Dato che l’articolo precedete non ha causato troppo flame, beh ecco un nuovo tentativo di farmi odiare dalla community. Che volete farci, amo il pericolo.

Il 12 aprile 2022, in occasione dei vent’anni di uscita del primo capitolo per Playstation 2, Square Enix annuncia tre nuovi giochi del franchise di Tetsuya Nomura: un nuovo capitolo di Kingdom Hearts Dark Road, titolo mobile per Android, il nuovo Kingdom Hearts Missing Link per iOS e Android, ma soprattutto, come ultimo l’announcement trailer di Kingdom Hearts IV, sequel diretto della saga principale.

Boom.

La community esplode. Pieni di entusiasmo si riversano milioni di utenti a commentare sui social: Kingdom Hearts non è finito con il terzo capitolo, continuerà. Iniziano gli interrogativi: il trailer, prodotto in Unreal Engine 4 (mentre abbiamo conferme che il gioco sarà sviluppato in Unreal Engine 5), mostra Quadratum, un nuovo mondo, già noto ai completisti del terzo capitolo, ed il protagonista, Sora, risvegliarsi in un appartamento che pare un attico della Milano bene. Qualche scritta enigmatica e la consueta lotta con il Darkside di turno, dove viene mostrato un accenno (ovviamente scriptato) del nuovo combat system.

Sora si risveglia in uno splendido attico di via Torino a Milano Centro.

Il bambino, la luce ed il sogno

Mi trovo in difficoltà a scrivere questo articolo perché Kingdom Hearts è stato quel videogioco che mi ha fatto capire che non erano solo poligoni colorati che si muovevano a schermo, ma che dietro c’era molto di più. Ricordo che trovai le prime immagini dei personaggi Disney che incontravano quelli di Final Fantasy su un libriccino rovinato durante una settimana bianca con i miei genitori che manco avevo 10 anni. Mi incuriosiva tutto. Pippo, Paperino e questo ragazzino dai capelli a punta con in mano una…chiave? “Che strana arma” pensai. Già, il Keyblade, l’enorme chiave usata in battaglia contro i malvagi Heartless fu come un segno per me: la prima volta che provai hype per l’uscita di un gioco in vita mia. Manco esisteva la parola hype, giusto per darvi un’idea.

Inutile raccontarvi tutta la storia, ma all’uscita non riuscii a giocarlo se non per la benevolenza di un amico (il mitico Vittorione Cavalcoli) che me lo prestò addirittura prima di averlo giocato. Da lì, l’amore è diventato religione: un solo cielo, un solo destino. Giocato e rigiocato, l’arrivo del secondo meraviglioso capitolo e l’attesa, sfiancante, per il terzo.

Posso assolutamente affermare che a livello emotivo, non c’è saga videoludica che mi abbia appassionato di più: il mondo costruito da Nomura era magico, colorato, ma anche oscuro e feroce. Un mondo ricco di quei buoni insegnamenti di mamma e papà, ma veicolati attraverso il sogno ed un gameplay a dir poco addictive.

Giocare a Kingdom Hearts significava (e significa ancora) sognare.

C’è chi ha pianto vedendo questa scena e chi mente.

L’adulto, l’oscurità e la realtà

Ma si sa, i sogni non durano per sempre. Oltre ai 13 anni di attesa per il terzo capitolo a chiusura della Dark Seeker Saga, il buon Tetsuya Nomura, creatore e game designer del franchise, ci ha messo del suo per porre fine alla magia, ovviamente in buona fede. La produzione di un’infinità di spin-off ed episodi di raccordo assolutamente non secondari per comprendere la trama, ha reso la vita degli appassionati un vero inferno: titoli usciti su console portatili come Kingdom Hearts: Chain of Memories per Gameboy Advance o Kingdom Hearts Coded per Nintendo DS e telefoni cellulari dedicati, sono solo alcuni esempi di quanto la trama sia stata frammentata negli anni.

Per giocarli tutti servono almeno 3 piattaforme di gioco. Auguri.

Come non citare i numerosi retcon a confondere le acque: ad esempio, il concetto chiave di Oscurità, su cui poggia l’intera storyline, è stato più volte stiracchiato, aggiustato. Il tutto per integrare personaggi inizialmente eliminati, poi ripescati (per volere dei fan) o interi rami narrativi utili ad allungare il brodo. Non parliamo della valanga di meme da parte di una community certamente innamorata, ma stanca. Non ci si può girare tanto intorno: il velo di stupore è sparito.

Forse siamo cresciuti noi, forse è invecchiato il gioco, ma la realtà colpisce forte ed il sogno è svanito.

“Darkness, Darkness, Darkness, Darkness”: che vi dicevo nel blocco sopra?

A volte è giusto lasciarsi.

In qualche modo certe cose le capisci, le senti nelle ossa.

Giocando a Kingdom Hearts III e con qualche lacrima versata sul finale, non potevo fare a meno di pensarci: “è finita, è stato bello, ma è giusto così”.

Nulla di eccezionale intendiamoci: una trama tenuta in piedi con lo sputo (scusate, ma ogni tanto ci vuole), la scelta dell’Unreal Engine 4, a sostituzione degli in-house engine dei primi capitoli, ed una difficoltà davvero bassa, mi hanno davvero fatto storcere il naso più volte.

La saga pareva conclusa con vibes degne di Final Fantasy X: non ero mai stato così lontano dalla verità. Un filmato segreto, una città mai vista, un’altra dimensione che sembra uscita da The World Ends With You, altro franchise del Nomura-verse.

Pochi giorni fa, ogni dubbio scompare: un trailer pacchianotto ci conferma che Kingdom Hearts IV si farà. A colpo d’occhio risulta evidente quanto il buon Tetsuya stia cercando di sviluppare il mai nato Final Fantasy Versus XIII con tutte le sue forze sotto falso nome (ma questa è un’altra storia).

No basta, io scendo da questo treno. Scendo perché credo che certe storie debbano avere una fine. Kingdom Hearts la meriterebbe più di tanti altri giochi, ma no: finisce una parte della storia e si apre The Lost Master Arc (per info e curiosità su tutta la lore vi rimando qui). Un nuovo giro, un’altra mescolata all’interno di quello che è ormai lo stesso brodo da almeno una decade.

Sora contro l’ennesimo Darkside sempre a Milano Cent…ehm, volevo dire Quadratum.

Forse sono troppo nostalgico io e non vedo le note positive della cosa. Probabilmente il quarto capitolo si rivelerà un capolavoro e nuova linfa per l’intero franchise, ma ahimé, credo che le carte siano state mischiate tante, troppe volte. Sarò drastico, ma forse Kingdom Hearts deve morire.

Deve morire perché lo abbiamo amato troppo per vederlo diventare l’ombra di sé stesso, vuoto e senza cuore. E alla decadenza non manca di certo il senso dell’ironia.

Giovanni Zabardi
Nato controvoglia nel '94, ingegnere per scherzo e gamer incallito. Nonostante il cuore nerd, sono un organizzatore patologico dei migliori falò di ferragosto low budget della Costa Est. Laurea e lavoro nel gaming mi hanno imborghesito, ma una volta suonavo in una surf-rock band.

You may also like

Lotta
Ritratti

Io sono Lotta

Carlotta Sarina, nome d’arte e di battaglia: Lotta. Attivista, musicista e performer teatrale, ...

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

More in Società