete e parla diretto agli spettatori, forse anche a se stesso. ♦︎

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