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La fabbrica dei sogni

La vita comincia con un’intensa produzione onirica. Da bambini ci dicono che possiamo fare tutto: l’astronauta, il pittore, la scrittrice, la più grande rockstar di sempre. Ma il grande fuoco che durante l’infanzia brucia nell’altoforno della fabbrica dei sogni, col passare tempo si riduce all’esile fiamma di una fantasia lontana. Poi, arrivati alle superiori, questo “tutto” si riduce a una manciata di strade che un signore basso e pingue, con un pizzetto nero attorno alla bocca, ti elenca sulle sue dita grassottelle di una mano: puoi andare a lavorare con i tuoi, diventare operaio in un’azienda, iscriverti all’università (per poi magari finire ingegnere nella stessa azienda) o cercare un lavoro dignitoso che permetta qualche weekend di svago. Se siamo fortunati, possiamo aggiungere un abbonamento a teatro.

All’improvviso, la nostra fabbrica dei sogni si trova in bancarotta, non solo di capitali, ma anche di persone che credono in noi come individui capaci di realizzare i propri sogni. Da piccoli, era facile investire (e far investire) nella nostra fabbrica. Ci accontentavamo di un banchetto di limonata, aspettando i cinquanta centesimi per ogni bicchiere, e il nostro salvadanaio si riempiva. Ma quando, a sedici anni, sogniamo di creare una nostra bibita, non arriva nemmeno un centesimo. Per gli altri, i nostri sogni sono validi finché restano irrealizzabili, concreti solo nell’astratto.

Certo, da bambini abbiamo grandi sogni perché non conosciamo ancora il mondo, non sappiamo quanto costa raggiungerli né siamo consapevoli del contesto in cui viviamo. Siamo portati a sognare, a sognare a occhi aperti. Forse siamo fortunati a non conoscere il contesto sociale che ci circonda, altrimenti «addio sogni di gloria, addio castelli in aria» (per citare Claudio Villa). Poi però cresciamo, e qualcosa si rompe. Veniamo lasciati soli. Anche quelli che mettevano quei cinquanta centesimi ci abbandonano, e le soluzioni che ci dava quel signore basso e pingue con il pizzetto nero ci sembrano l’unica via possibile per vivere. Ma per vivere quale vita?

Eppure, in qualche modo, sono sicuro che tutti noi continuiamo a sognare. Di nascosto, spesso soli, con la testa poggiata sul vetro tremolante e umido di un tram. Continuiamo a ricordare quando volevamo essere presidenti della Repubblica o astronauti. Quella brace nell’altoforno della fabbrica abbandonata rimane accesa in quella provincia dell’infanzia, e ci facciamo visita solo nelle notti di solitudine o durante i sorrisi dati a vecchie foto ammassate in una scatola di scarpe.

Ma quella fabbrica dismessa che non si arrende continua a lavorare per noi, liberando energia: un’energia che stimola l’atto creativo. Il sogno è l’unità di misura dell’energia creativa. Se in fisica esiste il joule, nella vita esiste l’unità desiderio che deriva dal sogno. La chiameremo ‘Unità Onarium’ (che è una crasi tra le due parole sogno: ὄνειρος Oneiros in greco e somnium in latino). Sognare ci serve per avere questa energia di desiderio che ci consente di creare. Siamo vivi per creare, perché creare ci avvicina a Dio: l’atto creativo è forse una delle cose più vicine al Demiurgo.

La fabbrica dei sogni
La fabbrica dei sogni

E in quella fabbrica come prima cosa portateci un poster di Gilles Deleuze, che in Kafka: Per una letteratura minore parla già dell’Onarium senza saperlo: «Il desiderio è un’assegnazione di potenza; ciò che chiamiamo vita è un’assegnazione di desiderio». Per ricordarvi come i sogni (i desideri) e le aspirazioni creative sono parte integrante di questa potenza.

Vorrei che tutti voi riaccendeste l’altoforno di quella fabbrica dismessa e abbandonata nella provincia della vostra vita. Vorrei che tornassimo a lavorare su un sogno, anche irrealizzabile. Vorrei che tornassimo a progettare storie da raccontare a noi stessi quando la mente razionale si riposa e lascia spazio all’inconscio, perché è lì che iniziamo a rilasciare Onarium, che potrebbe alimentare la nostra anima, rivelandoci intuizioni o verità che nella vita quotidiana restano nascoste. Questa energia è ciò che serve per mettere in moto i nostri ideali, le speranze per il futuro, le ambizioni che coltiviamo; in altre parole, è l’energia che ci aiuta a vivere. Il fuoco della forgia acceso è ciò che ci spinge a immaginare un domani migliore. In questo senso, i sogni sono il ponte tra il nostro presente e ciò che desideriamo diventare, un’energia creativa che ci spinge a cercare, sperare e costruire.

Perché, in fondo, i sogni non muoiono mai; siamo noi che smettiamo di sognarli. E la vera rivoluzione è riaccendere quella fabbrica che abbiamo dimenticato, e ricominciare a produrre futuro sprigionando Onarium. ♦︎


Illustrazione di Susanna Galfrè